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Siria-Europa. Civiltà in crisi nel passaggio dal mondo bipolare al mondo multipolare

di Gennaro Scala - 10/03/2025

Siria-Europa. Civiltà in crisi nel passaggio dal mondo bipolare al mondo multipolare

Fonte: Italicum

Finalmente son da Horas Kebab
Salsa piccante, questa è la mia jihad
Dalla collina si vede l'Africa
Dopo il Po è Africa
È già qui l'Africa
(Zen Circus, San Salvario)

Proveremo ad analizzare le vicende che hanno interessato il Medio Oriente, che hanno visto la recente improvvisa dissoluzione della Siria, nell'ambito del conflitto globale tra grandi insiemi, andando oltre la ristretta ottica nazionale, che è propriamente quella della nazione europea che è stata un modello anche per le nazioni arabe. Ciò che intendo mostrare è come il crollo della Siria, che come vedremo non riguarda solo la Siria, ma l'intero mondo arabo sia un contraccolpo del passaggio dal mondo bipolare al mondo multipolare.
In conclusione vorrei mostrare perché le vicende del mondo arabo hanno un particolare interesse, sia per l'Italia che per le altre nazioni europee, data la analoga situazione delle nazioni europee e quelle arabe nel contesto dei rapporti globali, per quanto la cosa possa sembrare controintuitiva, ed è questo, oltre all’ovvio reciproco interesse economico-commerciale relativo alle cruciali risorse energetiche, uno dei motivi, credo alquanto inconsapevole, per cui in particolare l’Italia, quando era ancora una nazione vitale, ha intrattenuto un particolare rapporto con il nazionalismo arabo. Ed è anche un motivo per cui tra le nazioni europee, quando ancora conservavano un residuo di vitalità, vi fu una larga opposizione alla guerra contro l'Iraq del 2003, che coinvolse anche i governi. Secondo Todd (La disfatta dell’Occidente), è a causa del fallimento dell'Unione Europea che quel residuo di autonomia manifestatosi in quegli anni sia scomparso del tutto. In effetti, oggi vediamo nelle nazioni europee un'obbedienza perinde ac cadaver verso gli Usa, che passa al di sopra degli stessi interessi nazionali.
Il conflitto siriano è parte del conflitto globale tra “Stati-civiltà” e universalismo “occidentale”, in realtà statunitense, poiché è una finzione che gli stati europei siano parte di questa alleanza, in realtà ne sono oggetto e strumento, visto che la subordinazione agli Usa, com’è palese nel caso della Russia, ma anche riguardo al Medio Oriente, passa al di sopra degli interessi vitali delle nazioni europee.
“Occidente Usa” vs. “Stati-civiltà” (1), è una formulazione più precisa, ritengo, di quello che Huntington chiamava lo “scontro tra civiltà”. La teoria di Huntington è stata una importante definizione della strategia statunitense le cui implicazioni arrivano fino alle vicende di questi giorni. In essa è intrecciata la difesa dell'egemonia statunitense con una visione realistica, essendo una forma di conoscenza del mondo strettamente finalizzata alla conservazione dell'egemonia statunitense.
Huntington realizzò che la fine dell'Unione Sovietica segnava l'inizio di un nuovo assetto del mondo e mise a punto gli strumenti teorici adatti alla nuova strategia statunitense. La trama del libro è nota: a differenza di quanto scriveva Fukuyama non si era, negli anni '90, alla fine della storia, anzi un nuovo mondo di conflitti si prefigurava, non più di carattere ideologico-politico ma di carattere identitario-culturale. In esso, l'Occidente, nonostante il suo predominio, risultava non adeguatamente armato (in senso culturale, e non solo) ad affrontare i nuovi conflitti perché stava smarrendo la sua identità in un universalismo multiculturalista. Il “pessimismo culturale” rendeva edotto l’autore che l'identità emerge per differenza rispetto alle altre culture, o, meglio, in presenza di un nemico, individuato nell'“asse islamico-confuciano”. Ma il mondo arabo meglio si prestava a diventare il nuovo nemico di cui gli Usa avevano bisogno. La cultura islamica si presentava come più estranea e anti-moderna rispetto a quella occidentale, ed era attraversata da sentimenti di rivalsa nei suoi confronti. Il 1993, l'anno della pubblicazione dell'articolo di Huntington da cui poi nascerà il libro dallo stesso titolo, è anche l'anno del primo attentato al World Trade Center. Colpire il mondo arabo è la strategia Usa per conservare il predominio Usa, da cui l'importanza progressiva che ha assunto Israele come avamposto occidentale nel mondo arabo, fino all’attuale alleanza di ferro, caposaldo indiscutibile della politica statunitense. Questa è la sintesi che comprende anche il non detto del testo di Huntington. Poiché un analista acuto come Huntington non poteva ignorare la reale portata della «minaccia islamica», praticamente nulla sul piano politico-militare per gli Stati Uniti, il suo era quindi il cinico calcolo di colpire la parte debole del “mondo multipolare”, la civiltà islamica che era priva di uno “stato guida” (rileva egli stesso), cioè una potenza capace di resistere all'attacco statunitense, poiché tale parte possiede la risorsa fondamentale del petrolio, il cui controllo è una risorsa nell’ambito del conflitto geopolitico.
Per quanto Huntington abbia voluto distaccarsi, in nome della rispettabilità intellettuale, dalle espressioni più becere dell'islamofobia, di fatto, designa, in modo strumentale, l'“Islam” come nemico, per la precisione il mondo arabo-islamico. I rapporti reali si presentano come invertiti, essendo piuttosto l'Occidente che ha attaccato il mondo arabo, che possiede la fondamentale risorsa del petrolio, in quanto mondo disgregato privo della potenza necessaria per resistere al dominio occidentale.
Mentre altri si esaltavano per la vittoria decisiva dell'Occidente in seguito alla scomparsa dell'Urss, che avrebbe portato a una «fine della storia» Huntington già intravvedeva il «mondo multipolare» di oggi, di cui questo potenziale “asse islamico-confuciano” costituiva la prefigurazione. Il mondo arabo entrava nel mirino statunitense, in quanto parte debole del mondo multipolare, nonché possessore della risorsa petrolifera il cui controllo è fondamentale per il dominio finanziario statunitense (“petrodollari”). Sfruttando propagandisticametne il fatto che il dominio occidentale ha suscitato un forte risentimento nelle popolazioni arabe nei confronti dell'Occidente, che ha spinto alcune forze ad attacchi terroristici, l'Islam veniva designato come nemico, veniva creato un pretesto per una serie di guerre contro l'Iraq, la Libia e la Siria, il cui fine è un più stretto dominio del Medio Oriente, e il cui compimento sarebbe la distruzione della potenza iraniana. Significativo che con il pretesto della minaccia islamica venivano colpite quelle forze modernizzatrici che nel mondo islamico erano avverse alle forze islamiste.
Lo “scontro di civiltà” è stato un pezzo della lunga strategia per far fronte al mondo multipolare. Tuttavia la effettiva strumentalità del testo al mantenimento dell'egemonia statunitense non toglie che l'analisi di Huntington, proprio perché utile a determinati fini, contenga una forma di conoscenza del mondo, in particolare per quanto riguarda i limiti dell'analisi “realistica” (come quella di Mearsheimer) che vede lo Stato come entità ultima nell’analisi geopolitica. Per rendere intelligibili determinati fenomeni è necessario introdurre un ente più ampio rispetto allo stato, sia sul piano temporale che spaziale, ovvero la civiltà, in merito alla quale esiste un'ampia elaborazione soprattutto sul piano della ricerca storiografica, anche se non mancano significativi contributi anche sul piano della ricerca sociologica. La civiltà è la “materia di base” sottostante alle formazioni statuali, le quali possono variare nel tempo e nella dimensione spaziale, pur rimanendo la civiltà sempre la stessa. Ad es., la storia della Russia moderna diventa intelligibile se pensata al di là delle vicende statuali che hanno visto la rottura con la precedente forma zarista, con la rivoluzione sovietica, sia successivamente con il crollo dell'Unione Sovietica, in seguito al quale la Russia ha voluto ristabilire una continuità con la sua storia, senza però rinnegare il cambiamento qualitativo avvenuto nella forma statuale con la rivoluzione sovietica. Toynbee, uno dei grandi studiosi delle civiltà nel mondo, affermò con preveggenza, negli anni ‘50 del secolo scorso, che la rivoluzione sovietica era stato il modo in cui la Russia, in quanto espressione della civiltà ortodossa, aveva fatto fronte alla minaccia mortale che veniva dall'espansionismo globale europeo-occidentale. In effetti, svanita l'Unione Sovietica, nel giro di pochi (nel senso dei tempi storici) decenni la Russia è tornata sulla scena politica del mondo quale espressione della stessa realtà di base, cioè la civiltà ortodossa.
In conclusione del suo capitolo sulla civiltà islamica, Huntington proclama l'incompatibilità tra la civiltà araba e quella occidentale. Certo, riconosce una dose di colpa da parte occidentale, perché il suo è un discorso «obiettivo», «scientifico», ma pur sempre di incompatibilità si tratta, cioè designa un nemico: “Gli scontri più pericolosi del futuro nasceranno probabilmente dall’interazione tra l’arroganza occidentale, l’intolleranza islamica e l’intraprendenza sinica”. L’“islamismo radicale” proprio perché impotente politicamente e militarmente è stato portato a gesti clamorosi, ovvero gli attentati vari più o meno gravi che hanno segnato la vita dei paesi occidentali negli scorsi decenni, che non cambiano di una virgola i rapporti di forza reali.
In realtà, l’islamismo, da distinguere nettamente dalla cultura islamica di per sé, è stato un importante strumento nella lotta statunitense contro l’Urss, e contro il nazionalismo arabo fino a oggi contro la Siria. Da un certo punto in poi, dall’11 settembre è stato un utile nemico fittizio con cui compattare l’Occidente e per introdurre lo “stato di emergenza” (o “stato di eccezione permanente” vedi in merito Agamben, Lo stato di eccezione), per passare in secondo piano quando è comparso all’orizzonte un nuovo nemico, questa volta più consistente, la Russia di Putin.
La guerra in Ucraina ha consentito di portare a termine, con la distruzione della Siria, un pezzo della strategia statunitense che prevedeva la progressiva eliminazione di tutti gli stati arabi «nazionalisti» che miravano a una maggiore autonomia, a cui la Russia insieme all'Iran erano riusciti finora a opporsi. Tuttavia la concentrazione della Russia sul fronte interno, e il colpo ricevuto dall'Iran e l'intero «asse della resistenza» dall'iniziativa di Israele, in seguito al “7 ottobre”, da molti paragonato all'11 settembre, che è stato motivo di un micidiale e spietato attacco di Israele nei confronti dei suoi nemici, condotto secondo modalità genocide che candidano Israele a entrare tra gli stati reprobi della storia, come la Germania nazista e il SudAfrica prima di Mandela. Tutto ciò ha creato le condizioni che hanno posto fine alla Siria come l'abbiamo conosciuta finora. Difficile districarsi nelle vicende che hanno determinato la caduta della Siria, in cui hanno giocato un ruolo diretto quasi tutte le potenze mondiali dagli Usa, alla Russia, alla Turchia, a Israele, nonché il ruolo delle forze jihadiste, finanziate dalle petromonarchie, persino i mercenari uiguri giunti dalla Cina. Fatto è che l’obiettivo della caduta di Assad era già stato dichiarato da Obama nel 2011, e non abbandonato, anche se poi aveva dovuto fare i conti con l’opposizione della Russia, venuta meno a causa dei motivi suddetti. La caduta di Assad è stata salutata come evento positivo dai media occidentali, e non importa se l’attuale capo del governo siriano Mohammed al-Jolani è il leader del gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham, “nato dalla separazione consensuale del Fronte al-Nusra dal network di al-Qa'ida” (Wikipedia).
Tuttavia, vi è da considerare anche che la Siria non è riuscita a effettuare quelle trasformazioni interne necessarie per superare il passaggio storico. Il regime baathista, centrato sulla minoranza alawita, era sopravvissuto al suo passato, ormai privo di consenso e legittimità interna, come si è visto dal fatto che l'esercito si è praticamente liquefatto nei confronti dei vari gruppi jihadisti che hanno martoriato il Paese.
Il fattore identitario deve essere accompagnato dalla costruzione politica (civiltà + stato, ovvero Stato-civiltà), altrimenti il solo fattore identitario diventa fattore di divisione da fattore di unione quale dovrebbe essere. È il caso del mondo arabo dove la religione svolge appunto questa funzione regressiva. Principalmente la divisione tra sciiti e sunniti è una grande risorsa a cui le potenze esterne possono far ricorso. Mentre nel mondo arabo la necessità di conservare l'identità ha portato a un'identità senza modernizzazione, in Europa la modernizzazione ha comportato la scomparsa dell'identità. Entrambe sono delle aree che non hanno saputo sviluppare una potenza sufficientemente autonoma e quindi soggette alla direzione dall'esterno.
Il conflitto tra civiltà esiste, anzi tra Stati-civiltà, termine che comprende l’elemento essenziale della costruzione politica. Negare questo conflitto non serve, anzi è la strada per arrivare a forme di conflitto incontrollabili, frontali (“clash of civilization”), serve invece riconoscerlo per riportarlo a forme di competizione regolate dal diritto internazionale.
È vero che le identità sono forme di costruzione sociale che mutano nel tempo, sulla base del confronto-scontro tra le diverse identità che porta a intrecci spesso molto complessi, e a cui concorrono diversi fattori, la cultura, la religione, la storia comune, l’organizzazione sociale e il fattore della costruzione politica, e non corrispondono a nessuna realtà “materiale” di base, ad es. di carattere biologico come la razza. Tuttavia queste costruzioni hanno un carattere reale, oggettivo, e duraturo nel tempo, nel senso della realtà che ha l’“essere sociale” secondo Lukács, ovvero di una oggettività che è diversa da quella degli enti fisici o biologici. Le civiltà sono un ente reale, anzi un ens realissimus, il quale, proprio perché si manifesta in termini generali, è il più facile da scorgere negli intricati rapporti geopolitici.
Sulla base di questi presupposti ritorniamo alla vicenda siriana.
Per la modalità in cui la statualità siriana si è dissolta, da un giorno all'altro, ha fatto pensare alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. L'attuale assetto istituzionale era un'eredità degli anni ’60-’70 con il governo della famiglia Assad e un ruolo ancora importante del partito Ba’th. Nel dopoguerra in seguito alla crisi di Suez, e alla conquista del potere nel 1963 da parte del Ba’th, quale partito panarabo di orientamento socialista, si formò un'alleanza strategica che rese la Siria il principale alleato dell'Unione Sovietica nel mondo arabo. L'alleanza tra la Russia e la Siria è stata un'eredità dell'Urss, ed era un alleato importante sia per la presenza di basi quali basi logistiche necessarie per la proiezione nel Mediterraneo e verso l'Africa, sia come alleato nel mondo arabo e stato cuscinetto tra la Russia e lo stesso. La perdita della Siria costituisce senza dubbio una sconfitta per la Russia, seppure non certo decisiva, anche se la Russia ha cercato di limitare i danni prendendo atto che il regime si è dissolto, l'esercito ha rinunciato a combattere, evitando di farsi coinvolgere nei combattimenti, che alla fine sono stati limitati, e cercando di conservare le due importanti basi. Se la Russia riuscirà a conservare le basi questo sarà un importante segnale del nuovo equilibrio in Siria. La Siria moderna, il Ba’th, la dinastia Assad sono istituzioni sorte nel “mondo bipolare” del dopoguerra, insieme ad altri partiti ed esponenti politici del nazionalismo arabo socialista: Nasser in Egitto, Saddam e il Ba'th iracheno, Ben Bella e FLN in Algeria sorto nella lotta per la decolonizzazione dalla Francia, la Libia di Gheddafi. Movimenti, partiti, stati e figure politiche che poi con il crollo dell'Unione Sovietica hanno visto la progressiva demolizione e liquidazione fisica da parte dell'Occidente, con il concorso dei movimenti islamisti, fino alla Siria che rappresenta l'ultima tappa.
La storia della Siria va vista innanzitutto nell'ambito del mondo arabo-islamico, ed è un caso esemplare per l'importanza del fattore culturale identitario, e allo stesso tempo quanto questo sia insufficiente senza una costruzione politica. Il termine Stato-civiltà, introdotto nel vocabolario politico dal dibattito politico cinese e russo (1), permette di fare delle rilevanti distinzioni. Se possiamo parlare genericamente dell'esistenza di una civiltà arabo-islamica in senso generale, l'assenza di uno stato egemone, come nel caso della Russia, della Cina, dell'India, differenzia la «civiltà islamica» dalle altre. Per quanto l'Impero ottomano abbia raccolto l'eredità dell'Impero islamico le due identità non si sono mai del tutto sovrapposte. Tale eredità è ritornata alla luce con il declino dell'impero ottomano e il sorgere dei movimenti nazionalisti arabi, favoriti inizialmente in funzione anti-ottomana dalle nazioni europee. L'eredità dell'impero ottomano è stata raccolta dalla Turchia che rappresenta comunque una entità distinta rispetto al mondo arabo. La Turchia, a differenza del mondo arabo, è uno Stato-civiltà che da vita a una media potenza, che ha visto in Erdogan un certo attivismo, rispetto al quale, ad es., le nazioni europee appaiono per quello che sono, degli stati privi di iniziativa e di forza vitale interna. Per quanto riguarda l'Iran lo sciismo è stata la forma in cui l'eredità culturale persiana ha fatto i conti con la dominazione islamica. Esso ha dato vita a un altro Stato-civiltà che seppure fortemente in crisi, a causa del pesante attacco occidentale, è comunque una potenza autonoma con un passato e un futuro. Turchia e Iran, nell'ambito islamico che va oltre l’ambito arabo, formano oggi due identità distinte che danno vita a due medie potenze in grado di resistere al «conflitto tra civiltà», mentre invece il mondo arabo-islamico non è riuscito ad avere una potenza che funzionasse da centro unificatore, sia per debolezza intrinseca sia per il pesante intervento delle potenze occidentali interessate alla cruciale risorsa petrolifera e che hanno in Israele un avamposto del mondo occidentale conficcato direttamente nel cuore del mondo arabo. Con il termine civiltà arabo-islamica è da intendersi soprattutto quella serie di nazioni, sorte nel territorio dell’impero islamico, che hanno in comune lingua araba e religione islamica a prevalenza sunnita. Sulla base di questa comune appartenenza si è sviluppata l'ideologia politica panaraba, che ha avuto diverse componenti, tra le quali quella laica, modernizzatrice e di orientamento socialista che ha visto esponenti come Nasser, la famiglia Assad, Saddam Hussein, Gheddafi, Ben Bella in Algeria, e la stessa OLP di Arafat.
Il più importante progetto di unificazione araba fu la Repubblica Araba Unita fondata da Nasser nel febbraio del 1958, una federazione di stati a cui aderì la Siria, lo Yemen del Nord, ma la prima, nel 1961, ne uscì in seguito a un colpo di stato.
Il nazionalismo panarabo di orientamento socialista, che guardava all'Unione Sovietica, subì una sconfitta decisiva con la guerra dei sei giorni, che fu una sconfitta soprattutto dell'Egitto di Nasser e che poi con la sua morte, dopo qualche anno, e l'avvento al potere di Sadat, vide l'ingresso dell'Egitto nel campo occidentale. Il nazionalismo arabo fu attraversato da forti divisioni interne, quali il conflitto all'interno del Ba’th siriano che darà vita al Ba’th iracheno di Saddam Hussein, trasformatosi in aperta rivalità durante la guerra Iraq-Iran, che vedrà il tentativo dell'Iraq di assurgere a potenza regionale. Il Ba’th siriano, nemico del Ba’th iracheno, si appoggerà alla componente alawita filo-iraniana, ma non propriamente una derivazione dello Sciismo, come si è detto in seguito all'alleanza politica tra la Siria e l'Iran. Ma è stata una minoranza che si è progressivamente alienata dalla maggioranza della popolazione sunnita siriana.
Proprio perché le statualità del mondo arabo sono deboli essendo frutto delle divisioni arbitrarie introdotte con l'accordo Sykes-Picot, frutto della spartizione coloniale tra Inghilterra e Francia, la religione ha conservato una funzione importante di collante sociale, costituendo, tuttavia, una delle principali difficoltà delle forze nazionaliste modernizzatrici, che ha lasciato spazio alle forze islamiste che pur guardavano a un'unità del mondo arabo, ma con un diverso ruolo della religione. Inoltre, lo stesso modello nazionale ricevuto dall'Europa era in crisi, incapace di far fronte alla nascita di stati basati sui «grandi spazi» come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l'India. Gli stessi stati nazionali europei sono diventati progressivamente una finzione essendo di fatto subordinati agli Usa in quella strana entità definita Occidente. Su questa contraddizione agirono gli Usa e Israele, favorendo i gruppi islamisti in opposizione al nazionalismo, con il concorso delle «petro-monarchie». È noto il sostegno ai gruppi islamisti nel dopoguerra, in funzione antisovietica, che culminò con il sostegno ai gruppi islamisti armati durante la guerra russa in Afghanistan da cui poi nacque Al Qaeda (emblematica la foto di Brzezinski con Bin Laden sulle montagne afgane), destinata a diventare successivamente il nemico pubblico di cui gli Usa avevano bisogno dopo la scomparsa dell'Urss, in seguito all'“11 settembre”. Al di là della retorica ufficiale, costituiva un problema fino a un certo punto il fatto che i gruppi islamisti compissero degli attentati in Occidente, che servono a motivare la manovalanza reclutata tra le masse islamiche avverse all’Occidente. I vari traffici di questi gruppi in Occidente venivano “monitorati” fino a un certo punto, si lasciava che individui e gruppi notoriamente affiliati alle organizzazioni terroristiche andassero e venissero dall’Europa alla Siria, perché allo stesso tempo questi gruppi venivano manovrati per indirizzarli sulle questioni che contano contro i nemici dell’Occidente. Un gioco diabolico, ma che ha funzionato (un libro di Robert Dreyfuss sull’argomento porta il titolo The Devil’s Game: How the United States Helped Unleash Fundamentalist Islam). Gli islamisti non sono puramente dei «tagliagole» assoldati dagli Usa e da Israele, essi perseguono i loro scopi, ma sono però sicuramente manovrati. Netanyahu ha affermato apertamente di aver favorito Hamas per indebolire l'Olp.
In Italia, perlomeno tra la ristretta minoranza che conserva un ricordo della politica del recente passato, la dissoluzione della Siria (ultima roccaforte del “socialismo arabo”) ha suscitato una certa reazione. L'Italia nel suo insieme, non solo la sinistra, per motivi economici (questione cruciale del petrolio), e geopolitici, fu oggettivamente vicina alle forze nazionaliste modernizzatrici panarabe, si pensi a Mattei, alla “politica mediorientale” della Dc, al rapporto con la Libia di Gheddafi, alla vicenda di Sigonella che vide protagonista Craxi (forse uno dei motivi che lo vide quale principale bersaglio di «mani pulite») ecc. La «politica mediorientale» è stata una delle poche questioni in cui l'Italia si è trovata unita, forse a causa della effettiva crucialità della risorsa petrolifera per l'industrializzazione del dopoguerra.
Purtroppo, il “socialismo arabo” è clinicamente morto da molto tempo, ma poi ha avuto una lunga agonia. La morte clinica si può datare alla sconfitta di Nasser durante la «guerra dei sei giorni», ma un forte segnale di crisi lo si può riscontrare nell'abbandono della Siria della Repubblica Araba Unita in seguito a un colpo di stato. Vi è stata poi la divisione fra Ba’th siriano e iracheno, la sconfitta e uccisione di Saddam, prima blandito durante la disastrosa guerra contro l'Iran, la distruzione della Libia e uccisione di Gheddafi. E infine l'atto recente della distruzione della Siria, ma non conclusivo.
Che siamo di fronte a una “lunga strategia” è apparso evidente nel discorso di Netanyahu all’Onu del 27/9/2024, corredato di illustrazioni grafiche che mostravano come “benedizione” la “via del cotone” (IMEC), mentre la “maledizione” coincideva con la “via della seta” promossa dalla Cina. A complicare questo quadro vi è la Turchia che ha un proprio progetto, “Strategic Development Road” già attivo. L’Italia si è ritirata dal progetto della “via della seta” ed ha aderito alla “via del cotone”, che presenta numerose incognite e difficoltà, entrando anche “in conflitto con la Turchia che invia al suo Porto Franco Internazionale il 70% delle sue esportazioni e le cui merci già ora rappresentano il 60% del lavoro, e in prospettiva concreta cresceranno” (2). Tuttavia, manca un pezzo perché la “benedizione” israeliana possa estrinsecarsi in tutta la sua beneficità, o, meglio, vi è un pezzo di troppo nello scacchiere mediorientale, ovvero l’Iran. Come si vede dalla “mappa” presentata da Netanyahu, l’Iran è un ostacolo per tale progetto. È l’Iran la possibile posta in gioco della politica statunitense, nel suo capovolgimento con Trump, nei confronti della guerra in Ucraina? Il recente voto contrario (i primi poi l’hanno rettificato in astenuto) di Usa e Israele all’ONU? In che misura la divaricazione tra gli Usa e Israele e quella delle nazioni europee è un gioco delle parti, come è sospettabile? È possibile che gli Usa e Israele intendano infliggere un colpo decisivo all’Iran, ricercando il consenso passivo della Russia che riceverebbe in cambio una soluzione della crisi ucraina (necessariamente parziale e a breve termine). Tuttavia, i dirigenti russi non sono certo ignari che una volta raggiunto l’obiettivo, la politica statunitense nei loro confronti potrebbe “capovolgersi” di nuovo. Qualora riuscissero a realizzare il progetto del “Nuovo Medio Oriente”, in che misura un più stretto controllo delle risorse petrolifere mediorientali sarà utile a frenare l’ascesa della Cina? Questione con risvolti strettamente tecnici che va oltre le conoscenze dello scrivente. In termini generali, tenendo conto che l'obiettivo dei vertici statunitensi è sempre quello di conservare la propria supremazia, perché essa è ritenuta in pericolo vengono cercate "soluzioni innovative" (Musk è principalmente un venditore di questa merce: "io offro soluzioni innovative") rispetto ai classici capisaldi della strategia statunitense che non vengono abbandonati, cioè stretto controllo del Medio Oriente, strategia stabilita dopo il crollo dell'Urss, separazione dell'Europa dalla Russia, separazione della Cina dalla Russia iniziata con Kissinger, ma che si potrebbe voler fare a parti inverse ora che con la guerra in Ucraina si è causato l'avvicinamento della Russia alla Cina. A dimostrazione di come gli Usa non riescano più a far fronte alla complessità del mondo, queste strategie oggi non collimano, non si riesce a tenerle insieme, ad es. avvicinare la Russia per separarla dalla Cina significherebbe riavvicinarla di nuovo all'Europa, un controllo più stretto del Medio Oriente renderebbe la Cina più dipendente dalle risorse energetiche russe, quindi la Russia avrebbe meno remore a un'alleanza più stretta con la Cina, che pur teme a causa della questione della Siberia. È una rete stesa sul mondo che è diventata troppo stretta, tirando un lembo da una parte se ne lascia scoperta un’altra.
Per questo vengono cercate "soluzioni innovative" piuttosto "scioccanti" come l'inglobamento di Canada e Groenlandia, controllo del canale di Panama, al fine di far crescere la potenza statunitense che è ritenuta non sufficiente per evitare il declino. Trump e Musk, quali espressione di determinati settori delle classi dominanti statunitensi, sono dei geniali strateghi che rilanceranno il predominio statunitense, oppure dei matti che affosseranno definitivamente gli Usa? Ci sono argomenti in favore dell'una o dell'altra ipotesi, tuttavia siamo di fronte a questa alternativa, ovvero di fronte a un mondo che sta cambiando a ritmo accelerato.
L’imperialismo occidentale ha completamente cancellato nel mondo arabo la presenza di forze modernizzatrici e che miravano allo stesso tempo a forme di unità del mondo arabo, sfruttando la loro intrinseca debolezza dovuta alle divisioni interne al mondo arabo. Al suo posto abbiamo il sogno del ritorno del Califfato portato avanti dai gruppi islamisti come Al Qaeda e Isis, manipolati dagli Usa e da Israele. Tuttavia, considerare l’islamismo come pura creazione occidentale è ugualmente sbagliato, vedi la vicenda della Palestina che con il fallimento di Al Fatah, ha visto l’ascesa di Hamas nato come filiazione di Fratelli Musulmani. Tali gruppi sono ciò che resta dopo la devastazione occidentale nel mondo arabo, che è stata e sarà fattore di caos. Tali forze islamiste sono state strumento della politica occidentale, ma in esso agiscono forze e interessi contraddittori dalla Turchia, all’Arabia Saudita, al Qatar. Fa bene la Russia a prendere atto della situazione.
Il mondo arabo sembra destinato, almeno nel prossimo futuro, a mantenere la sua frammentazione e a essere terreno di contesa e oggetto della politica delle grandi e medie potenze … come l’Europa.

1.    Vedi in merito La Guerra Grande: universalismo USA vs Stati – Civiltà. Intervista a Gennaro Scala a cura di Luigi Tedeschi,
https://www.centroitalicum.com/la-guerra-grande-universalismo-usa-vs-stati-civilta/
2.    Paolo Deganutti, Il Nuovo ordine mondiale che vuole Netanyahu,
https://pluralia.forumverona.com/a/il-nuovo-ordine-mondiale-che-vuole-netanyahu/