Se non è zuppa e pan bagnato
di Enrico Tomaselli - 04/11/2024
Fonte: Giubbe rosse
Con l'approssimarsi del voto per le presidenziali americane, tutto l'occidente - confermando così di essere colonia - si interroga spasmodicamente sul possibile esito, e soprattutto sui possibili contraccolpi. La speranza è che, con la vittoria della Harris, tutto rimanga come prima (ovvero possiamo restare nella comfort zone del ruolo coloniale); il timore è che, con la vittoria di Trump, l'impero abbandoni le colonie, che essendo colonizzate sin nel più recondito meandro del cervello, non saprebbero poi come sopravvivere senza una guida.
E, ovviamente, c'è anche chi, all'opposto, spera che vinca Trump, che porterà con sé la pace, e chi auspica che la Harris perda, altrimenti potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale.
Ci sono due elementi, però, che da spettatori colonizzati tendiamo a non vedere, o quanto meno a dimenticare.
Il primo è che gli americani votano sulla base di tutt'altre considerazioni; la maggior parte di loro non sa neanche dove sia l'Ucraina o Taiwan, e comunque se ne frega altamente. I loro interessi - e quindi la loro attenzione rispetto ai programmi dei due candidati - sono rivolti ad altro, fondamentalmente economia e lavoro. Ci sono certo corpose minoranze più 'politicizzate', ma l'elettore di Hasting, Nebraska, guarda il suo portafogli.
Questo per dire che il risultato del voto non indica un orientamento degli elettori americani sulla base delle suddette 'discriminanti', se non molto marginalmente.
Il secondo elemento, ancora più importante, è che stiamo parlando di una superpotenza imperiale, che ha cominciato ad esercitare questo ruolo circa un secolo fa, e questo comporta che le grandi strategie geopolitiche siano elaborate nel corso di anni, e mantengono la loro validità almeno per dieci-quindici anni. Se così non fosse, l'impero non potrebbe sopravvivere nel mondo tempestoso; ne consegue che i presidenti, con il loro orizzonte temporale limitato, possono incidere sul piano tattico, non su quello strategico. Essi sono in fondo degli amministratori, la cui autonomia - rispetto ai disegni di lungo periodo - è confinata all'interno di limiti ben precisi. E del resto i presidenti sono a loro volta espressione di oligarchie e lobbies, che li scelgono fondamentalmente per massimizzare i propri vantaggi all'interno dello schema strategico. E di questo i candidati sono ben consapevoli. Quindi, al di là delle sparate elettorali (tutto il mondo è paese), chiunque venga eletto, al dunque ci sarà qualcuno che arriverà a dire, discretamente ma fermamente, questo lo devi fare, quest'altro non lo puoi fare.
Il punto non è chi si siederà nello studio ovale, ma i personaggi di cui si circonderà - in prima, ma anche in seconda e terza fila - perché quello è il termometro degli equilibri all'interno dello stato profondo. Il fatto che entrambe i candidati siano non precisamente delle volpi, oltretutto, semplificherà di molto il lavoro di questi 'tutor' poco visibili.