Siria, la partita ormai è chiusa: i ribelli si rifugiano in Giordania
di Matteo Carnieletto - 09/09/2017
Fonte: Gli occhi della guerra
Le strade che dal Libano portano alla Siria sono tappezzate dai ritratti di quella che sembra una sorta di trinità laica: Bashar Al Assad, Vladimir Putin e Hassan Nasrallah. Tre volti che per i siriani rappresentano la capacità di resistere al terrorismo e, stando ai risultati di questi ultimi due anni, di sconfiggerlo. L’Isis è stato debellato in Libano, mentre in Siria è ormai relegato nella parte più ad est del Paese. L’esercito siriano, inoltre, proprio in questi giorni è riuscito a rompere l’assedio di Deir Ezzor e ora potrebbe marciare su Raqqa, la capitale dello Stato islamico.

Mappa della guerra in Siria aggiornata al 9 settembre 2017
Ma la vera battaglia del governo di Damasco è contro i gruppi ribelli (per approfondire: “La Siria ha un problema. E non è l’Isis”), che attualmente occupano la provincia di Idlib e una gran fetta di terra desertica al confine con la Giordania. Ed è proprio qui che nei giorni scorsi è accaduto un fatto che sembra indicare la vittoria– più o meno imminente – di Assad: gli uomini dell’Esercito siriano libero (Free Syrian Army) hanno deciso di abbandonare questa zona di confine per ritirarsi nel regno di Abdullah II, che, non a caso, proprio in questi giorni incontrerà il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov .
Come riporta Difesa Online, “il territorio verrà preso in consegna dai siriani con l’unica eccezione della ristretta area del posto di confine di Al Tanf, dove rimarrà un distaccamento americano”. Non è ancora chiaro né come né quando le truppe ribelli potranno spostarsi in Giordania. Ciò che invece è evidente è che, così facendo, Damasco tornerà ad avere il pieno controllo del sud del Paese (ad eccezione della provincia di Daraa, dove, tra l’altro, scoppiò la rivolta anti Assad nel 2011) e potrà sviluppare una nuova zona di collegamento con le forze sciite presenti in Iraq.
“Assad ha vinto la guerra in Siria”
Lo avevamo scritto due settimane fa: “Assad ha vinto la guerra (con buona pace di Usa e sauditi). Ora, questa tesi è stata rilanciata anche dall’inviato delle Nazioni Unite in Siria, Staffan De Mistura, che lo scorso 6 settembre ha detto: “L’opposizione siriana deve accettare il fatto di non aver vinto la guerra in corso in Siria dal marzo del 2011, ma realizzare la necessità di giungere a un accordo di pace“. Con queste parole De Mistura ha così invitato l’opposizione armata ai colloqui di Astana e, secondo quanto ha fatto sapere oggi il ministro degli Esteri del Kazakistan, i miliziani parteciperanno ai prossimi incontri che inizieranno giovedì e sui quali sta lavorando la Turchia.
Anche Robert Fisk, storico reporter di guerra dell’Independent, ha scritto un editoriale che va in questa direzione: “L’Occidente stenta a crederlo, ma la guerra in Siria sta finendo e Assad è il vincitore”. Secondo Fisk, il leader siriano è ormai vicino alla vittoria per tre importanti motivi:
- La Gran Bretagna ha rinunciato ad addestrare i ribelli anti Assad (e pure gli Stati Uniti hanno deciso di abbandonare l’opposizione armata al suo destino.
- La Russia ha fatto capire ad Israele che l’Iran rappresenta un “alleato strategico” nella regione (parole di Vladimir Putin), mentre Tel Aviv è “solo” un “importante partner” (sempre parole del presidente russo).
- Israele dovrà quindi trovare il modo di trattare con Assad per mantenere i propri confini al sicuro. Tel Aviv ha a lungo investito sui miliziani che si opponevano a Damasco (per approfondire: “Così Israele aiuta i ribelli in Siria”), sperando in una Siria meno ostile allo Stato ebraico. Così non è stato e ora Netanyahu deve correre ai ripari.
Si rafforza il ruolo dell’Iran (ma si rischia una guerra con gli Hezbollah)
L’Iran, fin dal 2011, ha sostenuto militarmente Damasco. È stato il vero puntello che, fino al 2015, ha tenuto in piedi Assad. Poi è arrivata l’aviazione russa, che ha permesso la liberazione di Aleppo e di tante altre zone controllate dai ribelli. Ma le forze sciite sono state fondamentali nella difesa del governo siriano. Gli Hezbollah sono arrivati in Siria fin dai primi momenti di crisi. Hanno portato la loro esperienza, oltre alle armi. Hanno saputo addestrare i siriani alla guerra. E lo stesso hanno fatto anche gli iraniani.
Queste operazioni ovviamente non sono piaciute ad Israele, che vede in Assad il suo nemico numero uno. In diverse occasioni, uomini dell’inteligence di Tel Aviv hanno detto di preferire lo Stato islamico al governo di Damasco. Per questi motivi, lo Stato ebraico ha più volte bombardato sia le forze siriane che quelle delle milizie sciite. L’ultimo bombardamento risale solamente a tre giorni fa, quando alcuni caccia hanno colpito una base militare di Damasco.
Per Israele il pericolo è rappresentato soprattutto dagli Hezbollah, l’unica forza, ad oggi, che è stata in grado di tenere testa a Tsahal. Per questo motivo, lo Stato ebraico “ha dato il via alle più grandi manovre militari degli ultimi 20 anni al confine con il Libano”, come ha scritto Lorenzo Vita su queste pagine. La guerra in Siria sembra sì essere al capolinea. Ma un’altra e forse peggiore guerra rischia di abbattersi sul Medio Oriente.