Scienza o scientismo?
di Federico Fracassi - 15/04/2022
Fonte: InStoria
È pressoché pacifico che la parola “scienza” abbia una propria estetica fin dall’antichità, nella misura in cui il comune sentire di ogni epoca ne ha subìto il fascino sublime, in modi diversi nello spazio e nel tempo. Non si può quindi neanche escludere che la parola abbia suscitato – e tutt’ora rechi in sé – emozioni e comportamenti contrastanti, del tutto o per nulla in linea con l’essenza a cui essa supplisce. Ma cosa sia la scienza, quale sia la sua essenza e quando un uomo possa dirsi scienziato sono problemi specifici emersi in modo evidente a partire dalla sistemazione di tutto il sapere operata da Aristotele: alle sue opere logiche, alla sua Fisica e alla Metafisica si deve far risalire la stessa terminologia ereditata dal discorso scientifico e dall’epistemologia contemporanei.
In un certo senso dunque, qualsiasi scienziato oggi come ieri ha guardato al mondo e all’oggetto del suo studio “attraverso gli occhi di Aristotele”, cioè non solo attraverso il suo metodo, ma in base alla concezione di metodo e a tutto quanto egli derivò criticamente sia dal suo maestro Platone sia dalla cultura del suo tempo. Tanto dovrebbe bastare a intendere quanto il discorso scientifico sia oggi internamente scisso e tragicamente lontano in spirito dalla lettera aristotelica, la cui persistenza nei linguaggi attuali non può che provocare una sensazione di straniamento beckettiano a chiunque abbia anche solo una conoscenza scolastica dell’autore citato, o più in generale del pensiero greco antico.
La logica intesa come analitica della struttura formale generale della scienza, o l’individuazione del concetto di Sostanza come principio di legittimazione ed equiparazione del valore ontologico di tutte le scienze, non sono i soli criteri in base ai quali è opportuno denunciare l’attuale parabola discendente del pensiero scientifico, poiché non è affatto strano che col passare dei secoli esso acquisisca o perda certe caratteristiche. Ciò che preoccupa è piuttosto l’innaturale e spasmodica ricerca di assoluta autonomia delle singole scienze dalla originaria dimensione umanistica a cui lo stesso Aristotele le ascrisse, facendo risiedere i loro princìpi – di ognuna più o meno indirettamente – nella Filosofia.
Ogni scienza è filosofia e la filosofia stessa è il primus inter pares delle scienze, perché indaga le cause e i princìpi primi, l’Essere e le cose eterne, il senso e l’intelligibilità del mondo stesso. In aperta polemica con la trascendenza delle Idee platoniche e da vero amante della Natura in ogni suo aspetto, Aristotele sottrasse la possibilità di una autentica e profonda conoscenza del mondo all’esclusività del sapere divino per restituirla alle capacità speculative dell’intelletto umano, le quali possono acquistare finanche certezze se affinate con umiltà ed esercizio di metodo.
Perfino il suo maestro può essere considerato un mistico ma non proprio un pensatore dogmatico. Questo accennato confronto tra i magnifici Greci infatti non vuole certo costituire un termine di confronto con l’attuale deriva religioso/dogmatica della comunicazione scientifica e – con ogni probabilità – del nerbo stesso della comunità scientifica mondiale. Né potrebbe essere un paragone adatto la Chiesa medievale, che pure ricevette e sviluppò straordinariamente il pensiero scientifico greco, ad esempio annoverando nel XII secolo filosofi del calibro dell’aristotelico Tommaso D’Aquino, al quale si riferisce un motto importante per tutto il periodo della filosofia Scolastica: scientia est cognitio rerum per causas.
Tommaso rappresenta uno dei momenti apicali del pensiero cristiano. Il suo studio da solo sarebbe sufficiente a smontare quell’infondata sequela di pregiudizi tutt’ora diffusi sui “secoli bui”, sulla “ignoranza medioevale”, sulle damnatio memoriae e le censure per eresia da parte della Chiesa, le quali pure vi furono, ma non riuscirono a bloccare significativamente il fermento e la variegazione filosofico-culturale crescenti in Europa.
Talvolta addirittura le stimolarono non intenzionalmente, come avvenne negli anni immediatamente successivi alla celebre condanna inflitta dal vescovo di Parigi Ètienne Tempier (consacrato nel 1268) a ben 219 tesi sostenute dagli aristotelici radicali, filosofi e teologi d’alto profilo, laici e chierici, i quali si videro costretti a perfezionare i propri metodi di ricerca e di comunicazione per far circolare i loro studi nelle università anche al costo di eludere la sentenza.
Naturalmente questi cenni pur fondamentali non esauriscono l’inesauribile discorso su cosa è stata o cosa dovrebbe essere la scienza, non è proprio del mestiere di storico pretendere di applicare le stesse categorie a tutte le epoche, quanto non lo è di alcuna ricerca fare di tutta un’erba un fascio. Ma quando, sociologicamente, l’apologia del relativismo si spinge troppo oltre, ecco confondersi dialettiche e criteri fino al fenomeno – paradossale per il relativismo stesso – di considerare una scienza assolutamente sovraordinata a un’altra. In questo modo l’etica, come avviene, si riduce a confine arbitrario, labile e per lo più innocuo, al desiderio potenzialmente infinito e autodistruttivo dell’uomo perfettamente rappresentato dall’odierna società di mercato.
A posteriori, la famosa mano invisibile – che il teorico del liberismo Adam Smith istituì a metafora del meccanismo “provvidenziale” di autoregolamentazione del mercato – straripa fuori dall’economia, si radicalizza grottescamente e sdogana di conseguenza un’etica frammentata in “etichette” personalizzabili in base ad esigenze di consumo, quasi sempre eterodirette con mezzi invalsi nel capitalismo tradizionale quali la creazione/induzione di falsi bisogni e la pubblicità subliminale. Qualsiasi aspetto del mondo e della vita umana ne risente, in questo caso la parola “scienza”. Niente più che un erroneo ma ormai canonizzato modo di riferirsi a un particolare complesso industriale, con relativo indotto.
Gli scienziati assumono un ruolo di operai e attori economici (volenti o nolenti, consapevoli o meno) costretti a brevettare e vendere metaforicamente le loro “verità” attraverso pubblicazioni su riviste scientifiche a loro volta legate a diversi centri economici e di potere, affannandosi a far crescere e difendere il loro H-index dalle intemperie mediatiche, dalla concorrenza su scala globale e dalla volubilità dei gusti e dell’opinione pubblica.
Dal momento che sono stati resi dei novelli brokers, sempre sull’orlo del conflitto d’interesse come è ovvio in un simile sistema, ci sarebbe da chiedersi se e quale valore abbiano i contenuti di una scienza rispetto ai suoi attori diretti e indiretti, ed è proprio qui che sta la grande differenza con lo scientismo, che è invece il già denunciato atteggiamento di privilegio nei confronti della tecnoscienza, del tecnoentusiasmo, del culto della personalità scientifica e del “progresso”. Resta da vedere, soprattutto alle condizioni attuali, quale progresso e secondo chi.
Certo è che il concetto di comunità scientifica appare perduto, se per comunità si intende uno spazio di condivisione tra studiosi affiatati, guidati dalla coscienza che più intelletti in collaborazione sono meglio di uno alla ricerca di un qualche bene che possa dirsi “comune”. Non è compatibile con lo scientismo attuale, il quale presenta tratti comuni ad una perversa religione, soprattutto perché ipostatizza alcuni contenuti e/o autori, non ammette che la ricerca torni sui propri passi, è spesso accompagnato da un risentito ateismo, è pregiudizievole nei confronti dei quesiti posti da altre discipline e sostiene radicalmente la divisione delle due culture: quella scientifica e quella umanistica.
La “vera scienza” dunque non è divina ma è appannaggio di quanti credono in essa come all’unica chiave per la soluzione di tutti i problemi e l’emancipazione finale, la quale, favoleggiano alcuni, consisterebbe proprio nel congedarsi dell’uomo dalla sua stessa natura materiale e psichica nei modi più fantasiosi ed inquietanti. È quanto si può rintracciare anche in numerosi e diffusi film di fantascienza, romanzi o documentari di divulgazione.
Questi, pur essendo prodotti di fantasia o rappresentazioni della realtà subordinate ad esigenze di intrattenimento, sono un mezzo come un altro per produrre culture e sottoculture in grado di espandersi e sedimentarsi in un intelletto comune, indipendentemente dal favore o lo sfavore con cui l’individuo le recepisce. L’eventualità di trascendere o annullarsi attraverso l’unione di scienza e tecnica non è mai stata estranea ad un certo pensiero elitario, ma ora attraverso globalizzazione e comunicazione di massa sembra farsi perfino “popolare”.
Non è assurdo qui distinguere il profilo di una Gnosi che -in modi nuovi- affligge ancora oggi non solo l’accademia italiana. Un’accessibile e generale definizione di Gnostico la offre Origene (Alessandria d’Egitto, 185 o 186 d.C.-Tiro, 254 o 255 d.C.) uno dei primi dottori della Chiesa ad aver elaborato un grande sistema di filosofia cristiana, che nel prologo del De Principiis descrive il compito da lui assunto: “Gli apostoli […] ci hanno tramandato con la più grande chiarezza tutto ciò che hanno giudicato necessario per tutti i fedeli, anche a quelli più lenti nel coltivare la scienza divina. Ma hanno lasciato a quelli dotati dei doni superiori dello spirito e specialmente della parola, della saggezza e della scienza, la cura di ricercare le ragioni delle loro affermazioni. Su molti altri punti essi si sono limitati all’affermazione e non hanno dato alcuna spiegazione: affinché quelli dei loro successori che abbiano la passione della saggezza possano esercitare il loro genio”.
Si può dire che almeno in Italia – soprattutto dacché la gestione dell’emergenza sanitaria lo ha posto in primo piano – lo scientismo dogmatico abbia sconfinato nella politica, che intenda la storia della scienza come parallela e superiore a quella umana e lo faccia in modo lineare e continuo, o magari intenda l’“emancipazione finale” di cui sopra come un ragionare al di là del bene e del male, ora tentando di arrogarsi la primazia culturale in ambito scientifico, così come fu per gli Gnostici in ambito religioso, seppure in essi non c’era confine tra vera scienza e vera religione.
Quella odierna diviene così una nuova – ma non certo la prima – forma di pericolosa deriva culturale logicamente incompatibile coi presupposti di un assetto democratico egualitario come quello descritto al titolo I della Costituzione. Restano la vecchia sensibilizzazione al dubbio e una certa dose di “stoicismo” gli ingredienti fondamentali per resistere all’angoscia.
Fonte:
N° 171 / MARZO 2022 (CCII)