Soffia aria di censura: temo il peggio...
di Diego Fusaro - 15/05/2021
Fonte: Diego Fusaro
La svolta autoritaria che sta caratterizzando il modo della produzione capitalistico negli ultimi tempi, e che l'emergenza epidemiologica del coronavirus ha potenziato con incredibile tempismo, trova un suo preciso riscontro anche e non secondariamente nella crescente limitazione degli spazi di libertà consentiti dall'ordine del discorso dominante. There is no alternative, il famigerato motto thatcheriano che di fatto pone fuori legge la possibilità ontologica di vivere altrimenti rispetto al modus liberista, sta sempre più rapidamente diventando anche il criterio per i regimi di verità: o, meglio, per il regime di verità al singolare, vale a dire per l'unico ordine del discorso consentito; quello, appunto, che fa da completamento ideologico per i rapporti di forza dominanti nel tardo capitalismo tecnocratico e postborghese. Il nostro si candida, così, a diventare il primo tempo in cui la problematizzazione critica e il dubbio socratico in quanto tali siano ostracizzati con la fortunata quanto sciocca categoria di "complottismo", ripetuta pappagallescamente dal gregge addomesticato degli ultimi uomini della civiltà di massa. Con la categoria di complottismo, peraltro, non si fa altro che negare il diritto di esistenza a ogni discorso che non coincida millimetricamente con quello che si pretende vero, perché così han deciso i gruppi dominanti. Insomma, è ora di farsene una ragione e di ammetterlo apertamente: anche l'ordine neoliberale sa essere repressivo e intollerante, proprio come le forme che siamo soliti definire, in relazione al '900, totalitarie. Il 2021, che si era inaugurato con l'esilio forzato dalle reti sociali addirittura per il presidente uscente degli Stati Uniti d'America Donald Trump, prosegue ora con coerenza con la censura dei libri (estromessi dalle librerie) che osino criticare il nuovo ordine erotico propugnato dal ddl Zan, come è infatti accaduto in questi giorni, e poi anche con la bufera in Rai, di cui tanto si discute; bufera cagionata da una trasmissione, su Raidue, che ha avuto l'ardire di criticare quel mirabile paradiso che solo può essere osannato e che va sotto il glorioso nome di Unione Europea. "Intollerabile, serve un cambiamento radicale": non è una frase estrapolata da un processo della Santa Inquisizione, magari culminato con il rogo dello sventurato eretico di turno; è invece, secondo quanto riportato da" La Stampa" di Torino, il commento illuminato del sempre lucido e riflessivo segretario del "partito democratico" - mai nome fu più orwelliano - Enrico Letta. Il quale Enrico Letta, lo ricordiamo, scrisse qualche anno addietro un pamphlet inequivocabilmente intitolato "Morire per Maastricht", che un posto a sé meriterà forse un giorno negli archivi della storia dell'ideologia politica: in effetti, il promettente titolo non chiariva quale fosse il soggetto del "morire per Maastricht" e ora sorge qualche più che legittimo dubbio che quel soggetto, a posteriori, fosse il pensiero libero. Insomma, uno sciagurato progetto come l'Unione Europea, nato come spietata controffensiva del capitale vincente dopo il 1989 contro le classi lavoratrici d'Europa, non poteva non culminare con la messa a morte della libertà di pensiero e di espressione. Morte in nome del progresso e della lotta contro tutte le discriminazioni, sia chiaro. Le parole di Letta, davvero, poco spazio lasciano alla fantasia: il cambiamento radicale che egli con eroico furore invoca è, semplicemente, il riallineamento immediato e senza negoziazioni possibili all'ordine del discorso egemonico; quello che, appunto, vi lascia generosamente dire tutto quel che volete dell'Unione Europea, a patto che quel che voi volete dire coincida con quello che i gruppi dominanti del blocco oligarchico neoliberale vogliono che si dica. Siamo solo all'inizio, si badi. Sempre più chiaro diventa che il binomio di capitalismo e democrazia è stata una effimera parentesi del secondo Novecento: la Restaurazione del capitale è in corso ed è destinata a procedere assai oltre, se non incontrerà forme di resistenza attiva dal basso. Sta a noi decidere cosa fare della nostra storia: se continuare a subire in silenzio, perdendo tutto un pezzo dietro l'altro, o se mettere da parte la "resilienza" per tornare a praticare sane e doverose forme di resistenza.