Progettare il futuro
di Pierluigi Fagan - 10/04/2023
Fonte: Pierluigi Fagan
Secondo i risultati di molte ricerche neuro-cognitive, la nostra mente si è evoluta per far previsioni. Noi agiremmo come la zip di una cerniera lampo chiudendo con una intenzione e poi un’azione, un ben più ampio ventaglio di possibili pre-visti ovvero visti in anticipo dalla nostra mente.
A livello storico-sociale, oracoli, sibille, auguri, indovini e pizie, profeti, divinatori, l’intera cultura classica cinese che ha fondamento nelle otto posizioni dei trigrammi di due elementi che deriverebbero dalla stessa origine della loro scrittura che annotava gli esiti della scapulomanzia, rune vichinghe, pensiero magico correlativo, numerologia, hanno svolto la funzione previsionale di gruppo nell’antichità. Nel medioevo ci pensava Dio e quindi dedicarsi al futuro era magia, quindi peccato.
Utopie, distopie, retropie, ucronie hanno accompagnato questa pulsione immaginativa nella prima modernità.
Dai primi del Novecento s’è sviluppata la fantascienza.
Verso la fine della IIWW, un tedesco (O. K. Flechtheim) prima inventa il concetto di “futurologia”, poi vi scrive sopra un trattato che darà il via a questa nuova disciplina, ignota ai più. La disciplina ha numerose cattedre universitarie, tra cui una a Trento (Social foresight).
Le previsioni sul futuro vengono fatte da tutte le grandi multinazionali (industriali, commerciali, finanziarie, bancarie) dalla maggior parte dei governi soprattutto delle grandi e medie potenze, dagli istituti statistici, da un ambiente misto che culmina nel World Economic Forum (Global Risk Report). Ma intorno al WEF c’è un vero e proprio ambiente previsionale fatto dal H. Hoover Reasearch Comittee on Social Trends, dalla Rand Corporation, la Society for General System Research, vari “club” come il Club of Rome e tutti i think tank di Washington e società di consulenza (Accenture), ma anche su temi specifici come la previsione scientifica ambientale dallo stesso IPCC. I futurologi si raccolgono intorno all’ Institute for the Future, alla World Futures Studies Federation (in ambito Unesco), al The Millenium Project che ogni anno, da venti anni, produce rapporti aggiornati.
Ma il tema del “futuro” non è presente nell’immagine di mondo generale, non è argomento di dibattito democratico. Coloro che amano provare il brivido di ripetere i luoghi comuni son sempre pronti a dirti che “del futur non v’è certezza”, non è un argomento scientifico (?), coltivare utopie porta al totalitarismo, previsioni preoccupate sono solo sbuffi dell’umana paranoia tendente al catastrofismo derivante da un conservatorismo di fondo.
Strano allora che tante e valenti istituzioni studino il futuro e ci facciano sopra progetti o strategie con, al centro, la nozione di “rischio”. Dev’essere per questa coltivata ignoranza che alcuni chiamano queste strategie “complotti” finendo così nella categoria inventata a suo tempo dalla CIA per delegittimare ogni lettura “altra” dei fatti pubblici. Il fatto è che le previsioni sono spesso sbagliate se a tempi lunghi ed a grana fine (a tempi medi e grana grossa molto meno) e tuttavia è sui binari stesi da queste previsioni che viaggiano i treni delle strategie. E, a certi livelli, è dalle strategie che provengano intenzioni e poi azioni. Quindi, a livello di opinioni pubbliche gregarie si vive nell’istantismo, a livello di élite si fanno analisi, piani e programmi. Forse è anche per questo che le prime rimangono sottomesse alle seconde, abitano i futuri convinti siano spontanei e non sanno che sono previsti, entro certi limiti, costruiti, se non nel dettaglio, nei limiti del possibile. Questo “possibile” potenziato dalla tecno-scienza, si allarga ogni giorno di più.
E veniamo così al 2002, venti anni fa. Quell’anno, la maggiore istituzione scientifica pubblica americana, la National Science Foundation, assieme al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, commissionano un voluminoso rapporto di cerca 400 pagine ad una cinquantina di leader tecno-scientifici, di fatto o di pensiero. Il tema è la “convergenza” ovvero la sinergica messa a sistema di quattro famiglie di sviluppo tecno-scientifico: le Nanotecnologie, le Biotecnologie, l’Information Technology, la Cognitive science, NBIC è l’acronimo. Da allora, tale rapporto è la base delle strategie di sviluppo dell’intero comparto tecno-scientifico che ha padrini nel complesso militare-industriale-culturale-congressuale americano.
Il sistema parte dalla Teoria dell’informazione, la Cibernetica, lo studio delle mente e della società. Riducendo il funzionamento cerebrale a computazione, ridotta la computazione ad informazione e questa a bit, equiparando il neurone al chip, la società concreta viene affiancata da una società virtuale, più ordinata, prevedibile e controllabile. Il fulcro è la mente umana indagata con gli sviluppi delle scienze cognitive. Queste, si muovono nello spazio delle due principali teorie di psicologia americane: il behaviorismo ed il cognitivismo, entrambe cognitivo-comportamentali (con pesi diversi). Il tutto considerando che il mentale è incorporato quindi c’è un cervello ed un corpo, entrambi ingegnerizzabili, richiedenti prodotti e servizi per aumentare le performance tramite manipolazione neurochimica e genetica. In modalità replicazione tutto ciò alimenta lo sviluppo della robotica. Le nanotecnologie permetteranno di operare dentro menti già ammorbidite ed i corpi, per costruire il cittadino virtuale della società virtuale. Bit-atomi-geni-neuroni sono i mattoncini Lego per costruire il futuro. Stendendo, intrecciando e sviluppando reti di reti tra off ed on line, la distinzione tra virtuale e reale tenderà a scomparire, i due mondi “convergeranno” sempre più.
Da tutto ciò ne avrà beneficio primo la docilità mentale e l’ordine sociale, beneficio politico per degenerare ulteriormente la già devastata democrazia. Poi ci saranno benefici militari (DARPA a cui dobbiamo Internet e GPS-RS) ed ovviamente industriali, commerciali e viepiù finanziari visto che tutto è, nei fatti, il NASDAQ. Vari tipi di operatori culturali ed informativi si uniranno alla strategia di costruzione del futuro, avendone vantaggi nel loro presente (carriere, potere, soldi, polluzioni d’ego). Parte del Congresso tramuterà in leggi ed investimenti concreti la strategia. Ci sono anche benefici geopolitici che da tempo portano avanti quella “cattura europea” che, sommandosi all’ultimo anni di conflitto ucro-russo, dota ora il sistema americano di una comoda periferia frazionata. Presenza e peso europeo nel progetto NBIC, nonché su Internet (che è ICT) è dal nanogramma alla massa di Planck, quasi-nulla.
I software culturali come chatGPT e vari altri (immagini, suoni, video) di cui abbiamo parlato nell’ultimo post, sono una tappa del processo. Ennesima fonte di dati sugli users i quali vanno felici a dare gratuitamente loro informazioni per provare il brivido di consultare la nuova Pizia info-digitale o farle le pulci. La sottovalutazione delle prime release di questi software fa parte del loro lancio di marketing. I software culturali, alla lunga, aiuteranno a dare forma alla mentalità già massaggiata dai media offline e dallo Spirito del tempo officiato dai tecno-entusiasti. In più legheranno con un filo in più al rapporto simbiotico col dispositivo. In seguito, il dispositivo o parti delle sue funzionalità verranno incorporati, direttamente o indirettamente.
Il tutto ovviamente vanta benefici quali il potenziamento, la performance, una medicina 2.0 (ovviamente per chi se la potrà permettere, un incentivo in più per competere per una posizione sociale che dia possibilità), il sentirsi on time, l’essere “fighi”, la comodità, l’esibizionismo egoico, la giocosità alleviante la fatica di esistere, il calmare l’ansia del dover pensare con la propria testa, la stessa “fatica dell’apprendimento”, nonché quella terribile di dover decidere da sé che fare e come farlo. Togliendo a monte la fatica di pensare ed instradando i giudizi nei meccanismi di stimolo-risposta attivati dalla neurochimica, tutto diventerà più semplice e conseguente. Il migliore dei mondi tra quelli possibili. Un “Nuovo Rinascimento” è lo slogan della sua strategia di comunicazione.
Il post voleva solo condividere una messa a quadro generale del fenomeno, secondo la quale possiamo trarre queste -provvisorie- conclusioni: 1) tutto ciò ci sembra sbilanciato tra l’indubbia rilevanza e la scarsa notorietà dell’argomento; 2) tutto ciò attiene alla conoscenza, per il ristretto ambito di chi ci lavorerà, all’informazione per quanto a coloro che utilizzeranno tutto ciò o parti di tutto ciò; 3) interesse di chi sviluppa questi processi è creare una società dell’informazione, alla società in senso generale converrebbe più sviluppare una società della conoscenza, ma non sembra questo argomento sia sul tavolo della pubblica discussione, né esperta, né di massa; 4) le opinioni pubbliche non solo non discutono del futuro, ma sono anche convinte non si possa e debba; quindi non discutono neanche i piani sul futuro che fanno le varie istituzioni che pur a questo si dedicano; 5) chi non farà piani sul futuro si troverà a viverlo come presente progettato da altri; 6) l’uomo-società risultante da questi processi è un progetto americano, non occidentale, né “umano” in senso generale. Ora ha anche uno sviluppo in Cina; 7) l’intero sviluppo ha ambizioni di creare reti tra individui in simulazione del sociale, tra individui e cose, entrare nel biologico collegando il corporeo all’incorporeo, dare al mentale rappresentazioni (razional-emotive) della realtà voluta, tenere i fili ultimi nelle mani di Pochi, che poi sono quelli che hanno i fini ultimi. Ai Molti è chiesto solo mettere “like” o far di tutto per ottenerli.
Già eravamo in postdemocrazia, ora siamo in terre incognite.
NOTA: Il post evita volutamente alcuni concetti come post-umano, transumanesimo, tecnologie emergenti, rischio esistenziale, singolarità etc. A noi interessava rimanere concettualmente scarni con fuoco "politico". In più, dubitiamo dello stesso vocabolario usato per discutere il fenomeno. Dubitiamo si debbano spendere 530 pagine (Bostrom, Oxford) per parlare di una AI che distruggerà l'umanità per fare graffette. Colonizzano anche lo spazio critico.