Se i filosofi dicono che non basta la salute
di Marcello Veneziani - 02/08/2021
Fonte: Marcello Veneziani
Ma cosa c’è di veramente osceno, assurdo e inaccettabile nelle riflessioni di Giorgio Agamben e di Massimo Cacciari? Proviamo a pensare la loro posizione a freddo, oltre la questione sanitaria e il dibattito ossessivo sul covid, il vaccino e il pass.
Se non fosse per una residua soggezione per quel che hanno rappresentato sul piano ideologico e politico, oltre che filosofico e accademico, Cacciari e Agamben sarebbero stati massacrati senza pietà nel tritacarne mediatico alla vaccinara. Non sono però mancati attacchi di ogni tipo, di cui uno, il più ricorrente, mi sembra lievemente grottesco se non demenziale: occupatevi di filosofia, parlate di Heidegger e non di vaccino, mica siete virologi, che ne sapete. Il che dovrebbe condurre al mutismo la tv intera, i giornali, gli opinionisti tutti, compresi coloro che hanno intimato ai due filosofi di occuparsi solo di filosofia. Peraltro non è loro ben chiaro cosa sia la filosofia: non è erudizione astrusa per pochi iniziati, che affronta problemi incomprensibili in linguaggi impenetrabili e dà risposte nebulose a quesiti inesistenti. La filosofia è universale, riguarda tutti, si occupa proprio della relazione tra vita e pensiero, tra mondo e concezioni del mondo, tra corpo e mente, tra la vita e la morte, la salute e la malattia. Ogni filosofia è anche, inevitabilmente, biofilosofia, riflessione sul nascere, vivere e morire. Certo, il filosofo non ha l’autorevolezza scientifica del medico o del virologo nel loro raggio specialistico di competenza: ma vede più lontano di lui, e vede il contesto; affronta il rapporto tra l’umanità e i pericoli, la paura, la malattia, il rischio, l’alienazione. Non giudica il siero ma il pensiero. E affronta le ricadute delle misure sanitarie sulle persone, sulla società, sulle libertà politiche, sui rapporti tra governati e governati; tutti temi di cui i sanitari hanno scarsa cognizione.
Qui è lecito coltivare un sospetto: avrebbero fatto ugualmente quell’obiezione d’invasione di campo e d’incompetenza, se Cacciari e Agamben si fossero invece conformati al gregge e al sacro vaccino, vantandone la bontà e la necessità? Cani e porci dicono di tutto pro-vaccino e diventano testimonial portati in palmo di mano, anche se non ne capiscono un beneamato fico, perfino i Maneskin e i Ferragnez la cui autorevolezza scientifica e competenza medica sono notorie; due filosofi dissentono e viene chiesto loro a che titolo parlano di pass e vaccini…
Qualcuno per darsi le arie li ha ammoniti con un motto di Alberico Gentili: “Silete theologi in munere alieno”, tacete, dotti nei campi che vi sono estranei. A loro si potrebbe opporre un altro detto latino: Sutor ne ultra crepidam, ciabattino non parlare di cose che vanno oltre la tua scarpa.
Provate a leggere la denuncia di Agamben e Cacciari al di là della questione vaccini, come una contesa tra scienza e filosofia sul potere e l’umanità. Non dirò nulla sul loro intervento a proposito di vaccini e pass. Quel che vorrei invece affrontare è il tema di fondo: quanto pesa nella loro posizione in polemica con il canone dominante, la duplice riflessione che Cacciari e Agamben, in modi diversi e paralleli, compiono ormai da anni sulla politica da un verso e sul sacro dall’altro, a volte intrecciandole. E quanto pesa il loro disincanto politico e ideologico, e in generale il loro dissenso dal politically correct.
Dall’altro verso, quanto pesa la loro riflessione sulla religione e il sacro in rapporto alla vita e alla morte, al potere e a ciò che salva, il Katéchon e colui che frena. La loro anomalia, semmai, è che pur restando nell’orizzonte del nichilismo, si occupano di teologia, di mistica e di destino; ossia di questioni oggi evitate a priori. La premessa è non esaurire la vita nella biopolitica, come pura conservazione e durata; ma pensare il suo limite inevitabile, la morte, e la sua parabola necessaria, il declino; e l’inesausta ricerca di spiegare l’essere al mondo oltre la mera difesa della vita come assoluto. Nella nostra epoca anche la religione sembra abdicare alla salvezza davanti alla priorità della salute, baratta la vita eterna con la manutenzione temporale, la resurrezione con la guarigione. La sopravvivenza ad ogni costo prevale sulle ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta e pensata (“propter vitam vivendi perdere causas” diceva Giovenale); l’umanità è ridotta alla sua sfera biologica e il pensiero solo a una tecnica sanitaria per vivere, tutelarci ed espanderci.
E allora, al di là delle contingenti polemiche sul vaccino e sul green pass, la questione è filosofica e investe la condizione umana e la sua alienazione. E sullo sfondo un grande tema: separata la scienza prima dalla fede, poi dal sapere umanistico e dalla filosofia, cosa resta della scienza se non il ruolo di ancella e preambolo al dominio della tecnica? E se la tecnica si rende totalmente autonoma da ogni pensare e sapere, se non è finalizzato al suo funzionamento e alla sua espansione, è l’avvento del regno della quantità ‒ cioè dei mezzi, della durata, dell’eccesso ‒ che vanifica ogni senso, qualità e destinazione. La tecnica-regina ci salva come sopravviventi ma a prezzo di eliminare ogni umanità pensante, inclusa la fede, e ogni passato, avvenire ed eterno. E inevitabilmente ci salva a tempo, prolungando i nostri poteri e la nostra durata, non rendendoci onnipotenti o immortali.
Nel percorso di Agamben e Cacciari non si approda a una conclusione ma a un’interrogazione del destino senza risposta. L’unica conclusione che possiamo trarre è in negativo: la tecnica non basta, la libertà non si sacrifica alla salute, la sanità non esaurisce il campo delle umane possibilità. Vivere non basta.