Quando conviene colpire Putin
di Matteo Carnieletto - Lorenzo Vita - 17/03/2018
Fonte: Gli occhi della guerra
Eventi sportivi e elezioni significano una cosa sola per la Russia: guai in vista. E Vladimir Putin, dal suo primo mandato come capo di governo, ne sa qualcosa.
Appena nominato primo ministro nel 1999, il Caucaso settentrionale inizia a ribollire. I separatisti invadono il Daghestan e Putin è costretto, sin dai suoi primi giorni al potere, a occuparsi interamente del conflitto ceceno. Un problema molto grave, tanto che non appena Boris Eltsin si dimette e Putin assume l’incarico di presidente ad interim, uno dei suoi primi atti da leader della Federazione russa è quello di visitare le truppe in Cecenia.
La sua prima elezione a presidente, nel marzo del 2000, e il suo giuramento, nel maggio dello stesso anno, coincidono con la fase più acuta dell’offensiva russa in Cecenia e con il ripristino del controllo di questa regione sotto il potere di Mosca.
Nel novembre del 2003, a un mese dal voto, inizia la rivoluzione delle Rose in Georgia: Eduard Shevardnadze viene cacciato da Tbilisi e il suo posto viene preso dal leader della protesta, Mikheil Saakashvili. Una volta eletto per la seconda volta, il presidente russo si trova invece a gestire, nuovamente, la minaccia terroristica. La tragedia della scuola di Beslan, a settembre del 2004, rappresenta uno dei punti più neri della presidenza Putin.
Ad agosto del 2008 è la volta dell’Ossezia. Pochi mesi prima, Dmitrij Medvedev vince le elezioni in Russia. Gli accusatori dichiarano che la Russia ha sfruttato le olimpiadi di Pechino per avanzare nella regione indipendentista. Ma sono accuse che lasciano il tempo che trovano: è veramente difficile credere che un evento sportivo possa portare a non interessarsi di un conflitto.
Gli eventi sportivi non distraggono da una guerra. Tuttavia possono diventare non solo un’arma di propaganda ma anche un’arma per screditare. Dal momento dell’assegnazione alla Russia dei Giochi olimpici invernali, le accuse a Mosca si sprecano e iniziano le prime idee di boicottaggio. Sembra di essere tornati alla Guerra Fredda. Prima è la volta della legislazione sull’omosessualità, poi l’affaire-Snowden con il Cremlino che dà asilo all’agente americano, poi sono le accuse di sostenere Assad e, infine, l’aver colpito le trattative di associazione tra Ucraina e Unione europea.
Nel febbraio del 2014, mentre Vladimir Putin è impegnato nei Giochi di Sochi, scoppia la rivolta in Ucraina, che porterà al rovesciamento di Viktor Janukovyč e, dopo mesi di proteste, a una guerra civile che dura fino ad oggi.
Ora ci avviciniamo a nuove elezioni in Russia (18 marzo) e ai mondiali (giugno). Gli occhi del mondo, volenti o nolenti, sono di nuovo puntati su Mosca. E si presenta lo stesso scenario. Una suggestione, sia chiaro. Che però colpisce.
Putin e il caso Skripal
Il 4 marzo scorso, la spia doppiogiochista Sergei Skripal è stata avvelenata a Salisbury, in Gran Bretagna. Subito si è puntato il dito contro i servizi segreti russi che avrebbero, almeno secondo le ricostruzioni fornite fino ad ora, colpito Skripal utilizzando il gas nervino.
Un attacco di questo tipo potrebbe essere un’arma a doppio taglio per Putin. Ammettiamo che siano stati i russi: che vantaggio ne avrebbero tratto? Probabilmente, quello di dimostrare all’Mi6 di poter colpire i nemici del Cremlino in qualsiasi momento, persino a ridosso delle elezioni, sul suolo britannico. Ma avrebbe avuto senso per Putin organizzare un’operazione simile a due settimane dal voto? No, come spiega l’Irish Times.
C’è poi un altro scenario da non sottovalutare: da sempre, all’interno dei servizi segreti britannici, sono presenti diverse anime. Tra queste anche una antirussa, fin dai tempi della Guerra fredda. È quindi possibile che l’attacco a Skripal rientri in questo grande gioco all’interno dell’Mi6.