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Stato di eccezione permanente

di Giorgio Mascitelli - 07/12/2024

Stato di eccezione permanente

Fonte: Giorgio Mascitelli

La decisione della corte costituzionale rumena di annullare i risultati elettorali del primo turno delle elezioni presidenziali con motivi pretestuosi, che nascondono il vero motivo ossia che i risultati erano sgraditi alla UE e alla NATO,  va letto come l'episodio più grave di una serie di eventi simili. La scelta di appoggiare le proteste della presidente della repubblica della Georgia, ex ambasciatrice francese  che poi ha preso la cittadinanza georgiana e nel giro di pochi anni è divenuta presidente, perché le elezioni parlamentari sarebbero truccate, nonostante l'OCSE incaricato di monitorare il voto non abbia segnalato irregolarità gravi e sistematiche, la vittoria della candidata europeista in Moldavia grazie ai voti dall'estero con un'organizzazione di quel voto che penalizzava i residenti in Russia e le stesse contorsioni di Macron per non tenere in considerazione i risultati elettorali delle politiche si inseriscono in questa serie. Sarebbe sbagliato pensare che tale serie cominci in questi ultimi mesi, la sua matrice più significativa risale al ricorso in molti paesi a procedure tipiche dello stato di eccezione, per ragioni economiche, in particolare per rispondere alle esigenze dei mercati finanziari, che hanno imposto la violazione talvolta nella lettera e talvolta nello spirito di regole costituzionali e pratiche democratiche in una serie di paesi a cominciare dal nostro,  negli anni in cui la crisi dei subprime del 2008 negli Stati Uniti è stata trasformata in un attacco speculativo ai debiti sovrani dei paesi periferici dell'euro. In quegli anni è stato messo a punto il know how politico-giuridico, ripreso dal vecchio stato di eccezione, a cui si ricorrerà sempre più spesso in particolare in un ambito di economia di guerra che chiederà una legislazione corrispondente, a livello europeo e nazionale. Sul piano politico infatti la crisi delle liberaldemocrazie è la crisi di un sistema in cui due partiti o coalizioni sono in compitizione per il governo, ma caratterizzate da una sostanziale somiglianza nella politica estera, in quella economica e fiscale e in quella dell'organizzazione della funzione pubblica, presentate non come politiche ma come evidenze scientifiche, diversificandosi solo su questioni di opinione, di diritti civili e su aspetti marginali di quelle tre aree. Tale sistema, nato negli anni del consumismo e delle guerra fredde, per funzionare efficacemente ha bisogno di uno stato sociale o quanto meno di un'economia in perenne espansione che finanzi un sistema di debiti privati di sostegno ai consumi, per avere una base di consenso che assomigli al minimo a quella che negli anni settanta si chiamava la società dei due terzi (due terzi di garantiti e integrati contro un terzo di non garantiti). L'estensione della competizione, la diffusione del precariato e l'estinzione dello stato sociale hanno però creato un'inversione dei rapporti nella società dei due terzi e, mancando la base maggioritaria per il sostegno al sistema, la risposta politica dei gruppi dirigenti sembra essere quella dello stato di eccezione. Questo è il senso politico generale della serie di eventi che abbiamo visto e, ne sono convinto, vedremo ancora in Europa. Ovviamente in una situazione di confusione, dove le classi perdenti non sono affatto ricompattate in un blocco politicamente omogeneo, se non altro perché nei due terzi di non garantiti rientrano anche la piccola borghesia e, specie nei paesi periferici, la media borghesia, tutto ciò assumerà forme politiche arlecchinesche e contraddittorie, ma il vecchio proverbio 'il pesce puzza dalla testa' resta il criterio migliore per leggere questa crisi: e la testa del pesce sono i ceti che traggono vantaggio dalla finanziarizziazone e dalla deregulation, decisa negli anni novanta, dei capitali