Reddito cittadinanza: Bergoglio si faccia gli affari (spirituali) suoi
di Alessio Mannino - 01/06/2017
Fonte: oltre la linea
Così come i laici miscredenti non dovrebbero ficcare il naso nei dogmi di Chiesa, la Chiesa non dovrebbe entrare a gamba tesa, come un partito qualsiasi, nel dibattito politico italiano. Nulla di nuovo sotto il sole: purtroppo siamo abituati da più di mille anni a dover fare i conti con Santa Madre, che considera la penisola il suo cortile. «Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di repubblica bene ordinato nella cittá nostra, Italia liberata da tutti e’ Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti»: così scriveva cinque secoli fa Francesco Guicciardini, e il suo auspicio rimane ancora attualissimo perché inattuato.
L’ultimo scampolo di scelleraggine lo ha fornito papa Francesco il 27 maggio. In visita a Genova, parlando agli operai dell’Ilva di Cornigliano ha voluto farci sapere, a noi che non ci dormivamo la notte, che il reddito di cittadinanza proprio non gli va giù: «L’obiettivo non è un reddito per tutti ma un lavoro per tutti». Uno pensa: a sostegno della sua tesi avrà citato un passo biblico. Macchè: la Costituzione della Repubblica Italiana, che evidentemente dev’essere diventato il quinto dei Vangeli canonici. «Possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con il lavoro indegno o malpagato è anticostituzionale. Se non fosse fondata sul lavoro, l’Italia non sarebbe una democrazia». Parola del costituzionalista Bergoglio.
Ora, facciamo a capirci: tutti i papi, e in particolare questo papa, la politica l’hanno sempre fatta e la fanno. E spesso sanno farla anche bene: conoscono i modi, dosano i tempi, tengono conto dell’opportunità tattica, seguono una strategia. Pronunciare una condanna così netta a nemmeno una settimana dalla marcia del Movimento 5 Stelle ad Assisi, che – fatalità – sventolava giusto la bandiera del reddito di cittadinanza (a guardar bene, nella versione grillina somigliante più ad una flexicurity danese, non universale ma condizionata a trovare comunque un’occupazione), equivale ad una chiara presa di distanza dal recente avvicinamento del grillismo all’universo cattolico. Altolà, Beppe: se citi San Francesco patrono d’Italia, se qualche esponente del mio mondo (come il direttore di Avvenire) ti strizza l’occhio, se mandi segnali distensivi sulle scuole paritarie, questo non significa – dice il Francesco vescovo di Roma e monarca d’Oltretevere – che noi che pascoliamo il gregge ti lasciamo credere che le pecorelle verranno docilmente a te.
Dal punto di vista del Capo dello Stato Vaticano, ci sta. Non ci sta da Capo della Chiesa che dovrebbe pensare più allo spirito, gravemente deficitario in questo deserto nichilista, che non a emettere giudizi politici addentrandosi nel merito di specifiche questioni. «Un assegno statale mensile che ti faccia portare avanti la famiglia non risolve il problema»: qui non parla il pastore d’anime, qui parla un candidato alle elezioni. Ma come si permette, il papa? Se il principio può essere più o meno condivisibile, che c’azzecca lui con le soluzioni da escogitare sull’assistenza sociale? A questo punto, che ci rivelasse la sua: magari potremmo anche votarlo.
Sì, perché poi se n’è uscito con quest’altra: «purtroppo, specialmente quando c’è crisi e il bisogno è forte, aumenta il lavoro disumano, il lavoro-schiavo, il lavoro senza la giusta sicurezza, oppure senza il rispetto del creato, o senza rispetto del riposo, della festa e della famiglia. In questo sistema senza etica al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo dio denaro». Centro. Perfetto. Queste sono parole da papa. Spirituale, s’intende, non temporale. Il Bergoglio che va oltre la difesa dei valori (giusti o no che siano, non discutiamo neanche, benché sul feticcio cristiano del Lavoro da dire ce ne sarebbe…) e si abbassa al comizio di fazione, fa il papa-re. Abbiamo già dato. Basta.