Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Steiner e Goethe: intuizione ed esperienza nella scienza olistica

Steiner e Goethe: intuizione ed esperienza nella scienza olistica

di Giovanni Sessa - 24/04/2021

Steiner e Goethe: intuizione ed esperienza nella scienza olistica

Fonte: Ereticamente

Goethe è stato, per la cultura europea, un vero e proprio magnete. Con lui si sono confrontati intelletti di primo piano del XIX e del XX secolo. Solo per fare dei nomi: Hegel, Schelling, Nietzsche, George, Löwith. Anche il padre dell’antroposofia, Rudolf Steiner, come riconobbe James Webb, ha avuto nel «genio di Weimar» un punto di riferimento essenziale. Del resto, un poeta, letterato, filosofo della sua statura, non poteva essere trascurato dalla vivace curiositas che animò la ricerca di Steiner. Questi fu incaricato di curare gli scritti scientifici del pensatore romantico e, di questo particolare ma rilevantissimo ambito della ricerca goethiana, Steiner si è occupato in un volume che, di recente, è stato riproposto all’attenzione dei lettori, da Iduna  editrice (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 248, euro 20,00). Si tratta di un’attenta e organica ricostruzione degli interessi naturalistici di Goethe, ma anche dei suoi scritti in argomento, che l’autore attraversa e discute con competenza, animato da vivo interesse, motivato com’era dal tentativo di superare i limiti materialistici e accumulativi della scienza moderna. Steiner dimostra che tale ambito di ricerca era vivo in Goethe fin dalla giovinezza. In quel frangente storico si fronteggiavano, sul campo del sapere, una dottrina di meri principi, incarnata dalla filosofia di Wolf, ed una: «scienza senza principi […] ciascuna era infeconda per l’altra» (p. 6). Le indagini dell’autore del Werther erano guidate, al contrario, dal concetto della vita, alla luce del quale egli comprese che le manifestazioni esteriori del mondo naturale sono dominate da un principio interiore e che, in ogni parte, in ogni organo di un ente di natura, agisce il tutto. Da ciò discende l’evidente connotazione olistica dell’approccio goethiano alla physis. Ciò non significa che lo studioso disdegnasse l’osservazione empirica, al contrario! La riteneva centrale, ma essa, per condurre a dis-velare le profondità della vita, doveva essere condotta con gli occhi dello spirito. Nel 1807, nell’introduzione alla Teoria della Metamorfosi, il tedesco scrisse che lo sguardo posato sulla natura mostra, in grado preliminare, che in essa le forme sono ondeggianti, transeunti. Così, chiosa Steiner, al riguardo: «Egli contrappone a questo ondeggiante, quale elemento costante, l’idea, ovvero “un quid tenuto fermo nell’esperienza solo per un attimo» (p. 8).
aA quest’idea della vita cosmica il romantico era giunto anche attraverso i lavori d’alchimia, messi a punto con la collaborazione della von Klettenberg e grazie alla lettura di Paracelso. Rimase vincolato,  per breve lasso di tempo a questo rapporto mistico con le forze della natura: anche se in lui mai venne meno l’idea dell’universo quale immenso organismo. Individuò nel meccanicismo di Holbach il nemico da battere in tale ambito di studi. Si diede alla botanica, indottovi dai lavori che conduceva nel giardino donatogli dal Duca Carlo Augusto. Passava intere giornate, inoltre, nella foresta di Turingia: qui apprese ad amare muschi e licheni. Lesse Linneo, il cui metodo classificatorio riteneva dovesse essere integrato dalla ricerca di quel quid che si mostra invariato nelle molteplici forme vegetali. Della «pianta originaria» trovò conferma in osservazioni condotte nei suoi viaggi, in particolare in Italia. Egli riconobbe che, in questa «forma fondante»: «risiede la possibilità di infinite variazioni, per cui dall’unità deriva la molteplicità» (p. 15).
Con tale «tipo» la natura gioca, dando luogo alla molteplicità della vita. A differenza di Darwin, che considera inesistente, data la presenza constatabile della variabilità degli aspetti esteriori del mondo vegetale e animale, la dimensione costante della natura, Goethe va alla ricerca di quest’ultima, scoprendo: 1) Il «tipo», vale a dire la legge che si manifesta negli organismi (l’animalità dell’animale); 2) l’azione reciproca di interazione tra organismo e natura inorganica (adattamento e lotta per l’esistenza). Darwin si era fermato solo a quest’ultimo aspetto. Goethe nel 1790 espose la sua teoria della metamorfosi: «Questo concetto è quello di un alterno espandersi e restringersi» (p. 21) degli enti. Nel seme la pianta è contratta. Con le foglie avviene il suo primo espandersi. Nel calice, le forze tornano a contrarsi in un punto assiale, mentre la corolla testimonia una nuova espansione. Stami e pistillo sono espressioni della successiva contrazione, il frutto dell’ultima espansione vegetale, che cela in sé il nuovo seme. Si tratta di un processo di entelechia ciclica. Per quanto attiene alle differenze tra mondo animale ed umano, la scienza di allora riteneva che solo gli animali avessero, tra le due parti simmetriche della mascella superiore, l’osso intermascellare. Goethe, nel 1784, mostrò l’inanità di tale tesi. Ciò implicava che gli elementi: «distribuiti negli animali, si riuniscono in armonia nella figura umana» (p. 35). La cosa era già stata colta dal nostro negli studi di fisiognomica, in cui la struttura ossea del corpo umano rinviava alla posizione preminente del capo, indicante, sotto il profilo simbolico, il destino spirituale, non   cosale dell’essere umano. Insomma, per Goethe, negli organismi: «Tutte le qualità sensibili appaiono […] come conseguenze di una condizione che non è più percepibile coi sensi» (p. 47). Ad essa lo studioso giunse attraverso quella che Spinoza aveva definito conoscenza di terzo genere, la scientia intuitiva. Infatti, ricorda Steiner, il deus sive natura di Spinoza è il contenuto ideale del mondo, è dio che si dà negli enti, per la qualcosa la physis è vivificata dall’interno, dall’idea. Mentre il concetto dell’intelletto è somma osservativa, analitica, l’idea è risultato dell’esperienza diretta, non mediata della ragione. Si tratta, sostiene Steiner, di idealismo empirico.  Goethe riconobbe al pensiero, in  colloquio con i grandi nomi dell’idealismo, la facoltà di portarsi oltre il sensibile, la capacità di cogliere l’idea quale «forma» della natura: «La percezione dell’idea nella realtà è la vera comunione dell’uomo» (p. 84). Si tratta di un processo di cosmizzazione dell’umano.
Tale ricerca dell’idea, Goethe applicò alla molteplicità delle percezioni dei colori. Egli comprese che base di ogni colore è la luce: i colori sono modificazioni della luce. Ciò che modificava la luce facendo percepire i diversi colori, era: «la materia priva di luce, l’oscurità attiva […] Così ogni colore gli divenne luce modificata dalla tenebra» (p. 213). Luce e tenebre sono idee spirituali.   Goethe, riconosce Steiner, ha indicato una scienza altra rispetto a quella newtoniana, centrata sulla visione meccanicistica. La sua è una sorta di «fisica speculativa», le cui fila, dopo Schelling e Fechner, pochi altri hanno avuto l’intrepidezza intellettuale di rafforzare. Di fronte alla devastazione della natura che il Gestell sta mettendo in atto, è forse questo il momento di guardare a Goethe e alla sua naturphilosophie, con maggiore riguardo.