Serra e Scurati: gli “arrivati” della Storia
di Alessio Mannino - 06/03/2025
Fonte: La Fionda
Il quotidiano Repubblica è la voce di John Elkann, cioè dell’industria militare oltre che dell’auto, elettrica anzichenò. John Elkann significa finanza, monopoli digitali (è entrato da poco nel board di Meta del buon Mark Zuckerberg), significa stampa che dà la linea al capitale versante liberal, ammantato di infernali, buone intenzioni (The Economist). Su Repubblica, e sul gruppo editoriale in cui sono incluse la Stampa e un’altra dozzina di testate, scrivono Michele Serra e Antonio Scurati: il primo, banditore di marce per l’Europa anti-russa, e il secondo, stilatore d’appelli per i bei tempi in cui gli europei partivano volontari al fronte, pur di farsi guerrescamente ammazzare (fra quei volontari, nella Prima Guerra Mondiale, ci furono anche Hitler e Mussolini: uomini del secolo, o no?). E allora, cari i miei non-lettori di Repubblica che benissimo fate a non leggerla o non leggerla più, cosa pretendevate che dicessero, due intellettuali organici all’ideologia del padrone? L’indignazione si può sempre capirla, e tuttavia, come faceva osservare Pietro Ingrao in un libricino sul ricorrente ricatto emotivo dell’”indignatevi!”, non basta. Nessuno mente come l’indignato: un po’ perché sentirsi moralmente migliori è facile. E un po’ perché ci si procura la scorciatoia mentale per non affrontare la realtà, che non è mai piacevole. Ed è sempre zeppa di gente indegna, pronta a far la morale, pacifista o militarista a seconda dei casi, agli altri.
Nello specifico, poi, di chi stiamo parlando? Stiamo parlando di un Michele Serra che, dismesso integralmente l’abito dell’autore satirico che ci aveva donato pagine di rara bellezza su Cuore (“hanno la faccia come il culo”, “scatta l’ora legale: panico fra i socialisti”) da vent’anni almeno ha giustificato ogni sorta di appecoronamento ai nuovi mantra della sinistrella buona e giusta. Il suo giochino retorico preferito è questo: cuocere dei bei brodini di critica a certe degenerazioni del modello vincente, specie sul lato socioculturale, ma stando ben attento a rimanere al di qua dell’affondo. Mentre scriviamo, abbiamo sotto gli occhi un suo editoriale, sempre su Repubblica of course, in cui ribadisce perché bisognare marciare per non marcire. E cioè per i “valori”, che diamine: democrazia, diritti, libertà. Il solito minestrone di parole svuotate (quale libertà? diritti per chi? democrazia come?). Scorrendo, ci si imbatte poi in un suo dialoghetto mesto col rapper Marracash nel quale Serra, nella parte dell’anziano matusa, fa passare chi il cash ce l’ha persino nel nome per un saggio “boomer” anti-consumista. Eccolo qua, il trucco: inscenare la contestazione, rigorosamente verbale, dello stile di vita (e del corrispondente sistema di potere) dominante, magari seduti in bel salottino col cane piacione, lasciando indisturbato il Padrone collettivo a macinare affari e a decidere sulle nostre teste.
E Scurati? Ci pregiamo di affermare di aver letto le righe che bastano della sua saga (con la prima sillaba in “a”) sul Capoccione, per averla abbandonata là dove dovrebbe stare: nel dimenticatoio. Purtroppo però è uno di quei prodotti di marketing perfetto per strumentalizzare un brand che tira sempre, ovvero il suddetto Capoccione, e quindi ce la rifilano in tutte le salse. Anche in una recente serie tv esteticamente pregevole, benché storiograficamente spregevole. Scurati era quello che il 18 luglio 2022 firmava una lettera aperta a Mario Draghi, anch’egli noto beniamino di ex guevaristi a riposo, in cui sfoderava tutta la sua arte di paroliere di regime, issandolo a uomo della Provvidenza: “Durante tutta la sua vita, lei ha bruciato le tappe di una carriera formidabile. Prima da Governatore della Banca d’Italia e poi da Presidente della Banca centrale europea, lei ha retto le sorti di una nazione e di un continente; le ha tenute in pugno con il piglio del dominatore, sorretto da una potente competenza, baciato dal successo, guadagnando una levatura internazionale, un prestigio globale, un posto di tutto rispetto nei libri di storia”. Un anti-emetico, grazie.
Però c’è un però. Un “nondimanco”, avrebbe detto Machiavelli. Le tesi dei due schiacciatasti del bipensiero, una loro forza ce l’hanno. Forza ammaliante, seducente, mobilitante. E il motivo non ha niente a che vedere con le argomentazioni, facilissimamente smontabili, oltre che nella credibilità anche nel merito. Entrambi agitano una forma di ammaestramento delle masse dotata di un’attrattiva pre-razionale: il mito. Per smuovere e trascinare le coscienza, bisogna puntare anzitutto allo strato subcosciente con una o più immagini pregnanti, ossia che impregnano l’immaginario sociale e lo ordinano, semplificandolo all’estremo in schemi-guida stabilizzati nella memoria. Serra si affida al mito dell’Europa, che da decenni si è depositato nell’inconscio nazionale come sinonimo di quei famosi valori, malcompresi e deformati, considerati l’equivalente del Vangelo. Un’Europa, da tanti idolatrata in buona fede in quanto totem riassuntivo di tutto ciò che sta a cuore al liberale liscio gassato medio: vivere senza confini (ma mo’ gli aerei low cost sono meno low cost, mannaggia), niente più guerre (ma qui Serra si premura di ricordare la ex Yugoslavia, naturalmente assolvendo la Nato), esistenza quieta e dedita all’intrattenimento (sì, bisognerebbe essere meno consumisti, altrimenti il fantasma di Pasolini ci viene a far visita di notte, ma sempre meglio il consumismo del comunismo, vero ex compagni ben sistemati sull’amaca?). Guerre a parte, è lo stesso identico orizzonte valoriale del camerata Vannacci: la superiorità dell’Occidente, la civiltà del privilegio, sgobbare e aperitivare in santa pace cosicché ogni cinque anni possiamo infilare la nostra brava scheda nell’urna. L’Euro-religione come obbligo civile e politico. Il liberalismo – ci perdonerà Starace – come saluto obbligatorio, salto nel cerchio di fuoco del weekend, “a noi!” sfilante in piazza. E il vero dominio, il tecno-feudalesimo dei magnaschei, degli Zuckerberg e dei Musk (contrari e uguali), gongola. Eccome se gongola.
Quanto allo scuratismo, beh, trattasi della più classica diagnosi psicologica di Ombra rimossa: lo scrittore che ha fatto la sua fortuna riducendo Mussolini e il fascismo a un fenomeno di violenza pura (fu soprattutto quella, ma non solo quella), non poteva che prima o poi uscirsene con un sentimentale moto di nostalgia per la violenza bellica, per il sacrificio del fantaccino da trincea, per l’etica guerriera che era precisamente l’ethos dei fascismi, per quanto distorto e, in Italia, destinato al prevedibile fallimento (il Mascellone, a guerra mondiale inoltrata, gioiva con Ciano del freddo becco dell’inverno del ’41 perché così si sarebbero estinte le “mezze cartucce”: doveva pensarci l’inverno, capite?, a farli fuori, visto che secondo lui non ne crepavano abbastanza in Grecia, in Russia, in Africa). In sostanza, Scurati non fa che palesare tutto il suo erotismo represso per il “male” contro cui tanto si affanna a imbastire battaglie di carta. Del resto è in buona compagnia: è risaputo il fascismo interiore di certi antifascisti esteriori. Ma anche qua: il richiamo al mito, questa volta negativo, del Duce, scorre potente e serve ad azzerare il ragionamento, l’analisi, lo studio, così da offrire al target dei de-pensanti il pacchetto su cui sbavare rabbia a costo zero. E assicurarsi le vendite in libreria. Ma tutto questo perché, in effetti, il marchio Mussolini funziona ancora alla grande. Perché ha assorbito su di sé tutto quello che l’antifascismo attuale, “comodo” (è Pasolini, mica Veneziani), proietta come rifiuto da condannare, combattere, estirpare da sé. La mitologia del fascismo eterno come proiezione del proprio fascismo interno: tel chì, lo Scurati. Per tutte queste ragioni, per quanto mi riguarda io non mi indigno. Semmai, mi incazzo. Con quelli che si limitano a indignarsi e non fanno un passo oltre. Quelli che non si sforzano di comprendere chi, e soprattutto cosa c’è dietro, ai Serra e agli Scurati: quel raccontarsela da “arrivati” della Storia, quel semi-cosciente auto-inganno per cui vivremmo nel migliore dei mondi possibili (anche se da correggere, poniamo, con qualche iniezione di socialdemocrazia o, se va bene, di “rivolta” a ore – fatta salva la salute). Liberarsi dalla propria falsa coscienza: primo compito per chi guarda avanti.