Rivoluzione permanente
di Andrea Zhok - 15/02/2020
Fonte: Andrea Zhok
Rileggendo un po' di letteratura storica sull'imperialismo emerge spesso un fraintendimento fondamentale circa la natura del capitalismo.
Si trova spesso l'osservazione per cui spiegare le iniziative imperialiste e coloniali con le spinte del capitalismo in cerca di nuovi orizzonti di investimento sarebbe erroneo, perché, dopo tutto, l'incidenza netta delle imprese coloniali sui profitti non appare particolarmente rilevante.
Qui l'errore di fondo sta nel credere che il capitale si muova essenzialmente quando ha la garanzia di un ritorno. Questo è ciò che avviene nell'attività di erogazione di crediti al dettaglio, ma non ha nulla a che vedere con le 'intenzioni del capitale', cioè con le pressioni e proposte che vengono promosse da chi detiene e cura i grandi capitali.
Il punto essenziale nell'essenza del capitale è la ricerca di MOVIMENTO.
Il capitale deve muoversi per esistere. Rimanendo fermo esso manifesta la propria paradossale esistenza, ovvero il fatto che, in senso proprio, esso non è assolutamente nulla, è un numero su un conto, una riga in un contratto. Ma quel numero o quella riga diventano potenti nel momento in cui gli uomini credono che essi gli permettano di fare cose, di promettere iniziative, di coordinare e organizzare attività. Il denaro è per essenza una promessa di disponibilità a venire, promessa che deve essere creduta da altri soggetti. Di per sé non è la disponibilità di nulla: non di beni, non di potere, non di autorità, non di prestigio. Ma nel movimento, quando si deve organizzare un'iniziativa collettiva, in quel momento esso entra in funzione ed esprime le sue potenzialità.
Per questo motivo di fondo, il capitale teme soltanto una cosa, e cioè di stare fermo. Se sta fermo è come IT quando le persone non credono più che faccia paura: diviene impotente, appassisce e muore.
Per questo motivo, anche catastrofi, anche emergenze e sommovimenti non lo mettono a repentaglio, tutt'altro. Quando c'è un "grande dramma" il capitale diviene importante, potente. Quand'anche nel suo movimento iniziale 'andasse in perdita', ciò è irrilevante, perché il grande capitale (diversamente dal denaro di chi ne ha bisogno per vivere) non è pensato per essere mai 'consumato', non è qualcosa il cui senso è di venire mai trasformato pienamente in entità reali (il valore del capitale finanziario circolante è un multiplo del Pil mondiale). Il capitale non sono 'soldi' nel senso comune del termine. E' Potere in forma economica e come tale esso può essere esercitato in un modo molto più elastico di qualunque somma di denaro destinato al consumo.
Da qui a sostenere la tesi 'complottistica' che il grande capitale promuova attivamente emergenze e catastrofi ce ne passa.
Ma la distanza rispetto a questa tesi complottistica sta tutta nel negare l'idea che vi siano piani coordinati, che ci siano veri e propri complotti rivolti in tale direzione.
Se però si tramuta in modo più realistico il quadro, le conseguenze che se ne possono trarre non sono troppo dissimili dal quadro 'complottista': il grande capitale non ha bisogno di creare a bella posta nessuna emergenza. E' sufficiente che soffi sul fuoco quando un'apparente emergenza si manifesta, producendosi in un fuoco d'artificio di 'riorientamenti' del portfolio, di 'riposizionamenti', di proposte di reinvestimento, e con ciò contribuendo a far divenire reale l'allarme (visto che i comportamenti dei mercati sono una delle principali autorità da cui i media traggono ispirazione.)