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Si deve ripartire dal bene, la purezza, lo stupore

di Francesco Lamendola - 08/03/2018

Si deve ripartire dal bene, la purezza, lo stupore

Fonte: Accademia nuova Italia

 Il circuito virtuoso fra le generazioni si è interrotto quando gli adulti hanno smesso di fare quel che avevano sempre fatto: trasmettere sentimenti, pensieri e  atti di bene, di purezza e di stupore di fronte allo spettacolo della vita e alla meraviglia del mondo; e hanno incominciato, tutto al contrario, a trasmettere, coscientemente o involontariamente, il loro scoraggiamento, la loro tristezza e, soprattutto, la loro mancanza di fiducia nel bene.

Se il bambino riceve messaggi di bontà, di fiducia nel valore e nella forza della bontà, crescerà con una solida struttura morale: potrà anche infrangerla, specialmente da adulto, tuttavia, se l’avrà ricevuta per tempo, è difficile che essa, prima o poi, non riemerga, non lo spinga al pentimento del male fatto, non lo solleciti a rimettersi sulla retta via. Se il bambino, poi, cresce ricevendo messaggi ed esempi di purezza, finirà per apprezzarla istintivamente, per sentire che essa è qualcosa di prezioso, che rende la vita più bella e gentile, che migliora la qualità delle relazioni umane, che spalanca orizzonti di serenità e di fiducia verso il mondo. Infine, se il bambino riceve dagli adulti la capacità di provare stupore e meraviglia davanti alle cose, specialmente alle cose nuove, specialmente alle cose belle, è molto difficile che quella preziosa impronta scompaia poi del tutto: qualche cosa di essa sopravvivrà, anche se dovesse sopraggiungere l’inverno dello scontento, della disillusione, dell’amarezza. La differenza fra le persone che si devono confrontare con la delusione è che quelle dotate di una “riserva” di fiducia nella bellezza del mondo, prima o poi riescono a reagire e a rialzarsi in piedi; le altre, sprofondano in una depressione sempre più cupa, in un pessimismo sempre più sterile e distruttivo.

Queste considerazioni ci venivamo in mente sfogliando un libro per bambini, Mondo bambino, di Mario Giusti, ristampato dalle Paoline moltissime volte – l’ultima, ci risulta, nel 1999 – ma la cui edizione originaria è del 1953: un libro straordinariamente ben fatto, che è stato pensato e realizzato secondo i tre principi fondamentali che abbiamo or ora indicato: il bene, la purezza, lo stupore, quasi altrettante leve per sollecitare il piccolo lettore a entrare in quel mondo di fantasia, di bellezza e di pulizia, materiale  morale, che è la miglior preparazione possibile al futuro ingresso nella vita da adulto. Un libro è solo una delle tantissime maniere attraverso cui gli adulti hanno trasmesso alle generazioni più giovani l’incanto del mondo e il senso che la vita è una cosa ordinata, una cosa bella, che merita di essere vissuta sino in fondo, ma con saggezza, equilibrio, buon senso e soprattutto nel rispetto dei valori autenticamente umani. Oggi la letteratura per l’infanzia è in piena decadenza, per non dire in completo abbandono; e ai bambini delle elementari si regalano, invece che libri illustrati, telefonini di ultima generazione o giochi elettronici; al massimo dei tablet, che sono, però, tutta un’altra cosa, perché in essi prevale comunque l’elemento tecnologico, a scapito, ancora una volta, della fantasia, della creatività e dello stupore. No: per provare meraviglia davanti all’incanto del mondo, un bambino ha bisogno, oltre che di fiabe, di amici, di giochi connaturati alla sua età, di spazi nei quali esercitare la fantasia, di momenti nei quali esser libero di galoppare sulle ali del sogno, e anche di qualche buon libro illustrato: sarà un avviamento al mondo della letteratura e al gusto del leggere che certamente gli resterà addosso per tutta la vita, come la polvere di carbone resta addosso al carbonaio, o come il profumo del pane caldo si apprende al fornaio. E siccome un libro per l’infanzia non può essere che l’incontro felice fra la parola e l’immagine, ecco che nel libro Mondo bambino un ruolo fondamentale viene assolto dalle bellissime illustrazioni di Carla Ruffinelli, i cui disegni - più di centosettanta - sono pervasi da un soffio di autentica poesia. È dalla fusione fra il testo di Mario Giusti e le tavole di Carla Ruffinelli che quel libro prende vita, si anima; e sorge spontanea la domanda: Ma perché non scrivono più libri per bambini di questo tipo? Perché non li illustrano più in questo modo? Perché vogliono trattare i bambini come dei precoci adulti,  talvolta come dei vecchietti, senza incoraggiarli a sognare, a volare alto?

Il sottotitolo del libro di Mario Giusti reca la dicitura: Raccontini, novelline, favole, poesiole, filastrocche, cantilene, scioglilingua, indovinelli: insomma, di tutto un po’. Il pubblico è quello dei lettori di prima e seconda elementare: perché, negli anni Cinquanta e Sessanta del ‘900, chi si occupava di editoria per ragazzi faceva una chiara distinzione fra le pubblicazioni destinate al primo ciclo e quelle destinate al secondo ciclo della scuola elementare. Per esempio, la Mondadori pubblicava la collana La stella d’oro, che si suddivideva in due serie: l’azzurra, destinata ai lettori fino a 10 anni, e la rossa, destinata a quelli dai 10 anni in su. Abbiamo detto che l’ultima ristampa del libro è del 1999, ma l’impronta fondamentale è quella dei primi anni Cinquanta: riflette perciò una società ancora pre-industriale e pre-moderna, e tutto, sia i testi delle fiabe, dei racconti, degli indovinelli, eccetera, sia il tratti grafico della disegnatrice, rispecchia il clima di quegli anni: gli ultimi anni di quiete prima del boom, prima dello stravolgimento che sarebbe venuto con il cosiddetto miracolo economico e la scomparsa rapidissima della società contadina (Il ragazzo della Via Gluck di Adriano Celentano è del 1966). La famiglia, la religione, la Patria, così come sono narrati, o suggeriti, in queste pagine, rispecchiano i sentimenti e gli ideali degli anni Cinquanta del ‘900: quando l’Italia, benché uscita con le ossa rotte dalla Seconda guerra mondiale, si stava rimettendo in piedi e i suoi uomini e le sue donne, intraprendenti e gran lavoratori, venivano ancora dalla famiglia tradizionale, patriarcale, cattolica, fondata sull’autorità dei genitori e sul duplice amore di Dio e della propria nazione. Mario Giusti, uomo di scuola e infaticabile scrittore per l’infanzia (le sue opere narrative, ormai tutte da gran tempo esaurite, assommano a parecchie decine di titoli), era anche un fervente cattolico, che aveva pubblicato tutti i suoi libri con delle case editrici cattoliche, a cominciare dalle Edizioni Paoline, che allora vivevamo il loro momento più felice, per impulso del grandissimo don Giacomo Alberione; sospettiamo assai che questa sia una delle ragioni, se non la ragione fondamentale, del suo immeritato e pressoché totale oblio. Eppure dai suoi libri (fra gli altri titoli più importanti, ricordiamo Il contafavole; Scicciribicchieri (l’abbicì dell’enigmistica); Lo scacciapensieri, folklore per i più piccini; Dietro l’angolo; Trenta santi più uno (e quell’uno sarebbe il giovanissimo lettore a cui il libro si rivolge), Piccinlandia; Codalunga; Il direttissimo delle 23; Alle crociate; Missionari in Asia; I paladini; Il sacco dell’orco (poesie); Calvario (poesie); Chicchino re; La coda del diavolo. E potremmo continuare per una pagina intera, solamente elencando i titoli.

Il fatto che Mario Giusti fosse un cattolico fervente non appesantisce però i suoi libri per l’infanzia con uno strato, per così dire, “ideologico”; a parte quelli di soggetto esplicitamente religioso, egli si rivolge ai bambini più piccoli, quelli che hanno da poco imparato a leggere e scrivere, e li vuole semplicemente divertire, però, nello stesso tempo, educandoli al bene. Da qui la leggerezza, la freschezza, l’ariosità, diremmo vaporosa, delle sue pagine, che portano per mano il giovanissimo lettore in un mondo veramente incantato, ma senza stucchevolezze, senza esagerazioni, senza forzature. Insomma, per dirla tutta, senza quella insopportabile pesantezza ideologica che si sente, invece, nei libri per l’infanzia del troppo celebrato Gianni Rodari, al quale sono state intitolate innumerevoli scuole; e che ideologia fosse lo si sa bene, quella marxista: ragion per cui, nei lunghi decenni della incontrastata egemonia culturale della sinistra, pareva che non ci fosse in Italia nessuno scrittore per l’infanzia migliore di lui, così come pareva che non ci fosse mai stato un pittore più bravo di Guttuso, o un romanziere più profondo di Moravia, o un autore di teatro più geniale e innovativo di Dario Fo (tanto è vero che alla fine gli è arrivato pure il Premio Nobel per la Letteratura). L’egemonia culturale della sinistra marxista voleva che un’opera non fosse meritevole di apprezzamento se non rispecchiava la profondità e la complessità del mondo moderno e, soprattutto, se non lanciava strali avvelenati contro i capisaldi del detestato ordine borghese: la famiglia, la religione e la Patria. Ecco allora che uno scrittore come Mario Giusti non poteva piacere alla cultura allora dominante nel nostro Paese, per la stessa ragione per cui piaceva moltissimo, invece, la narrativa di Gianni Rodari; che poi è la stessa ragione per cui, ancor oggi, i nostri studenti di liceo conoscono, e sopravvalutano, scrittori come Svevo, Gadda, Vittorini, Pasolini, Balestrini, Moravia - quest’ultimo un puro e semplice pornografo - perché così han loro fatto credere i professori; e ignorano persino i nomi di Lisi, Tecchi, Casini, Giuliotti, Bargellini, Corti.

Mario Giusti, nato a Collesalvetti, in provincia di Livorno, nel 1902, e morto nel 2000, ha avuto una vita assai lunga e operosa: è stato giornalista e soprattutto scrittore, e per oltre quarant’anni maestro e direttore didattico, perciò i bambini li conosceva bene, li conosceva per davvero, e insieme rispettava la loro infanzia, la loro innocenza, non voleva forzare le tappe della loro crescita. Difatti nei suoi libri si respira l’atmosfera di un uomo di scuola che ha le idee molto chiare in fatto di comunicazione, che sa come si ci si rivolge a dei bambini di sei, sette e otto anni, li sa prendere per il loro verso, adopera le parole che essi conoscono, li invoglia con quel pizzico di brio e di giocosità, eppure sa trasmettere dei significati seri (mai seriosi), perché in tutte le sue storie e storielle, in tutte le sue mini fiabe e le sue mini poesie, c’è una morale, una morale buona, una morale cristiana. Era uno di quei veri educativi i quali sanno che l’infanzia ha il diritto di essere ciò che è sempre stata: l’età dei sogni, e, nello stesso tempo, l’età in cui si gettano le fondamenti del futuro edificio della vita, perciò seppe sempre tenere, come scrittore, la giusta via di mezzo fra l’esigenza formativa e il gusto del puro intrattenimento. Certo che questo approccio non poteva incontrare l’approvazione degli arcigni recensori e critici letterari della cultura dominante: per loro, anche uno scrittore per bambini aveva il dovere di partecipare, pure lui, alla battaglia universale del proletariato per la sua liberazione; e dunque doveva far capire ai piccoli lettori che non bisogna mai fidarsi della borghesia, delle sue parole, nemmeno delle sue fiabe o dei suoi indovinelli: tutte trappole e inganni per attutire la coscienza di classe e per addomesticare la doverosa opposizione allo sfruttamento borghese. Per quei signori, non esiste un’arte neutrale, nemmeno una letteratura per l’infanzia che possa concedere ai bambini un poco di spensieratezza: anche a loro bisognava inculcare i germi del rancore sociale e del sospetto sistematico; anche loro dovevano venir messi in guardia, diffidare, tenersi pronti contro gli inganni degli adulti borghesi. Frattanto, anche i preti di sinistra cominciavano a suonare questa musica: Esperienze pastorali di don Lorenzo Milani è del 1957, L’obbedienza non è più una virtù del 1965, e la Lettera a una professoressa, del 1967. Ma Mario Giusti non era uomo di rancore e lotta di classe: era un uomo di pace e di amore. Gli era morto un figlio, portato via dal tifo all’età di soli diciassette anni; poi gli era morta la moglie amatissima, che aveva conosciuta addirittura sui banchi dell’asilo: eppure, come è stato detto di lui, non perse mai la fede né in Dio, né negli uomini.

Carla Ruffinelli (1922-1998, nata a Torino ma milanese di adozione) è stata una deliziosa pittrice e disegnatrice per l’infanzia, che ha illustrato una grandissima quantità di libri e ha lasciato un vivo ricordo in almeno due generazioni d’italiani, quelli che sono stati bambini fra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del secolo scorso. Il suo tratto è inconfondibile e unisce grazia, leggerezza, freschezza, vivacità, eleganza, perfino signorilità, anche quando si tratta d’illustrare i soggetti più umili, come una povera contadinella scalza o un mazzolino di fiori di campo. I suoi disegni non sono mai banali, non sono mai scontati, hanno tutti un qualcosa di unico, di speciale: si potrebbe dire che il loro tratto più caratteristico è la capacità di esprimere amore per la vita. Carla Ruffinelli era un’artista sensibilissima e innamorata di tutto ciò che è vita, e sapeva vedere lo splendore del mondo anche nelle cose più modeste, che è la virtù dei grandi. E, nello stesso tempo, un forte senso di pulizia: pulizia formale, che è però lo specchio della pulizia morale. S’intuisce che i personaggi da lei disegnati sono delle belle personcine, bambine e bambini immersi in un loro piccolo mondo incantato, mai sciocco, mai futile, ma pervaso dal profondo stupore dinanzi a tutto ciò che è bello, perché viene dalla mano di Dio. Anche lei era una convinta cattolica e ha imprestato la sua matita, fra gli altri, al settimanale Famiglia Cristiana, ai tempi in cui si trattava realmente di una rivista cattolica: niente a che vedere con il giornale modernista e sincretista di oggi, perfettamente allineato sulle posizioni ideologiche ella neochiesa di Bergoglio.

Se vogliamo ricostruire il tessuto morale della nostra società, dobbiamo ripartire da qui: dobbiamo tornare a far sognare i bambini, a trasmettere loro il senso del bene, della purezza, dello stupore. Guai a colui che dà scandalo ai bambini, che insudicia la purezza del mondo riversando su di loro uno sterile pessimismo o un atteggiamento di rancore e diffidenza verso le cose. Un bambino che sogna cose belle e pulite sarà un adulto che porta nella società una ventata d’aria fresca. E Dio sa se ne abbiamo bisogno, per noi ma ancor più per loro, i bambini, dopo tanti anni di sterilità spirituale...