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Riarmo: bufale e speculazione finanziaria

di Salvo Ardizzone - 21/03/2025

Riarmo: bufale e speculazione finanziaria

Fonte: Italicum

Sappiamo tutti che Ursula von der Leyen, con una procedura del tutto irrituale che ha distorto forma e sostanza dei trattati vigenti, ha lanciato un piano di riarmo europeo da 800 miliardi per costruire una “difesa europea”. Il motivo sarebbe un’asserita aggressività russa che, a detta dei vertici europei, nel prossimo futuro condurrà Mosca ad attaccare l’Europa. Peccato che nessuno di coloro che pronosticano un attacco entro 3, 4 o 5 anni al massimo spieghi perché ciò debba accadere, mostri uno straccio di studio appena serio, un report dell’Intelligence, niente.
Eppure, a puro filo di logica, è controintuitivo che il più grande paese del mondo – 17 milioni di chilometri quadrati che si estendono per 11 fusi orari – abitato da soli 145 milioni di abitanti, debba voler inglobare altri territori. Per farci che? Non certo per avere materie prime, ne ha a bizzeffe, assai più di quante ne riesca sfruttare. Che la Russia abbia fame di terre è ridicolo dirlo. Ma tant’è. Altro discorso è che voglia tenere indietro i suoi avversari dichiarati, che affermano di puntare alla sua sconfitta, perfino al suo smembramento. Ma non divaghiamo.
Per giustificare il massiccio piano di riarmo, i vertici di UE e NATO hanno asserito che la Russia spenda in armamenti più dell’Europa. Bufala colossale smentita da Military Balance 2025, che più ufficiale non si può. Nel 2024 Mosca ha speso 146 miliardi di dollari, a fronte del doppio – 294 - spesi dai soli 5 maggiori paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Polonia), che salgono a 457 se si aggiunge il resto dell’Europa. Uno squilibrio che si mantiene comunque vengano calcolate le spese.
Altra sciocchezza è che quelle somme colossali servano a costruire un Esercito europeo. Un Esercito è uno strumento che tutela la sovranità e gli interessi di una nazione perseguendo i suoi obiettivi e l’Europa - piaccia o no – non lo è, è un’espressione geografica, mentre la UE tutto potrà essere fuorché un soggetto politico, per cui mancano del tutto i presupposti perché possa esistere un Esercito europeo. È un’ipotesi del tutto campata in aria perché manca sovranità e direzione politica comune. Per inciso: ce lo vedete un comando semestrale, come è di moda in terra europea, che passi da Lituania a, chessò, Ungheria, con visioni diametralmente opposte, per poi andare alla Grecia, focalizzata sui problemi con la Turchia, e finire in Portogallo che da queste beghe, eufemisticamente, è estraneo? Insomma, manca il soggetto che possa affidare allo strumento un compito.
E per restare in tema di sciocchezze, c’è quella di allargare l’ombrello nucleare francese al resto della UE; lo è per almeno due ordini di ragioni: il controllo dei sistemi d’arma nucleari e del loro impiego resterebbe totalmente francese, e non potrebbe essere diverso perché 27 dita sul bottone rosso sono francamente troppe (per l’argomento, lo sarebbero anche due). E poi, la dottrina nucleare francese si basa sul livello minimo di deterrenza, ovvero, tarato per arrecare a un ipotetico aggressore quel tanto di danni sufficiente a bilanciare quelli subiti, con ciò dissuadendolo da un attacco nucleare perché non ne avrebbe vantaggio. Se la coperta dovesse essere estesa per bilanciare i potenziali danni subiti da altre nazioni (Germania, Polonia, etc.) dovrebbe essere proporzionalmente assai più vasta per funzionare. E ammesso e non concesso che si possa fare: chi pagherebbe lasciando tutto nelle mani della Francia? Dandole pure la primazia politica e militare sul Continente?
Sia come sia, ReArm Europe è stato messo sul tavolo: il progetto prevede 650 miliardi di euro che gli stati europei potranno spendere a debito senza che vengano conteggiati ai fini del Fiscal Compact, e altri 150 da poter sborsare con garanzie europee. Per cui, sì a far debito a più non posso per armarsi, no per welfare, sanità o istruzione. Non solo, sarà debito che costerà di più, malgrado il taglio dei tassi della BCE, perché i mercati (leggasi: i grandi fondi), nell’aspettativa di una simile massa di emissioni, hanno già alzato le pretese di rendimento per sottoscriverle. Qualcuno direbbe: “È il mercato, bellezza!”.
Si è pure detto che queste spese massicce per il riarmo avranno salutari ricadute sull’economia e sull’occupazione dei vari stati: è ancora una bufala, e per molte ragioni. Le industrie del comparto militare europeo non sono in grado d’assorbire simili volumi d’acquisto perché già al massimo delle loro possibilità produttive e i possibili incrementi saranno solo marginali. Del resto, stando al SIPRI, il più autorevole centro studi in materia, già nel 2024 gli stati europei acquistavano il 64% dei sistemi d’arma dal comparto militare-industriale americano, percentuale destinata ad aumentare per la saturazione di quello europeo. E attenzione, a quella percentuale si devono aggiungere gli acquisti effettuati in Corea del Sud, Israele e via discorrendo, che impiegano tutti tecnologia americana. E non solo.
In questo squilibrio fra domanda e offerta, i sistemi d’arma costeranno sempre di più; già oggi si notano aumenti di due, tre volte di quanto si sarebbe speso solo tre anni fa per, praticamente, gli stessi mezzi. Manna per i colossi dello Zio Sam e sollievo per il suo disastrato bilancio federale: Trump ha dichiarato che intende tagliare le spese ormai fuori controllo del Pentagono dell’8% per i prossimi anni, riducendone il bilancio da 900 a circa 600 miliardi. Non saranno tagli lineari, l’essenziale, come il teatro indo-pacifico, l’Artico o lo spazio, verranno anche potenziati, ma è comunque dubbio che il Congresso, e il peso delle lobby, rispetterebbero questa drastica cura dimagrante, a meno che...a meno che, a mantenere alti i fatturati pensassero gli stati europei, sotto il diktat di acquistare più armi americane.   
E qui c’è ancora un aspetto, presente da sempre ma che solo ora, con l’emergere della divaricazione fra le attuali leadership europee e americane, viene preso in considerazione: il controllo virante in stretta dipendenza derivante dall’uso di sistemi d’arma di paesi terzi. Caso emblematico è quello dell’F-35, di cui solo ora – con enorme ipocrisia - ci si accorge. In sostanza, sono gli Stati Uniti ad avere i codici sorgenti di quei sistemi e, al di là d’ogni rassicurazione di facciata, possono disabilitarli qualora gli aerei venissero usati per missioni contrarie ai loro interessi. Ma, senza giungere a tanto, Washington può semplicemente interrompere aggiornamenti del software, ricambi, assistenza e ogni altra cosa che rende un sistema d’arma idoneo a svolgere la missione per cui è acquistato. Punto.
Tuttavia, a rendere ancor più irrealistico il progetto europeo c’è un’altra questione, quella degli effettivi, degli uomini. Si possono comprare tutti i sistemi d’arma che si vogliono - carri da battaglia, blindati, cannoni, elicotteri, anche aerei o missili - ma poi servono uomini per usarli, è questa è nota dolente per tutto l’Occidente, USA compresi. Da anni e anni i reclutamenti sono in calo e, soprattutto in Europa – compreso il Regno Unito – non si riescono a completare gli organici previsti. Che, col ritorno della guerra ad alta intensità che si è vista in Ucraina, dovrebbero essere aumentati di gran lunga.
Si è tentato di tutto, dagli incentivi economici all’abbassamento degli standard psico-fisici, ma inutilmente; chiedere all’esercito francese o a quello inglese per avere conferma (quello americano è messo anche peggio). Pensare di moltiplicare gli effettivi tornando alla leva è stare fuori dalla realtà, è favoleggiare di un contesto inesistente. A parte che un soldato, con le competenze richieste dai sistemi d’arma odierni, non si forma con un anno di leva, è in ogni caso irrealistico credere che oggi essa verrebbe accettata. Molto ci sarebbe da dire sul perché, ci porterebbe lontano, è comunque un fatto. Guardarsi attorno per averne conferma.
E, in ogni caso, i costi per dare sufficienti stimoli economici a sostenere un arruolamento di massa, e a far rimanere comunque sotto le armi chi ha conseguito le assai costose competenze specialistiche per guidare un caccia, pilotare un carro o un drone in battaglia, sarebbero del tutto insostenibili. È un problema comune a tutti gli eserciti occidentali, nessuno escluso.
Ciò detto, c’è ancora un aspetto, a mio avviso sostanziale, che spiega il bellicismo degli establishment europei: il capitalismo liberista di cui essi sono esponenti è in crisi; la bolla della transizione green è praticamente archiviata, perché tutti i segmenti della filiera sono in mani cinesi; quella Hi-Tech si sta sgonfiando, è stata sufficiente l’app di una piccola start-up cinese come Deep Seek a scuoterla rudemente. Segnale di pericolo d’implosione. Per la finanza è imperativo creare un’altra bolla da cui pompare gli utili stratosferici con cui si alimenta. Quella degli armamenti è l’ideale, sostenuta da un’ossessiva narrazione bellicista che ci racconta che il nemico è alle porte e dunque urge armarsi a qualsiasi prezzo.  
E attenzione, non serve solo a questo: nelle attuali condizioni dei bilanci statali europei, destinare enormi capitali verso il comparto militare industriale significa toglierli a welfare, sanità, istruzione, smantellando quanto resta dello stato sociale che ha assicurato un certo grado di benessere e sicurezza alle popolazioni europee. E con ciò costringendo chi ha risparmi a far da sé, indirizzandoli verso polizze che assicurino (o dicano d’assicurare) coperture pensionistiche, sanitarie e assistenziali oltre che verso l’istruzione privata. Con ciò configurando un ulteriore, gigantesco, business a fondi come Black Rock, Vanguard, State Street e via dicendo.
Capitali di cui l’area europea ancora dispone (si stimano in circa 3.000 miliardi) che verranno sottratti a possibili impieghi produttivi per essere destinati ad alimentare la voracità della finanza. Essenzialmente americana. Con ciò strappando le ultime risorse a un’Europa ridotta a preda, condannata a subalternità. Prospettiva suicida, certo, ma è quella a cui gli establishment, dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico, ci stanno scientemente indirizzando.





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