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Roma, il cinque stelle e la politica dell’inganno

di Eugenio Orso - 17/09/2016

Roma, il cinque stelle e la politica dell’inganno

Fonte: Pauperclass

Siamo lontanissimi, oggi, dal filosofo Aristotele, che concepì per primo la politica come l’arte di amministrazione della Polis, cui tutti partecipano per conseguire il bene collettivo. Siamo lontani anche dal sociologo Max Weber, che considerava sovrano il potere politico, capace di mettere in soggezione il cruciale potere economico, basato sul possesso delle risorse materiali. Secondo il giurista Carl Schmitt, la contrapposizione fra amico e nemico informa ogni comportamento politico e la politica, che si nutre di questa contrapposizione escludente e discriminante, è sede del più intenso conflitto.

Politica come amministrazione per il bene collettivo, politica sovrana in grado di mettere sotto tutti, anche l’economia, politica come conflitto ineliminabile fra amici e nemici, eccetera. Questo ci raccontano i grandi pensatori del passato, che vissero tempi molto diversi dal nostro, in cui anche la politica aveva un significato difforme dall’attuale.

Secondo una certa vulgata, fu Niccolò Machiavelli, fondatore della moderna politica autonomizzata dalla religione, a concepire la politica stessa come inganno. Se così fosse, come sostengono le “malelingue”, il celebre autore de Il Principe sarebbe un po’ più vicino a noi e alla complessità dei nostri tempi. Sì, perché oggi la politica, dall’inconfondibile marchio liberaldemocratico, è fondata esclusivamente sull’inganno e sulla teatralità che oppone maggioranze al servizio di poteri esterni, privati, finanziari, a opposizioni posticce o debolissime, che non potranno mai mettere in discussione il sistema e i suoi veri fondamenti.

Dietro la patina di partecipazione collettiva e di volontà popolare, si fanno i giochi delle più sordide e ciniche oligarchie, quelle del denaro e della finanza. Gli amici e i nemici sono falsi, perché le opposizioni posticce non costituiscono un vero nemico, per coloro che detengono effettivamente il potere (le élite) e i loro servi subpolitici (la maggioranza), ma sono a loro volta al servizio del sistema. Il potere economico-finanziario, nel nostro presente, determina quello politico e non viceversa. La buona amministrazione della Polis, cui tutti devono contribuire accedendo allo spazio politico, ce la scordiamo perché lo scopo di chi fa politica è un altro, ben diverso se non opposto.

C’è poco da fare, ormai … dal nobile Aristotele della buona amministrazione pubblica all’”ignobile” Machiavelli della politica come inganno, il passo non è certo breve, ma è un passo già compiuto interamente all’inizio del terzo millennio.

Se queste sono, in estrema sintesi, le premesse, tutta la questione di Roma, del cinque stelle, della giunta Raggi e dei suoi riflessi sulla politica nazionale, dovrebbe apparire un po’ più chiara di un confuso psicodramma di cui non si possono prevedere le conseguenze. Cerchiamo di spiegare come stanno le cose, in poche parole.

Vero è che la giunta pentastellata della Raggi è un corpo estraneo e gli anticorpi della “mala-amministrazione”, che finora ha dominato, si sono messi in azione per farla crollare nel giro di qualche mese. La diabolica triangolazione Mafia capitale-piddì-sindacati agisce con questo precipuo scopo. Non c’è più Marino, che tutto sommato aveva la tessera del piddì in tasca e all’inizio era espressione degli alleati politici di Mafia capitale, non c’è più il “destro” Alemanno benevolo verso la corruzione, al punto che fu la star di Parentopoli!

I cinque stelle, con la loro smania di accreditarsi alla guida del paese e, soprattutto, di sdoganarsi sotto lo sguardo benevolo delle élite dominanti, possono risultare un problema, per i grandi affari che si fanno amministrando comuni come Roma. C’è il rischio che costoro abbiano preso sul serio lo slogan “onestà”, rompendo un po’ troppo le uova nel paniere! Una vicenda costellata di dimissioni, avvisi di garanzia, mail sibilline, scelte sbagliate di amministratori, difficoltà (insormontabili?) nel comporre la squadra di governo dell’Urbe, testimonia in tal senso.

Tuttavia, non è questo il punto e non lo è neppure il riflesso nazionale della vicenda sul consenso e sulle percentuali nei sondaggi del cinque stelle. Il punto è che il “partito di riserva” che fu del defunto Casaleggio deve essere un po’ ridimensionato, perché non è ancora pronto il famigerato “partito della nazione” che dovrà sostituire l’obsoleto piddì, quale entità subpolitica collaborazionista delle oligarchie dominanti e dei poteri esterni.

Se l’incravattato furbetto Di Maio si è illuso di aver avuto una sorta d’investitura, dopo gli incontri con gli ambasciatori europei e i boss della Trilateral, per far le scarpe a Matteo Renzi prima del 2018, ora deve ricredersi e abbassare un po’ la cresta, giacché il fango della vicenda romana ha sporcato anche lui. Del resto, i quadri rampanti di una opposizione posticcia sanno che non possono spingersi oltre una certa soglia. Costoro, che son tutto fuorché rivoluzionari disposti a rischiare, devono fare i conti con il Vero Potere (come lo definiva Paolo Barnard), che ha l’ultima parola e decide chi deve governare e quando si dovrà sostituire.

Non che gli oligarchi delle City finanziarie occidentali vogliano liquidare al più presto i cinque stelle, partendo dall’annunciato disastro della giunta capitolina. Semmai, questo lo desiderano i delinquenti di Mafia capitale e i loro referenti romani del piddì e dei sindacati, che però non decidono gli assetti del governo centrale.

Finora, il “partito di riserva” che si spaccia per movimento è stato utile agli oligarchi, non certo agli italiani. Ha assorbito astensionismo legittimando il sistema di governo liberaldemocratico, soggetto al controllo oligarchico e sede dell’inganno politico. Ha impedito alle masse di assumere comportamenti violenti, insurrezionali se non addirittura embrionalmente rivoluzionari, davanti al continuo impoverimento e alla perdita esponenziale di diritti. Inoltre, nella rappresentazione teatrale della democrazia, una o più opposizioni sono indispensabili, a patto che non siano vere e determinate …

Le oligarchie dominanti preferiscono attendere che si costituisca il non meglio definito “partito della nazione”, in sostituzione del piddì che ha fatto il suo tempo. Questa è la prima opzione e, perciò, meglio non rischiare che il cinque stelle sopravanzi troppo il piddì, mentre si costruisce la nuova entità collaborazionista con pezzi del piddì stesso, schegge del centro e del centro-destra. Infatti, non è un caso se l’opera del cialtrone senza scrupoli Matteo Renzi è sempre stata volta ad alimentare i conflitti interni, dividere, spaccare, umiliare gli “avversari interni”, provocare abbandoni e cali di tesseramento, calamitare schifezze come i transfughi di sel, gli ex di scelta civica, i verdiniani e simili iatture.

Nel caso il piddì e l’attuale governo dovessero collassare troppo rapidamente, non essendo ancora pronto il “partito della nazione”, ecco che gli oligarchi potrebbero risolversi a concedere la chance di governare al “partito di riserva” dei cinque stelle, che coronerebbero così il loro sogno (di arrivare al potere) in una situazione di emergenza. Dubito, però, che un tale governo possa durare a lungo, un’intera legislatura o oltre, perché si tratterebbe di una soluzione temporanea per evitare, nel breve, lo “sbando” istituzionale, nonché possibili rivolte e violenze da parte della popolazione disperata.

Concludendo, ai nostri giorni la politica è soltanto inganno, con il contributo determinate dei media e i cinque stelle, che mettono in scena loro malgrado lo psicodramma della giunta capitolina, giocano un ruolo importante, essendo parte integrante di questo inganno almeno quanto il piddì di governo, collaborazionista delle oligarchie finanziarie.

Poveri Aristotele, Weber e Schmitt! L’”ignobile” e cinico Niccolò Machiavelli aveva le sue buone ragioni …