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Scusate se vi parlo di Tiziana Weiss

di Gianni Sartori - 04/12/2016

Scusate se vi parlo di Tiziana Weiss

Fonte: Gianni Sartori

 

Entro in punta di piedi, in punta di piedi e con gli scarponi in mano.

Non tanto per soggezione nei confronti  del gran “Mondo dell'Alpinismo” (ho incontrato Grandi Alpinisti che, umanamente parlando, erano scanzonati bambinoni, magari un tantino presuntuosi), ma proprio per il profondo rispetto che porto alla memoria di Tiziana Weiss.

Per farla breve. Quel tragico 23 luglio 1978 (indegnamente ca va sans dire) potrei essere stato l'ultima persona che ha parlato con Tiziana. A parte il suo compagno di cordata, ovviamente.

All'epoca, ancora più speleologo (speleista?) che alpinista e in seguito più escursionista (per quanto avventato, talvolta avventuroso) che alpinista, avevo ripreso a frequentare saltuariamente l'ambiente del CAI vicentino; sia in “Gogna” (ex cava trasformata in palestra di roccia) che sulle Piccole Dolomiti.  Qui ritrovai un ormai esperto Ruggero Pegoraro, nipote di Pierino Radin (suo zio) che ricordavo giovanissimo operaio all'epoca della sua, breve, militanza in lotta comunista.

In precedenza, primissimi anni settanta, ero stato più volte in cordata con un caro amico, il compianto Mariano Parlato.

 

Per gran parte degli anni settanta ho lavorato anche di sabato pomeriggio (prima come facchino, poi come operaio e finalmente in una grande libreria dove poter alimentare la mia formazione di “proletario autoalfabetizzato”). Impossibilitato quindi a seguire gli amici in Dolomiti nei fine settimana. Ero in libertà, per quanto vigilata, soltanto al lunedì mattina. Lo trascorrevo regolarmente o in Gogna (incontrando talvolta Renato Casarotto “in fuga” dalla stazione ferroviaria dove lavorava) o a Lumignano, a quei tempi ancora eco-compatibile, dove solitamente salivo 2-3 volte in libera solitaria (senza “sicura”) la Marusca, la Danieli e altri brevi percorsi sul III scendendo poi in corda doppia.

Spesso, bontà sua, il Ruggero rinunciava alle uscite del CAI di due giorni (sabato e domenica)  e mi aspettava per raggiungere nottetempo un fienile, baita o rifugio delle Feltrine o delle Pale, da dove il giorno dopo imbarcarsi per affrontare qualche via.

Così avvenne in quella sera lontana del luglio 1978. Partimmo verso le nove di sera, eccezionalmente con la 500 di mia moglie (all'epoca giravo quasi esclusivamente in moto, oltre che in bici).  Raggiungemmo la Val Canali e, su indicazione di Pierino Radin, “occupammo” un fienile ben provvisto di fieno attendendo l'alba per salire al rifugio Treviso.

 

Qui intravidi una ragazza. Mi pare si sporgesse da una finestra, forse un balcone, dell'annesso-rustico al rifugio; la notai, ma non la riconobbi (ma di sicuro era sorridente, almeno nei miei ricordi).

Fu Ruggero a farmelo notare; “Hai visto? Quella era la Tiziana Weiss...”. L'avevamo vista un paio di volta a Vicenza dove presentava le sue diapositive. Una sola, ricordo, del “mio amico Enzo Cozzolino”* (in libera solitaria su una parete del Civetta). E poi quelle della spedizione Annapurna III del 1977 (a cui entrambi -Radin e Weiss - avevano preso parte) dove il nostro concittadino Pierino aveva rischiato seriamente di rimanerci, come invece accadde allo sfortunato Luigino Henry. Per inciso,  chissà che fine avrà fatto il portatore soprannominato “Diesel” che se lo era riportato a spalle fino al campo base, per ben 6 giorni attraverso crepacci e seracchi?

Era stato proprio proiettando queste immagini che Tiziana aveva espresso un certo rammarico per il fatto che “in fondo queste terre e popolazioni noi le stiamo rovinando, stiamo esportando anche qui i nostri modelli consumistici...”. Poche frasi, ma che esprimevano un grado di consapevolezza (politica, ambientale o semplicemente umana) irraggiungibile per la gran parte del mondo alpinistico, come si confermerà ampiamente negli anni successivi. Vedi per esempio in occasione dell'ultimo devastante  terremoto in Nepal. Le richieste degli alpinisti bloccati ai campi base (dove comunque erano in grado di sopravvivere) di essere prelevati con l'elicottero, mentre tanta popolazione stava tirando le cuoia sotto le macerie, scandalizzarono perfino Messner. 

Arrivati sotto la parete risalimmo lo zoccolo ( le “rocce gradonate ed erbose”) in cerca dell'attacco. Mentre ci stavamo rendendo conto di aver preso una cantonata (una “falsa partenza”: la nostra via, la Castiglioni-Detassis, iniziava più a sinistra) vedemmo arrivare e salire fino a dove stavamo discutendo, due alpinisti. Tra cui appunto Tiziana Weiss. Anche loro avevano sbagliato (cercavano l'attacco della Frisch-Corradini), ma in senso opposto; avrebbero dovuto quindi tornare sui loro passi, in direzione del rifugio, come verificarono consultando la “nostra” guida (in realtà era quella di Radin che l'aveva prestata, con le dovute raccomandazioni, al promettente nipote-allievo). Scambiammo qualche considerazione e Tiziana, saputo della parentela, chiese a Ruggero notizie di Pierino. Da parte mia trovai il tempo di complimentami per la sua, se pur breve, analisi  sui danni prodotti dall'esportazione di modelli e “stili di vita” occidentali in Nepal e dintorni (anche quelli esibiti da soggetti soidisant  alternativi come hippies o alpinisti...).

Ci salutammo e qui avvenne qualcosa. Li stavo osservando mentre, ridiscesi, si allontanavano lungo la base delle pareti (Ruggero, più professionale, stava studiando la possibilità di raggiungere il nostro attacco in traversata, senza dover scendere) quando a un mio commento ad alta voce (“ciò Rugy, ormai tachemo a conosare gente inportante...”; vado a memoria, ma sicuramente era in lengoa veneta, da notare la “n” davanti alla “p”) Tiziana si voltò e sorrise. Rimasi ammaliato. Ricordo che portava un fazzoletto, giurerei che fosse azzurro-verde con qualcosa di bianco, avvolto intorno al capo. Con lo sguardo e un cenno mi fece intendere che non era il caso, per lei non c'erano “persone più o meno importanti”, gerarchie.

A questo punto, a distanza di anni,  mi pongo da solo un'obiezione. A parte la soggettiva interpretazione del significato del suo sguardo, come avrò fatto a coglierne la luminosità - e quella del sorriso – dall'alto? Forse, mi dico, non eravamo tanto alti.**

Tutti qui. Se ne andò immersa nella luce, o almeno così la  rivedo quando ci penso.

Strano, dato che molti dei ricordi di quel giorno sono opachi, immersi in una nebbia neanche tanto sottile. In gran parte reale. Infatti ad un certo punto (verso metà della salita, mi pare) la nebbia salì concretamente e ci avvolse. Poi avvertimmo il rumore  dell'elicottero, un rumore che sembrava lacerare il silenzio ovattato in cui eravamo immersi e che fece dire a Ruggero: “Qualcuno deve essersi fatto male, temo”. Quasi una premonizione (in realtà a quel punto Tiziana era già caduta alla base delle pareti e l'elicottero era servito per recuperare il compagno rimasto incrodato).

 

Non intendo qui raccontare la nostra salita, ovviamente; solo ricordare che Ruggero, estrosamente, improvvisò un paio di avventate varianti. Del resto era già quasi in partenza per un nuovo viaggio verso l'India e il Nepal (la prima volta se l'era fatto tutto in autostop, praticamente da solo: un grande).

Arrivati in “vetta” cominciammo una mesta discesa, oppressi da qualche triste presentimento.

Il rientro  (un II come dicono, anzi dicevano?), all'epoca non ancora attrezzato con gli invadenti spit, richiese una certa attenzione. A tratti avvolti nella nebbia, in un'atmosfera un po' cupa, deambulammo fino al rifugio. Entrando espressi probabilmente una eccessiva dose di autocompiacimento, al punto che venni immediatamente zittito dallo sguardo severo del Ghigno***, il gestore di allora. Ci guardammo intorno cogliendo un'atmosfera veramente da veglia funebre che ci lasciò interdetti. Venne in nostro soccorso, materna, Adriana Valdo, sua amica da tempo (Tiziana si era pubblicamente complimentata con lei in occasione della serata a Vicenza per il meritato riconoscimento di Accademica del CAI). La frase piombò fra noi come un macigno: “E' caduta Tiziana Weiss”. Si parlò anche, mi pare, di una manovra impropria, di una discesa in corda doppia utilizzando solo un cordino (o era una fettuccia?) senza moschettone, di un nodo che si era sciolto...non so.

A questo punto ho un vuoto di memoria (rimozione?) e mi rivedo il giorno dopo, lunedì, in Gogna dove incontrai Franco Perlotto. Gli raccontai l'evento esprimendo la mia preoccupazione per Tiziana che difficilmente sarebbe sopravvissuta all'incidente. Ci fu anche un breve alterco quando Franco esclamò : “Ah, ma allora la Weiss non l'aveva ancora fatta la Frisch...?!”. Ricordo che lo mandai cordialmente a quel paese per la superficialità che rasentava, a mio avviso, il cinismo (anche se in seguito espresse rammarico per quel commento e comunque lei la Frisch l'aveva già percorsa almeno una volta). Tiziana se ne andò  il 26 luglio, mercoledì. Da allora mi è capitato spesso di incontrare nelle situazioni più disparate persone che l'avevano conosciuta (sulle Mesules, in treno tornando da Budapest, sul Col Nudo e nella sua città,  a Trieste, dove frequentavo saltuariamente il Germinal...), ma non avevo mai scritto nulla su quella giornata -  per pudore, credo – considerandola un momento personale.

L'ho fatto ora (e in parte ne sono già pentito), ma è venuta così.

Quindi “scusate se vi ho parlato di Tiziana” che sicuramente sta arrampicando da qualche parte, nella Luce “oltre l'Arcobaleno”.

 

Gianni Sartori

 

 

 

PS stavo qui a scrivere davanti alla finestra (ore 11 del 2 dicembre) contemplando le colline e, giuro, sul poggiolo si è posata una cinciallegra, anzi, no: una cinciarella (Parus caeruleus)! ...saltella, cerca quasi di entrare, si appoggia al vetro posandosi infine sulla maniglia del balcone spalancato...sul capo, minuscolo, brillano  al sole i colori Azzurro e Bianco...ciao Tiziana

 

 

 

 

* nota 1) “Oggi sono molti gli alpinisti che vanno sul VI°, ma fra tutti quanti lo fanno “veramente”, e cioè lealmente, senza ricorrere ad abbondanti chiodature o strani sotterfugi, specialmente sui tratti estremamente difficili che si avrebbero dovuto compiere in arrampicata libera ? Oggi, i mezzi tecnici, sono tanti e tali che permettono agli alpinisti senza scrupoli di fare vie di VI° anche se non sono capaci di farlo in modo onesto e si è giunti al punto in cui non si esita più a piantare chiodi ad espansione dove i primi scalatori sono passati in libera” (E. Cozzolino).

 

 

** nota 2) sia detto senza offesa, non mi ricordo invece per niente dell'altro, il suo compagno di cordata. Come se non ci fosse (mi pare fosse biondo, ma potrei sbagliarmi). Ubi maior...(anche se dirlo non è propriamente “una cosa di sinistra”)

 

 

 

***3) Tragica sorte quella del Ghigno, destinato a restare paralizzato per un incidente in moto. Continuò ancora a frequentare il suo rifugio, in carrozzella, fino a quando non pose fine ad una situazione diventata ormai insopportabile con un colpo di fucile.

 

 

**** nota 4) Ho scritto questo commento stimolato dalla polemica per la scarsa attenzione dimostrata da wikipedia nei confronti di Tiziana Weiss

(https://it.wikipedia.org/wiki/Tiziana_Weiss).

La biografia inviata è stata pesantemente amputata e quanto pubblicato non corrisponde assolutamente all'importanza di questa donna triestina nella storia dell'alpinismo. Fermo restando che la grandezza di Tiziana Weiss emerge comunque dalla sua vita, dalle sue imprese, dalla sua sensibilità; ben oltre qualsiasi citazione in rete.

 

E concludo. Sono passati 38 anni. Sinceramente non avrei creduto di arrivarci (al 2016 intendo), di poterla raccontare dopo incidenti vari, sia in montagna che in moto, ripetute incursioni come free-lance in zone, se non di guerra aperta, sicuramente  di “guerra a bassa intensità” (Irlanda del Nord, Euskal Herria, etc...), un tentativo di linciaggio (da “neofalangisti”, a Madrid, ottobre 1997), un paio di pestaggi e anche si parva licet (ma neanche tanto parva a ripensarci) Genova 2001 con i gas CS (no, la Diaz no, non si può avere tutto...). Quasi dimenticavo: un'intossicazione da sostanze non ben identificate (colle, vernici? Boh, forse entrambe) quando facevo l'operaio. Potevo restarci: un bel regalo del liberismo, ovvio.

 

E ora, come tutti a una certa età, ripenso a chi nel frattempo se ne è andato, definitivamente senza biglietto di ritorno: “EFFE”, Fernando Ruggero, un grande speleologo (esplorammo insieme  la grotta-voragine “Gianni Ribaldone” sui monti che troneggiano sopra Amalfi), Roberto Gemo (frequentato in anni non sospetti, prima che diventasse Superpippo, quando veramente “correva solo per se stesso”), Mariano Parlato (una tempesta di neve estiva sulle Mesules; la via Conforto a Lumignano con la sicura fatta, letteralmente, con i piedi, un suo brevetto; l'infruttuoso tentativo al Cimoncello di cui non trovammo mai l'attacco perdendoci inesorabilmente nella boscaglia...) e altri con cui ho condiviso un tratto di sentiero, una cordata, una spedizione al Buso della Rana o nella grotta del Torrione di Vallesinella (Mario Carniel, all'epoca presidente dei Falchi di Verona)).

Fra tutti loro, anche se solo “intravista”, Tiziana Weiss brilla ancora di una speciale luce propria, per sempre.

GS