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Sovranisti dei miei stivali

di Roberto Pecchioli - 09/07/2024

Sovranisti dei miei stivali

Fonte: Ereticamente

Bettino Craxi definì Ernesto Galli Della Loggia “intellettuale dei miei stivali”. L’espressione scatenò l’odio della categoria verso il capo socialista, l’ultimo dirigente politico ad avere avuto – piacesse o no – un progetto nazionale per l’Italia. Mal gliene incolse e l’ostracismo vendicativo dei potenti lo fece morire in Tunisia, esule o latitante, a seconda dell’opinione di chi legge. Chi è venuto dopo ha fatto rimpiangere la vecchia classe dirigente anche a chi la avversava.
Chissà che penserebbe Bettino della vendita contemporanea della rete di telecomunicazioni italiana al fondo americano KKR e della cessione di Ita – ex Alitalia- a Lufthansa. L’infrastruttura più importante della nazione, la rete delle telecomunicazioni attraverso cui passano le conversazioni, gli affari, i dati, le transazioni di tutti noi, l’economia e ogni decisione strategica e riservata, va a un soggetto estero controllato dal deep State americano. Nella compagine azionaria di KKR figurano i maggiori fondi di investimento del pianeta, con sede negli Usa e interessi dappertutto. Più scontata la fine della compagnia aerea “di bandiera”, da anni in crisi tra mala gestione, debiti e incapacità di reggere la concorrenza. Due spaccati diversi del declino nazionale: economico, finanziario, industriale, culturale, politico. Non ha ascolto la voce di chi sostiene la necessità di riannodare i fili di un pensiero economico alternativo al liberismo sistemico, diventato ordoliberismo per l’inserimento dei suoi postulati ideologici nelle legislazioni, nelle costituzioni, nei trattati internazionali.
Dagli intellettuali dei miei stivali siamo passati ai sovranisti dei miei stivali. Campano di paroloni sull’interesse nazionale, sventolano il tricolore con la lacrimuccia a bagnare le ciglia, ma alla prova dei fatti sono uguali ai loro avversari. Il patriottismo sembra diventato, se non “l’ultimo rifugio delle canaglie” (Samuel Johnson) una rappresentazione tra le altre, uno spettacolo ad uso degli ingenui. Dietro il palcoscenico si prendono le decisioni e si ride degli spettatori (paganti).
Intanto Tim è entrato nella disponibilità di un governo straniero, per una somma – ventitré miliardi – sino a poco tempo fa ritenuta inadeguata dagli analisti e dal socio francese Vivendi. Inutile fare la storia della colonizzazione economica e finanziaria dell’Italia a partire dal fatidico 1992, l’anno del Britannia, della liquidazione del vecchio sistema politico, della spartizione delle Partecipazioni Statali. Inutile rammentare il ruolo antinazionale dei vertici di Bankitalia, dei ministeri e delle imprese pubbliche, le privatizzazioni a basso prezzo, la vendita a scampoli del patrimonio industriale, finanziario e di ricerca costruito sin dagli anni Trenta del secolo scorso. Vano rilevare la menzogna spudorata di chi afferma che le privatizzazioni servono a diminuire il debito pubblico. Anche i fatti possono essere invertiti: il debito pubblico continua ad aumentare perché il meccanismo infernale del prestito a interesse ne rende impossibile la restituzione. A chi, poi?
Ozioso constatare l’assenza italiana – per dismissione – dai settori industriali più importanti; senza effetto rammentare che il destino della siderurgia è stato affidato a soggetti convinti di sostituire Ilva con l’allevamento di cozze nel golfo di Taranto. Agli italiani non interessa: da un lato, in quanto rinchiusi nel “particulare” di cui parlava Francesco Guicciardini già cinquecento anni fa; dall’altro perché fare il tifo per gli interessi altrui è sport nazionale ancora più antico: quella tra guelfi e ghibellini – papato e impero – è una divisione che risale al XIII secolo. Inutile, infine, perché le culture prevalenti sono nemiche dell’Italia: quella clericale, quella post comunista e quella globalista vincente. Ha deciso il sacro mercato: Roma locuta, causa finita. Applausi. I padroni del discorso in regime di monopolio fanno credere qualsiasi cosa.
Chi ancora strologa – dal governo o dall’opposizione – di interesse nazionale mente spudoratamente. Meglio la sincerità di Più Europa e le intemerate globaliste di Renzi o Calenda. Almeno prendono atto della realtà. Quanto ai sovranisti, stendiamo un velo pietoso, rammentando solo le imprese più mirabolanti dei “patrioti” avvolti nel tricolore come la cantante Gea della Garisenda al tempo di Tripoli bel suol d’amore. Siamo strozzati dal vassallaggio ( o servitù della gleba?) agli Usa e alla Nato, a cui offriamo adesso anche un altro pezzo di territorio, in cui avrà sede il comando operativo per l’Europa. Un bersaglio in più nella guerra che preparano contro i nostri interessi.
Hanno cancellato la partecipazione italiana alla Via della Seta cinese, per certi versi discutibile, ma un’opportunità a lungo termine per un territorio cruciale nelle rotte commerciali. Privi di una qualsiasi politica energetica (Berlusconi ne aveva una, e fu la sua fine, al di là dei sicari giudiziari) compriamo a prezzi maggiorati prodotti che prima ottenevamo a condizioni favorevoli. Gli italiani se ne accorgono nelle bollette, gravate anche dalla fine delle tariffe controllate. Forniamo all’Ucraina armi che non verranno pagate ( Kiev è in default) i cui costi sono scaricati sul peggioramento – o la soppressione – dello Stato sociale. L’UE fa ciò che vuole e tutto ciò che chiedono è “ un posto di peso” nella Commissione Europea. Fingono di non sapere che le regole impongono ai commissari di non tenere conto dell’interesse della nazione di provenienza. Ordoliberismo.
Fiato sprecato ricordare che un padre nobile della cultura nazionale, Nicolò Machiavelli, sosteneva che la sovranità ha due pilastri imprescindibili: l’ esercito e la facoltà di battere moneta. Sulle forze armate eterodirette (in ossequio ai protocolli riservati della sconfitta di ottant’anni fa, che chiamiamo liberazione) meglio il silenzio per carità di Patria, anzi del “nostro paese”, come se fosse Roncobilaccio o Isola del Cantone. Meglio tacere sull’extraterritorialità delle cento basi Usa e Nato. In quanto alla moneta, è della Banca Centrale Europea, un’ istituzione finanziaria immune da controlli e non di proprietà pubblica, sottratta alla legislazione degli Stati e dell’Unione. La Banca d’Italia vi possiede quote di estrema minoranza e i suoi azionisti (si deve dire “partecipanti”) sono istituti di credito non più in mani italiane, Unicredit e Intesa San Paolo su tutti.
Parlare quindi di sovranità nazionale desta ilarità, a partire dalla gerarchia delle fonti giuridiche che mettono ai margini la legislazione italiana e la stessa costituzione “più bella del mondo”. Parola di un comico, Roberto Benigni. I “gioielli di famiglia” sono stati venduti e il sistema Italia non controlla più gran parte dei suoi asset strategici né le “utilities”, le società “ di pubblica utilità” che gestiscono l’erogazione di servizi pubblici (acqua, rifiuti, rete elettrica, gas). La previdenza privata (assicurazioni sanitarie e pensioni) diventa un obbligo per le generazioni più giovani; i contratti di lavoro la prevedono sempre più e le somme corrisposte dai lavoratori entrano nel sistema di detrazioni e deduzioni fiscali. L’erario perde gettito e i miliardi versati sono incamerati da soggetti internazionali controllati dai fondi di investimento. La necessità di remunerare a breve termine i grandi investitori (il Mercato misura di tutte le cose) dirotta somme crescenti all’estero. Oligarchia “estrattiva” del nostro reddito – la fulminante definizione di Marco Della Luna – con la complicità dei governi.
La vera domanda è la seguente: a che cosa serve lo Stato italiano ? Qual è la funzione della Repubblica, oltre la retorica e i concretissimi interessi di chi la controlla, ceto politico, alta burocrazia, grandi fornitori? Non ha ragione , a questo punto, chi invoca ulteriori cessioni di sovranità, la fine della finzione ad uso delle masse, poiché la sovranità non appartiene al popolo, se mai gli è appartenuta? Non è meglio, allo stato dei fatti, smantellare l’impalcatura pubblica e affidarsi all’amministrazione (governance) tecnocratica globale, di cui l’UE è il terminale politico, la BCE quello finanziario, la Nato il gendarme armato e il sistema di intrattenimento e spettacolo con sede a Hollywood il fornitore di valori e l’organizzatore dei circenses di massa?
Domande niente affatto retoriche, se valutiamo la realtà dell’Italia contemporanea. Di che cosa siamo padroni? Quali decisioni possiamo prendere autonomamente? I governi esercitano il potere conferito dal popolo o amministrano pro tempore una macchina sgangherata e disfunzionale per conto di soggetti esterni? Purtroppo occorre prendere atto che nella realtà globalizzata uno Stato nazionale delle dimensioni del nostro, in declino economico e in rotta demografica, con poche risorse naturali (che peraltro non ricerchiamo e non sfruttiamo) ha scarse possibilità di contare qualcosa e di assicurare il bene comune dei cittadini. Il dilemma è enorme , tuttavia qualcosa occorre pur opporre alla fine programmata, a pezzi e bocconi – della sovranità, dell’economia, dell’interesse nazionale, dello stesso popolo italiano.
Soprattutto, serve il coraggio della verità, a partire della constatazione che la sovranità – popolare e nazionale – è pressoché finita e lo Stato chiamato Italia è una costosa finzione per tranquillizzare un popolo tenuto all’oscuro dei fatti. Mentre si dibatte su chi presiederà l’Unione Europea, sfugge che anche Bruxelles è una pedina in un gioco i cui protagonisti sono altrove. Pochi bastian contrari scuotono la testa per la cessione della nostra rete di telecomunicazioni, un’ operazione che coinvolge molti altri paesi, le cui reti stanno passando sotto il controllo privato dei padroni globali. Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, non di bolscevichi attardati o di estremisti di destra, ammette che detenere un sistema di telecomunicazioni richiede investimenti a lungo termine ( una bestemmia per azionisti il cui orizzonte è la trimestrale di cassa) e questi determineranno, per gli utenti , nuovi aumenti di tariffe.
E’ poi assai dubbio che KKR pagherà le tasse in Italia: i giganti sono deterritorializzati e agiscono in regime di confusione giuridica e caos tributario, tra società scatole cinesi e paradisi fiscali. Tecnicamente, l’acquisizione della rete Tim è in capo a un’entità il cui capitale è di cinquantamila euro. Chi pagherà i ventitré miliardi dell’affare, dunque? Tranquilli, la finanza ha una soluzione per ogni (suo) problema. Noi popoli superflui non avremo niente e saremo felici ( di pagare di più). Intanto, qualcuno sta mettendo gli artigli sull’ingente risparmio privato degli italiani ; la transizione green fa presagire un attacco di dimensioni storiche al bene più caro, la casa di proprietà. I sovranisti disinformati non sanno chi sono i veri proprietari della nostra nazione ? Ignorano che sono i più giganteschi evasori ed elusori fiscali del pianeta, altro che idraulici e piccole partite IVA ? Gran parte dell’opinione pubblica ignora – nessuno la informa – che pochi colossi transnazionali sono o stanno diventando i padroni degli ultimi grandi asset italiani. Sono i fondi di investimento, un agglomerato diventato potentissimo negli ultimi vent’anni, motore e centro di comando della globalizzazione (e della conseguente “glebalizzazione”, un termine coniato da Diego Fusaro).
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Uno dei limiti del sovranismo parolaio è di limitarsi a deplorare – senza peraltro organizzare la controffensiva- l’arretramento dello Stato nazionale a favore di entità sovra e transnazionali, di trattati che oltrepassano il diritto statale e di agglomerati finanziari onnipotenti. Una posizione che non sfiora il nucleo del problema, la privatizzazione del mondo avviata dagli anni Novanta, in corrispondenza dell’implosione del comunismo novecentesco. Non è possibile recuperare sovranità- neanche da parte di un organismo delle dimensioni dell’UE- senza attaccare alla radice il sistema globale di monopoli e oligopoli privati. Molti conoscono il rilievo acquisito dal grumo fintech (Microsoft, Google, Meta, Apple, Tesla) ma è ancora poco esplorato l’immenso potere conquistato dall’inizio del secolo XXI dai fondi d’investimento.
Sembra che la crisi del partito conservatore inglese e la vittoria laburista del 4 luglio scorso siano state operazioni preparate e finanziate da Black Rock, il fondo più potente di tutti. Il nuovo primo ministro britannico, Sir Keir Starmer è il tipico prodotto dell’officina globalista: libertario, liberista, membro di circoli riservati. Londra è la seconda piazza finanziaria del mondo: i cambi di governo  devono essere graditi soprattutto ai Rothschild, la dinastia finanziaria più antica, ultima monarchia assoluta del vecchio continente.
I dieci principali fondi di investimento del mondo- otto dei quali statunitensi- gestiscono patrimoni per oltre 44 mila miliardi di dollari. Il PIL mondiale, nello stesso anno, era stimato attorno ai 102 mila miliardi; il PIL Usa ammontava  a 25, 3 trilioni di dollari, quello della Cina a 20, mentre i quattro maggiori Stati dell’UE ( Germania, Francia, Italia, Spagna) raggiungevano gli 11,7 trilioni. Il solo Black Rock di Larry Fink ha in portafogli oltre dieci trilioni di dollari, cinque volte il PIL italiano ( 2,1 trilioni) , uguale al patrimonio dell’elvetica UBS, solo undicesima nella graduatoria dei fondi. Il legame tra finanziarizzazione dell’economia e privatizzazione del mondo è inscindibile. Il  potere dei fondi deriva dal combinato disposto dell’operato delle banche centrali e dei governi, a partire dalla cruciale abolizione in America del Glass Steagall Act durante la presidenza Clinton , la legge che separava l’attività bancaria tradizionale da quella di investimento. Da allora nessun vincolo frena la finanza e tutti noi siamo divenuti, da depositanti, clienti/investitori con tutto il rischio a nostro carico. La conseguenza della voracità finanziaria è stato lo smantellamento dello Stato sociale e la privatizzazione accelerata di tutto, dall’acqua alle sementi agricole, dal cibo alla sanità, dalla chimica all’informatica, dalle telecomunicazioni sino alla robotica,  all’Intelligenza Artificiale, ai fondi pensione.
Non è possibile dichiararsi sovranisti se non si prende posizione contro questa gigantesca concentrazione planetaria di potere privato. La forza è la regina del mondo, non l’opinione, ma l’opinione fa uso della forza. Un pensiero di Blaise Pascal che spiega la realtà di oggi meglio di un trattato di geopolitica. La forza è mascherata e vive dell’inversione della realtà e della verità a danno di masse cretinizzate. Un solo esempio: sostituire i campi coltivati con impianti fotovoltaici – una delle distopie verdi alimentate dall’alto- risponde al progetto di centralizzare la produzione e la distribuzione di cibo. Quando l’oligarchia avrà sotto controllo l’accesso alle fonti di cibo, avrà in pugno l’umanità. Forse per questo si parla così poco di sovranità alimentare e tanto di cibo artificiale, cioè industriale.
Conquistate le casematte dell’economia reale in alleanza con le banche d’affari e le banche centrali creatrici della moneta-debito, i colossi sono padroni del mondo. Nel caso della piccola Italia, il panorama è sconfortante. Abbiamo già detto della previdenza  (sanitaria e pensionistica) che drena gettito fiscale per destinarlo a investimenti finanziari a breve termine sui mercati internazionali, togliendo risorse all’erario e in definitiva a ciascuno di noi. Le tasse si basano sul principio di territorialità delle persone –fisiche e giuridiche- e sul concetto di “ stabile organizzazione”. Proprio quello che riescono a oltrepassare i giganti deterritorializzati, organizzati a scatole cinesi, che fatturano  a società controllate con sedi nei paradisi fiscali in un carosello impossibile da raggiungere con i mezzi degli Stati nazionali e di unioni di Stati come l’UE.
Dovremmo iniziare a discutere di sovranità tributaria. La cornice è un agglomerato di potere e ricchezza le cui risorse sono flussi di informazioni e dati che attraversano i confini, dinanzi ai quali ogni rivendicazione di sovranità appare vana. Serve ridefinire l’idea stessa di fiscalità, attraverso accordi tra Stati e gruppi di Stati per evitare che i fondi, Big Tech e i colossi transnazionali facciano profitti giganteschi corrispondendo mediamente il 3 per cento di imposte. La rete televisiva Netflix sino al 2022 non versava un euro all’erario italiano in quanto non aveva né dipendenti né sedi, pur incassando milioni dai suoi abbonati. Amazon nel 2019 ha fatturato in Italia oltre un miliardo pagando 1,1 milioni di tasse. I cinque maggiori Big Tech  hanno pagato tasse per settanta milioni a fronte di ricavi certi di 3,3 miliardi.
Il problema non è solo italiano: Amazon Europe nel 2020 ha fatturato 44 miliardi e non ha pagato un euro. Ha potuto scegliersi la sede e utilizzare una struttura societaria con cui  manipolare guadagni, perdite e passivi sino a azzerare le tasse. Non potremo parlare di sovranità se non riusciremo a raggiungere e far pagare il giusto ai giganti. E’ troppo chiedere che siano trattati come le persone fisiche o le partite IVA residenti ? Eppure in sede europea non si raggiunge un accordo neppure per una tassazione assai modesta, tra il 3 e il 5 per cento del fatturato. Le lobby, quelle sì, sono sovrane, a Bruxelles e non solo. Le imposte sulla società producono un gettito risibile, attorno al 2,5 per cento, la maggior parte sopportata dai soggetti più piccoli.
Le resistenze arrivano da un governo che sovrano è davvero, quello americano. I giganti hanno sede e dirigenza negli Usa: ogni tentativo di assoggettarli a regole è accompagnato da minacce di ritorsioni economiche e finanziarie del governo americano. Le risorse sottratte alla fiscalità italiana e europea rafforzano l’economia Usa. In più, dal 2020, annus horribilis pandemico, le multinazionali hanno spostato profitti per circa 1400 miliardi  nei paradisi fiscali. La perdita fiscale è stimata in 250 miliardi- otto-dieci leggi finanziarie italiane- e grava sull’intera economia , mentre ci balocchiamo con la guerra dei poveri, dichiarando evasori idraulici e artigiani e non le società di capitali multi e transnazionali, sottratte alle norme territoriali degli Stati.
Sul capitalismo dominano pochi grandi fondi e non c’è più , in sostanza, traccia di mercato, trasformato in oligopolio globale. La prossima tappa sarà impadronirsi del patrimonio immobiliare , in Italia detenuto da milioni di piccoli proprietari – noi- titolari della casa d’abitazione. Le norme di adeguamento all’imposizione green ( altra sovranità perduta, che non permette di discutere i diktat oligarchici in nome dell’ambiente e dell’indottrinamento relativo, fortissimo tra i giovani). Si stima che almeno nove milioni di immobili, dei dodici milioni esistenti in Italia, dovranno essere sottoposti a costosissimi adeguamenti. In assenza di risorse pubbliche ( i grandi non pagano tasse, noi sì) moltissimi dovranno ricorrere a mutui, ipoteche o saranno costretti a (s)vendere la casa. Gli unici a possedere le risorse necessarie sono i giganti finanziari: i fondi diventeranno padroni di tutto.
Agli anziani verrà prospettata la soluzione già comune in Argentina: cessione della casa in cambio del diritto d’uso e di un’integrazione delle pensioni, sempre più magre per l’azione congiunta del calo demografico, dell’inflazione manipolata e dell’impossibilità per gli Stati di sostenere il sistema previdenziale. Questo significa che moltissimi non potranno trasmettere ai figli gli immobili di proprietà. Bingo. Il mercato diventa monopolio, le politiche pubbliche sono impossibili per assenza di risorse, trasferite all’oligarchia “estrattiva”. Di quale sovranità andiamo parlando, dunque? Se aggiungiamo il ruolo dei fondi nel debito, il cerchio si chiude e diventa una morsa. Il debito pubblico mondiale è stimato in 100 mila miliardi di dollari, quello totale il triplo. I creditori – falsi, ma diventano veri perché il sistema è stato fatto da loro e per loro- sono soprattutto fondi.
I soli interessi gravano per almeno il 15 per cento del PIL globale. Poiché non si può estinguere un debito con moneta emessa a sua volta a debito, diventa essenziale gestire il risparmio privato e le risorse dei cittadini , all’unico fine di trasferire interessi all’usura legale. Di qui il ruolo essenziale delle banche centrali- indipendenti, prive di controllo da parte degli Stati- la tenaglia che rinchiude gli Stati e le nostre stesse vite. Il sistema bancario nazionale è a sua volta controllato dai fondi, azionisti di riferimento – tra molteplici partecipazioni incrociate- delle principali banche “italiane”. Anche le grandi utilities italiane sono di fatto possedute dai fondi, che estraggono profitti certi in quanto agiscono in regime di monopolio naturale per la natura dei servizi erogati, pagano pochissime tasse e trasferiscono miliardi dove è più profittevole. A quali astronomiche somme ha rinunciato, nel tempo, il sistema pubblico e la mano privata italiana, che un giornalismo servile chiamava “capitani coraggiosi”? Uguale sorte per i vecchi gioielli di famiglia del settore energetico ( Saipem, Terna, eccetera), anch’essi ampiamente partecipati dai fondi. Di che parliamo, dunque, quando evochiamo la sovranità, la quale, come l’araba fenice, “che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”?
La realtà è assai più cruda di quanto ci venga fatto credere da un’informazione e da una politica complici. Soprattutto, meraviglia che da nessuna parte si tenti di costruire un pensiero economico e finanziario alternativo, che contesti alla radice l’esistente e progetti- pur con tutte le difficoltà del caso- la fuoriuscita da un sistema costruito per distruggere la dimensione pubblica, impoverire i cittadini, soffocare le imprese, controllare con mano di ferro le risorse, le politiche, le “narrazioni” ufficiali. Indipendentemente dalla buona fede dei sovranisti ( quando c’è…) tutto il potere , ogni risorsa, ogni leva decisionale è in mano a una cupola di cui i fondi di investimento sono il sistema operativo più importante. Ai sovranisti “veri” e a ogni oppositore del globalismo reale, il durissimo onere di immaginare come venirne fuori. O almeno l’onestà intellettuale di dire la verità prendendo atto che la sovranità – popolare e nazionale- nelle sue diverse declinazioni,  economica, finanziaria, militare, politica, tecnologica, tributaria, energetica, alimentare, culturale, è stata perduta e consegnata al piano alto della finanza, all’ombra delle armi americane. Tutto il resto è noia. O menzogna.