Quello che gli euromani non vogliono capire: uscire dall’euro non significa solo svalutare…
di Paolo Becchi - 24/04/2017
Fonte: Paolo Becchi
Luigi Zingales in questi giorni ha “aperto” un dibattito sulle pagine del Sole 24 Ore sulla questione “EURO SI, EURO NO” e la notizia ha attirato l’attenzione se non altro per la posizione oltranzista del giornale economico della Confindustria che ha sempre sostenuto a prescindere la moneta comune. Per la verità per chi segue Libero, per chi naviga su internet e per chi legge libri, il dibattito è aperto da tempo, e ad altri spetta il merito. Ma ammettiamo pure la buona volontà del professore italiano di Chicago.
È del tutto evidente dalla lettura del suo articolo l’intenzione più che di aprire il dibattito, di spostarlo su falsi problemi come il presagire i più immani disagi a danno dei risparmiatori italiani, una inflazione alla Repubblica di Weimar, isolazionismi nel contesto internazionale e pericolose derive nazionaliste. Non ha molto senso rispondere ora per filo e per segno a questo. Preferiamo fare un passo indietro e ricordare alcuni aspetti che Zingales ha dimenticato.
Con l’adesione all’euro tutti i paesi aderenti, in virtù dei trattati e dei regolamenti europei, hanno modificato il proprio modello economico di riferimento, avendo adottato tout court quello congeniale ai tedeschi, cioè la stabilità dei prezzi (contenimento massimo dell’inflazione) e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del principio del pareggio di bilancio, in antitesi al modello precedente, che poneva come obiettivo la piena occupazione. La nostra Carta Costituzionale come cardine imprescindibile poneva e pone il principio opposto a quello proposto/imposto dalla Ue, ovvero la piena occupazione: è questo modello economico alternativo a quello tedesco che aveva fatto dell’Italia del dopoguerra uno dei paesi più forti nel panorama mondiale.
Ritornare alla lira non significa solo poter svalutare, come anche Zingales sostiene, ma la più ampia possibilità di poter ritornare padroni della propria politica economica di cui la tanto invocata svalutazione è solo uno degli strumenti a disposizione e tutto questo nel rispetto della Costituzione, anche se violentata da una classe politica inetta e supina, che con la modifica dell’articolo 81 ha introdotto il pareggio di bilancio. Insomma, aver adottato l’euro a scatola chiusa ha significato perseguire un modello deflazionistico, per il quale l’unica svalutazione possibile è quella dei salari.
Per quanto riguarda poi l’affermazione «abbiamo firmato dei trattati e dobbiamo rispettarli», vanno ricordati anzitutto due aspetti: 1) Quando Guido Carli firmò il Trattato di Maastricht, in qualità di ministro del Tesoro, era sicuramente animato dal desiderio di porre dei vincoli esterni alla classe politica italiana per costringerli a fare ciò che altrimenti non avrebbero mai fatto in modo autonomo come una maggiore disciplina nella conduzione dei bilanci. 2) Il Trattato di Maastricht concepì l’embrione di un euro diverso da quello di cui oggi subiamo le conseguenze, il quale è figlio di un regolamento europeo, il numero 1466/97, che come ha da tempo evidenziato Giuseppe Guarino, ha del tutto stravolto il Trattato istitutivo dell’Ue. Con quel regolamento (firmato da Mario Monti) gli Stati venivano completamente esautorati da qualsiasi determinazione nella propria politica economica per il raggiungimento dei parametri macroeconomici, consegnando nelle mani della Commissione Europea qualsiasi iniziativa. Prima invece i governi nazionali conservavano una certa autonomia su come raggiungere gli obiettivi di politica economica e di bilancio.
Un vero e proprio colpo di Stato silenzioso, contro gli Stati nazionali e i loro cittadini, ad opera di burocrati non eletti che hanno potuto agire indisturbati grazie a politici sudditi, incapaci e complici. Da allora si sono succeduti esponenzialmente solo meccanismi automatici identificati da acronimi incomprensibili per annullare i poteri dei rispettivi Parlamenti nazionali, gli unici titolati e investiti dalla forza del suffragio popolare.
Zingales non scordi, per concludere, chei Trattati possono pure non essere rispettati. Gli esempi storici non mancano: la Prima Guerra Mondiale iniziò con noi legati dalla Triplice Alleanza all’Impero Austro-Ungarico e finì contro di loro e la Seconda iniziò con il Patto d’Acciaio e finì a fianco degli Alleati per il semplice motivo che prevalse il buon senso nell’interesse del Paese.
Ormai è evidente che l’Unione Europea a guida tedesca, nel disperato tentativo di rendere sostenibile la sua moneta, ha come unica arma a sua disposizione, la sospensione sine die della democrazia stessa così come noi la intendiamo e la desideriamo conservare. Certamente ritornare a una propria moneta non sarà una passeggiata, ma siamo certi che il prezzo da pagare per una uscita dall’euro è sicuramente di gran lunga inferiore alla nostra definitiva e irreversibile colonizzazione. Se non vogliamo fare la fine della Grecia dobbiamo riprenderci al più presto la nostra sovranità monetaria, madre di tutte le altre sovranità, costi quel che costi.