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Resistenza passiva individuale

di Eugenio Orso - 01/04/2017

Resistenza passiva individuale

Fonte: Pauperclass

Bei tempi, quelli in cui si vagheggiava la dittatura del proletariato come primo e tangibile esito della Rivoluzione. Tempi belli e migliori degli attuali, se non altro perché il distruttivo atomismo asociale liberal-liberista-libertaloide non aveva ancora assunto forme estreme, dominando le menti degli uomini e l’intera società (come accade oggi), e il conflitto verticale, fra l’altro e il basso della piramide sociale, rientrava ancora nell’ordine del possibile.

Negli ultimi due decenni, in particolar modo, abbandonati per sempre Marx e Lenin al loro destino, ci si è accorti che il conflitto non può che essere orizzontale, fra gruppi della classe dominante, almeno in questo frangente storico. La Rivoluzione sembra che sia morta e sepolta, retaggio di un passato destinato a sfumare nella memoria.

Se ai tempi di Lenin la guerra, scatenata dagli interessi della classe dominante borghese e imperialista, poteva concludersi soltanto con la rivoluzione operaia (anche se così storicamente non è stato, a livello mondiale), oggi la guerra, dichiarata dalle élite finanziarie neocapitaliste contro i popoli e le classi sociali inferiori, sembra non finire mai – esattamente come la “guerra infinita al terrore” e quella contro la rinata potenza russa – perché la prospettiva rivoluzionaria, almeno per ora, è clamorosamente sfumata, a cominciare dallo stesso occidente e dal nord del mondo.

Non ho intenzione di evocare, in questa sede, l’imponente opera di trasformazione antropologica e culturale intrapresa dalle élite neocapitaliste globali e dai loro servi, che ha portato a “togliere l’acqua al pesce” della Rivoluzione e neppure il “tradimento della sinistra”, che ha gettato alle ortiche gli interessi dei dominati passando dalla parte del nuovo padrone trionfante. Non voglio scomodare Antonio Gramsci e le sue riflessioni sull’egemonia e sulla cosiddetta rivoluzione passiva, per cercare a tutti i costi analogie con il presente, che in tal senso non appaiono, onde adattare a qualsiasi costo la lezione gramsciana ai tempi nuovi …

M’interessa sottolineare ciò che dovrebbe rientrare, banalmente, nella stessa esperienza esistenziale di ciascuno, cioè la sopravvenuta impossibilità della prospettiva rivoluzionaria – quantomeno nel breve e medio periodo, se si vuole a tutti i costi essere ottimisti.

La rivoluzione bolscevica russa guidata da Lenin ha inferto un colpo importante, anche se non mortale, all’imperialismo capitalistico-borghese del secondo millennio, pur trattandosi di rivoluzione in un solo paese. Più tardi, nel corso del Novecento, la rivoluzione maoista e quella cubana hanno mostrato, al di là di tutti i possibili giudizi di valore e i limiti incontrati, la concreta possibilità trasformativa dei rapporti sociali, ponendosi fuori dagli schemi e dagli steccati del modo di produzione capitalistico dominante. Oggi questa possibilità è negata alle masse e ciò che rimane è la guerra, scatenata dal neocapitalismo imperante – una sorta di imperialismo finanziario privato e quindi sfuggente – contro le nazioni e gli stati ribelli e, su altri fronti, contro le classi inferiori in occidente.

In poche parole, la guerra neocapitalista è senza limiti, combattuta con una grande varietà di armi, dalle “riforme” di Monti e Renzi contro lavoratori e pensionati, in Italia, ai bombardamenti aerei “per errore” della “coalizione” internazionale di 68 paesi, a guida Usa, sui militari che combattono l’isis a Deir Ezzor in Siria, o sui civili irakeni intrappolati a Mosul. Una guerra senza quartiere destinata a durare per molti anni ancora. La Rivoluzione, invece, sembra non avere più basi concrete – in termini di programmi politici alternativi, élite e quadri rivoluzionari disposti alla lotta, consenso di massa – per fermare la guerra infinita elitista, superare globalizzazione e nuovo capitalismo finanziario ed emancipare gli uomini.

Se per il filosofo Carl Schmitt è sovrano chi decide sullo stato d’eccezione, notiamo che le élite neocapitaliste, in molte aree del mondo, creano lo stato di eccezione e demoliscono i poteri costituiti dei singoli stati che dovrebbero affrontarlo e decidere, o li svuotano progressivamente di competenze come nell’Europa dominata dall’unione. Questo perché lo “stato d’eccezione” è funzionale al meccanismo riproduttivo neocapitalista, nel senso che le continue crisi – belliche e di natura diversa, spesso economica – sono un elemento irrinunciabile (strutturale) di questo modo storico di produzione. La sovranità globale dei dominanti neocapitalisti si manifesta proprio nel creare crisi/stati d’eccezione, in ogni angolo del mondo, in ogni società umana e su ogni mercato, sfruttandoli in una sorta di “caos controllato” per consolidare ed estendere il proprio potere.

Se questa è la realtà politica e sociale in cui viviamo, in assenza della possibilità (di riscatto) rivoluzionaria, non ci rimane che praticare la Resistenza passiva individuale, cercando di restare vivi in attesa di “tempi migliori”, ben consapevoli che potremmo non vederli nell’arco della nostra vita.

E’ persino inutile, oltre che pericoloso in primo luogo per se stessi, attivarsi nel vuoto attuale, in mancanza di un movimento antagonista che coordini la lotta politica, in assenza di precisi riferimenti programmatico-ideologici. Si rischia di cadere nella trappola anarcoide della vecchia “propaganda col fatto”, per cui il soggetto s’immola per colpire un singolo obbiettivo nemico, sperando di porgere l’esempio da seguire a milioni di altri. I media asserviti lo faranno passare, con facilità, per un povero squilibrato che rappresenta solo se stesso e il suo disagio, salvo che non sia islamista/jihadista, cioè una sorta di mercenario destabilizzatore (pur inconsapevole del suo vero ruolo), la cui violenza è utile alle élite dominanti per impaurire e rendere più ricattabile il popolo, giustificando così le proprie guerre, o scatenandone di nuove.

Da un punto di vista squisitamente politico, resistere significa non cadere nella trappola della democrazia, che conosciamo concretamente solo nella veste liberal-rappresentativa. Non partecipare al voto democratico o referendario (fantasma di democrazia diretta e specchietto per le allodole), non credere che le entità in lizza possano rappresentare vere opposizioni e alternative reali, non prestare alcuna attenzione ai proclami dei collaborazionisti politici e non credere (sto per scrivere una cosa più che ovvia) alle loro promesse. Il distacco dal cosiddetto sistema democratico implica il riconoscimento della sua natura maligna, cioè quella di strumento di dominazione elitista. Quando si farà avanti una vera opposizione è probabile che la riconosceremo e non sarà attraverso i meccanismi del voto democratico che potrà affermarsi e vincere. In quel caso – e solo in quello – ci risolveremo ad appoggiarla fino alle estreme conseguenze, anche a scapito della nostra incolumità personale …

Sul piano politico è altresì importante non cedere alle lusinghe di chi propaganda, per puro tornaconto elettorale, nuove forme di democrazia palesemente irrealizzabili, come, ad esempio, la “democrazia in rete”, e non cadere nella trappola della democrazia diretta, in uso nell’antico mondo degli Elleni e oggi irriproducibile.

Non cadere nella tagliola del “sogno europeo”, trappolone che prepara chi afferma di voler uscire dall’euro, solo previo referendum in materia e se ci sarà prevalenza del sì all’uscita, ma non dall’unione. Se si respinge la dominazione elitista, si devono rifiutare tutti gli organi della mondializzazione economico-finanziaria neoliberista e, quindi, in blocco tutte le sedicenti istituzioni europee, nonché i trattati-capestro che distruggono le nostre economie. Parimenti, l’uscita dalla Nato sarà per noi il discrimine fra una vera e una falsa opposizione.

Da altri punti di vista, soprattutto in paesi come l’Italia, non appoggiare i sindacati, i quali si sono ridotti a centri di sub-potere, disponibili a vendere la pelle dei lavoratori in cambio di “concertazioni” e del mantenimento di posizioni privilegiate per le loro miserabili burocrazie. Non credere alle loro menzogne e all’efficacia delle loro iniziative, come il dialogo fra le parti sociali, i tavoli per la concertazione, la democrazia che dovrebbe tornare nelle fabbriche, gli inutili e pacifici scioperini di una giornata o di quattro ore, eccetera. Se costoro, come accade in Italia, avversano l’invasione dei buoni per il lavoro occasionale nei vari settori produttivi e promuovono referendum abrogativi a riguardo, lo fanno principalmente perché i lavoratori precarizzati all’estremo, pagati poco e male con i voucher, non hanno alcuna ragione per iscriversi al sindacato, o per mantenerne la tessera (e l’esborso mensile), avendo ormai poco o nulla da perdere.

Ancora, cedere il meno possibile alle lusinghe del denaro elettronico, evitando con cura le (costose) carte di credito, usando sempre il contante, evitando il più possibile la tracciatura dei movimenti di denaro che ci riguardano.

Inutile precisare che tutto ciò che i mass-media e la pubblicità impongono come stile di vita, come comportamenti da assumere, come prodotti da comprare e beni/status simbol da possedere, è da rigettare senza tentennamenti, perché funzionale al mantenimento del sistema di potere sovranazionale in atto.

Una cosa delicatissima è decidere come comportarsi davanti all’invasione dell’Europa in atto, dal Mediterraneo e dalle rotte balcaniche. Anzitutto, il concetto neocapitalistico e politicamente corretto di “accoglienza” è da respingere, perché nasconde (neanche troppo bene, ormai) l’intenzione di sostituire/meticciare la popolazione europea sempre più velocemente, in modo da ottenere una neoplebe adattabile a qualsiasi condizione di lavoro, in un gioco al ribasso che non avrà mai fine. Tuttavia, non ci si deve mai scordare chi è il nemico principale, accanendosi contro il suo “bestiame da ripopolamento”. Per tale motivo, le violenze indiscriminate contro gli immigrati, che non fermeranno l’ondata migratoria indotta, sono da rigettare.

Infine, è necessario non farsi illusioni e valutare la realtà sociopolitica per ciò che è, senza cedere all’”ottimismo della volontà”, o a effimeri entusiasmi da blogger, ma restando ben ancorati al pessimismo della ragione. La globalizzazione non è finita, anche se Trump minaccia pesanti dazi doganali per ritorsione contro l’Europa, le cosiddette eurocrazie non sono in rotta dopo la Brexit, i “populismi” non stanno vincendo nel vecchio continente, perché in occasione delle prossime presidenziali francesi tutti i burattini saranno contro la Le Pen, la Russia, unico centro rilevante di resistenza mondiale ed europea, è sempre soggetta alla minaccia militare della Nato, che cerca lo scontro dal Baltico ai Balcani profondi, eccetera.

Chi praticherà in solitudine la Resistenza passiva individuale, non dovrà cadere preda di facili ottimismi e dovrà imporsi di guardare in faccia la realtà, per quanto brutta sia, consapevole che la Resistenza durerà lunghi decenni, non una manciata d’anni, e che la situazione potrà ancora peggiorare.

Una prolungata resistenza, sia pure passiva e solitaria, sarà la virtù dei forti … comunque andrà, non faremo la fine di Winston Smith.