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Se l’emergenza Coronavirus svela tutti i limiti del presente

di Giuseppe Del Ninno - 26/02/2020

Se l’emergenza Coronavirus svela tutti i limiti del presente

Fonte: Barbadillo

La questione del coronavirus, con tutto il corollario di misure e contromisure e le prospettive specialmente di carattere economico, offrono il destro per alcune considerazioni sparse.
Innanzitutto, l’epidemia nel mondo “occidentalizzato” riporta il calendario indietro di secoli: le più recenti, infatti – sempre di origine cinese… – sono l’aviaria e la Sars, i cui effetti però rimasero circoscritti e comunque non ebbero la risonanza mediatica di questa. Bisogna perciò risalire all’onda nera delle pesti trecentesche e seicentesche, al colera e, da ultimo alla “spagnola”, per ritrovare quella mortalità e poi quella paura di massa che ora sta serpeggiando fra noi. Oggi non mancano neppure le aggressioni agli untori di manzoniana memoria, sub specie di innocenti cinesi – alcuni da definire più correttamente cino-italiani – e gli assalti ai forni, sempre di manzoniana memoria, seppure stavolta nelle forme legali ma altrettanto nevrotiche di accaparramenti di generi alimentari e parafarmaceutici, questi ultimi per lo più inutili.
Fra le conseguenze che ci fanno sfogliare all’indietro le pagine della storia c’è il grande ritorno dei confini, delle barriere e delle quarantene, con l’aggravante che tale tendenza si manifesta in dimensioni planetarie (e non potrebbe essere diversamente, dati i processi di globalizzazione da tempo in atto), ma torna a palesarsi anche in dimensioni locali, con comuni, regioni e isole, le cui autorità e popolazioni tentano di vietare l’ingresso di forestieri sospetti.
D’altra parte, alla paura dell’ignoto o del poco noto, come sembra essere questo virus, gli scienziati non sono in grado di porre rimedio: aldilà dell’abnegazione e delle competenze che soprattutto il nostro sistema sanitario pone in essere in questi giorni di turbamento, hanno fatto scalpore le diverse opinioni esternate dagli scienziati, a riprova che la scienza non può e non sa diffondere verità assolute – come invece vorrebbero certi suoi sacerdoti fondamentalisti – ma procede di esperimento in esperimento, e a lei il cittadino e il politico non possono chiedere lumi per riorganizzare la civile convivenza, ma solo protocolli.
Va detto che alla paura, nella nostra area geo-culturale, siamo ormai disabituati almeno dalla fine del secondo conflitto mondiale, con il suo strascico di psicosi della bomba (atomica). Le nostre generazioni hanno infatti conosciuto una prosperità diffusa come mai nella storia, e la prosperità infiacchisce e genera ingiustificate sicurezze che talvolta sconfinano nel delirio di onnipotenza perfino nei mediocri. Ecco perché al minimo accenno di pericolo (anche indiretto: ricordate il sacco dei supermercati ai tempi della prima guerra in Irak?), serpeggia lo sgomento, a volte anche nelle Istituzioni. Lo attestano la chiusura di scuole e stadi, l’annullamento di viaggi e soggiorni all’estero (ma non solo), disposto non solamente da privati, ma da governi e pubblici organismi. E tutto questo, malgrado sia accertato che questo virus comporta un tasso di mortalità nemmeno lontanamente paragonabile a quello delle influenze stagionali, i cui agenti patogeni però sono “conosciuti” e contrastati da appositi vaccini.
Due parole, infine, sull’Europa, su questa Europa. Anche nel fenomeno in esame, l’Unione balbetta ed è incapace di assumere misure omogenee e coordinate: vi è chi chiude e chi scongiura la chiusura delle frontiere, chi blocca e chi non blocca i voli, che effettua controlli rigorosi (in pratica, soltanto noi) e chi si affida alle iniziative individuali dei cittadini, chi chiude gli stadi e chi no, e non parliamo di contromisure comuni per attenuare gli effetti devastanti nel campo dell’economia.
Il tutto, sullo sfondo di dati rilevati in modo quanto meno discutibile: com’è possibile che la Germania, il cui volume d’affari ed i rapporti con la Cina è di gran lunga superiore al nostro, appaia quasi immune dal contagio? E come mai in Francia, dove si sono manifestati i primi casi e dove i controlli sono tutt’altro che stringenti, il contagio è molto limitato? Si dice che la disparità è dovuta al fatto che noi, a differenza di altri, i controlli li facciamo, gli ammalati li andiamo a cercare; ma se gli ammalati tedeschi e francesi, per dire solo di questi due Paesi, smaltiscono in casa il proprio morbo e ne guariscono, senza investire il sistema sanitario nazionale, non sarà che questo morbo è, alla fine, meno letale del conclamato?
E sempre a proposito di paure e di Europa, nessuno si chiede quali misure adottare in tema di immigrazione dall’Africa, dove vivono un milione e mezzo di cinesi e dove i sistemi sanitari sono autentici colabrodo?
Quanto alla politica italiana, le incertezze e i ritardi mostrati dal governo hanno messo in luce una delle questioni cruciali del nostro ordinamento, con l’inasprimento del conflitto di competenze Stato-Regioni, con queste ultime che ben più e prima delle autorità statali hanno dimostrato capacità d’interventi fattivi e saldi legami con il territorio e i suoi cittadini. Forse è su questo versante, epidemie a parte, che bisognerebbe intervenire con le tanto sbandierate e mai attuate (sul serio) riforme.