Simone Weil, l’ebrea che criticava l’ebraismo
di Marcello Veneziani - 25/08/2023
Fonte: Marcello Veneziani
Il culto di Simone Weil a ottant’anni dalla sua morte, il 24 agosto del 1943 a soli 34 anni, è vasto e incondizionato. La sua visione religiosa e metafisica è l’unica ad essere ben accolta in un tempo ateo e nichilista, la sua vita suscita narrazioni agiografiche e le sue opere destano ammirazione assoluta. Ebrea, rivoluzionaria, operaia “volontaria” alla Renault, accorsa in Spagna a combattere con gli antifascisti, consacrata dalla pubblicazione delle sue opere e dei suoi quaderni da Adelphi, qualche anno fa furono raccolte le sue riflessioni sull’ebraismo da cui emergeva un inatteso antiebraismo. Al cospetto delle sue pagine, sembrano innocue le polemiche che divisero Hannah Arendt, anch’ella ebrea, dal mondo ebraico. I giudizi della Weil sugli ebrei e sullo sradicamento che avrebbero prodotto nel mondo fanno impallidire le vaghe e paludate allusioni a cui è stato “impiccato” Martin Heidegger.
Ne “Il fardello dell’identità” a cura di Roberto Peverelli (ed. Medusa), troviamo giudizi tremendi: “La maledizione d’Israele pesa sulla cristianità – scrive – Le atrocità, gli stermini di eretici e infedeli, era Israele. Il capitalismo, era Israele (e lo è ancora, in una certa misura). Il totalitarismo è Israele”. E altrove precisa: “Gli ebrei, questo manipolo di sradicati, hanno causato lo sradicamento di tutto il globo terrestre… attraverso la menzogna del progresso. E l’Europa sradicata ha sradicato il resto del mondo con la conquista coloniale Il capitalismo, il totalitarismo fanno parte di questa progressione nello sradicamento; gli antisemiti naturalmente propagano l’influenza giudaica. Gli ebrei sono il veleno dello sradicamento”. Terribile, neanche i teorici razzisti Baumler o Rosenberg si spinsero a tanto…ma in lei vi era l’estremismo della purezza, e l’opposizione radicale tra la visione spirituale e la “caduta” nella storia.
Secondo Weil la mostruosità della religione ebraica fu la pretesa di coniugare divinità e potenza. Mentre in Cristo come in Dioniso, in Osiride come in Zeus, c’è la passione, nel Dio ebraico c’è l’ebbrezza della potenza. “Difficile immaginare un Jahvè supplicante”. Da qui la tesi che la storia d’Israele sia storia di massacri e ferocia, la storia di un’idolatria che ha il suo esito “nell’idea detestabile del popolo eletto”. In realtà, arriva a scrivere la Weil, Israele è il popolo eletto soltanto in quanto scelto da Dio per la nascita e la crocifissione di Gesù (“un popolo eletto per essere il carnefice del Cristo”).
Simone paragona Mosè a Maurras, il leader della destra francese, perché ambedue concepiscono la religione “come semplice strumento della grandezza patriottica”. La Weil vide nell’ebraismo una miscela di fanatismo e di ateismo (“un ebreo ateo è più ateo di tutti gli altri”), di religione come volontà di potenza, d’irreligione e culto del denaro. Weil tiene a precisare che “niente certamente ho ereditato dalla religione ebraica” e aggiunge che “se c’è una tradizione religiosa che considero mio patrimonio, questa è senz’altro la tradizione cattolica. La tradizione cristiana, francese, ellenica, questa è la mia; la tradizione ebraica mi è estranea”. E si spinge a sposare le proposte xenofobe e antisemite di un’organizzazione che pure fiancheggiava la Resistenza, l’Organisation Civile et Militaire, per adottare misure discriminatorie – per esempio impedire agli ebrei d’insegnare nelle scuole – l’imposizione di un’educazione cristiana agli ebrei, l’eventuale privazione della nazionalità francese per gli ebrei più fanatici. Il tutto per lasciarsi alle spalle per sempre la matrice ebraica. A tale scopo Simone auspica pure l’incentivazione dei matrimoni misti per disperdere quell’origine.
Nel 1978 uno scrittore ebreo, Paul Ginievcki, scrisse un durissimo pamphlet contro la Weil accusandola d’ignoranza, odio e malvolenza verso gli ebrei. Arrivò a sostenere che la Weil si mostra indifferente al genocidio del popolo ebraico e per cancellarlo propone una forma di assimilazione, anzi di “arianizzazione”. L’obbiettivo polemico è il suo testo L’Enracinement, curato da Camus, che in Italia pubblicò l’ebreo Olivetti con la curatela dell’ebreo Franco Fortini (al secolo Lattes) col titolo La prima radice. In quel libro straordinario Simone Weil difende le radici e il senso del dovere, dell’onore e dell’amor patrio, della fedeltà e della tradizione. C’è in Simone il rigore assoluto della metafisica e l’intransigenza di una cristallina aderenza alla Verità. Ma come ogni purezza in nome della Verità Assoluta c’è in lei un forte irrealismo che la spinge a perorare a ogni costo la causa del Bene. La vita per lei è trascurabile cosa rispetto alla Verità. C’è da dire che Simone, morta nel ’43, non seppe la verità atroce dei lager né dei gulag. E fu sempre avversa al nazismo. Di quell’assoluta purezza la prima martire fu lei stessa, che sacrificò la vita al rigore del suo amore sovrumano, che rischiò di apparire disumano. La Weil patì il risvolto atroce di una santità intransigente, nel suo amore assoluto e spavaldo della verità. Del resto, non ebbe esitazioni, Simone, nel suo integralismo della verità, a criticare aspramente il socialismo, il sindacalismo operaio e gli eccidi antifascisti in Spagna, dopo averne abbracciato la causa.
Georges Bataille, che non amava il pensiero di Simone, riconosceva però che pochissime persone gli avevano suscitato interesse come lei. “La sua innegabile bruttezza faceva spavento” ma nascondeva “una bellezza autentica”. “Riusciva seducente per un’autorevolezza dolcissima, e molto semplice; era certamente un essere ammirevole, asessuato, con qualcosa di nefasto. Nera sempre, neri i vestiti, i capelli come ali di corvo, la carnagione bruna. Era senza dubbio molto buona, ma nutrita da un pessimismo impavido e un coraggio estremo attratto dall’impossibile, aveva ben poco umorismo”. In fondo, nota Bataille, si inflisse la morte per eccesso di rigore e per la sua “asprezza geniale”. Ma di quelle pagine scabrose, del resto già note in frammenti dispersi si preferisce ignorare l’esistenza, per continuare l’esercizio d’ammirazione verso Simone Weil, con un’ipocrisia da farisei che lei stessa avrebbe rifiutato con sdegno. E tuttora c’è chi nega il senso palese di quelle pagine e si cerca di affumicare il suo amore per le radici…