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Strage di Bologna: “I troppi ‘omissis’ delle Istituzioni nei giorni che precedono la strage” (3ª parte)

di Valerio Cutonilli - 01/08/2021

Strage di Bologna: “I troppi ‘omissis’ delle Istituzioni nei giorni che precedono la strage” (3ª parte)

Fonte: admaioramedia

Nella seconda parte dell’intervista, il 2005 è individuato come l’anno della svolta nella ricerca della verità sulla strage di Bologna.

«Sì, nel 2005 arriva la svolta grazie alle scoperte effettuate da Gian Paolo Pelizzaro. Non è un caso. Pelizzaro – giornalista investigativo, all’epoca consulente della commissione Mitrokhin – vanta una lunghissima esperienza nella ricerca sugli anni di piombo. È stato in precedenza consulente della commissione Stragi. In tale sede ha acquisito consapevolezza, con largo anticipo rispetto a noi, della dimensione internazionale del terrorismo. Sin dal 1999, Pelizzaro lavora in silenzio per verificare la pista di Carlos lo Sciacallo – in quel momento del tutto sconosciuta – per la strage di Bologna. Sino a individuare, nel sequestro dei missili a Ortona avvenuto nel novembre 1979, l’antefatto cruciale rimasto ignorato sino a quel momento».

In realtà, è stato obiettato che la scoperta di quelle armi avvenne in modo casuale.

«Non vi sono certezze definitive sulle modalità in cui i tre militanti romani di “Autonomia operaia” sono stati sorpresi a trasportare gli Strela, missili terra-aria di fabbricazione sovietica. Possibile in effetti che si sia trattato di una scoperta casuale, avvenuta in occasione di un normale controllo notturno dei carabinieri. Questa è la versione ufficiale. Ma a poco rileva. Il punto su cui riflettere è un altro. A dimostrarsi molto poco casuale è lo sviluppo successivo dell’inchiesta. I giovani estremisti italiani, infatti, non avrebbero mai tradito il committente di quel trasporto. Il loro compagno palestinese. Abu Anzeh Saleh, uomo dell’Fplp in Italia. I carabinieri arrivano a lui facilmente, senza subire interferenze, arrestandolo nella città che da anni lo ospita, Bologna. Ciò significa che dal Governo italiano, guidato da Francesco Cossiga, non giunge alcun invito ‘informale’ a conservare i buoni rapporti con l’Fplp. Altrimenti la vicenda si sarebbe esaurita con l’arresto e la condanna dei  tre ‘innocui’ autonomi. Il “lodo” (accordo segreto con l’Fplp e altre formazioni interne all’Olp, teso a consentire il libero transito di armi ed esplosivi palestinesi in Italia, a fronte dell’impegno dei fedayn a non compiere attentati nel nostro territorio, voluto non solo dal Ministro degli Esteri dell’epoca ma dall’intero Governo italiano, nda) quindi viene violato intenzionalmente dall’Italia. In ossequio ai nuovi indirizzi di politica estera indicati nelle parti precedenti di questa intervista. Su questo non vi sono dubbi. Lo dimostra anche la destinazione molto poco benevola prescelta per Saleh. Il carcere speciale di Trani».

I missili terra-aria Strela, di fabbricazione sovietica, sequestrati a Ortona

Gli ‘autonomi’ cosa dovevano fare con i missili terra-aria?

«Gli ‘autonomi’ nulla. Sono il vaso di coccio in questa storia.  Si limitano a correre in aiuto di Saleh, apparentemente impossibilitato a provvedere al transito delle armi per aver fuso il motore di due automobili nel giro di poche ore. I tre giovani romani prestano quindi un ausilio improvvisato. Uno del resto verrà sorpreso con una patente di guida scaduta, un altro addirittura senza documento d’identità. Oggi però sappiamo che il committente di quel trasporto è l’Fplp che a sua volta ha una committenza ancora più impegnativa. La Libia. Circostanza questa che rende il sequestro di Ortona un affare di Stato. Anzi, di Stati. Questo è il punto che va ben compreso. I fatti di Ortona accadono in un preciso momento in cui i nostri rapporti di stretta collaborazione con Tripoli, ispirati a comprensibili interessi economici, sono messi in crisi dalle nuove pesanti sollecitazioni che giungono dal blocco occidentale. L’avvicinamento di Gheddafi all’Urss rappresenta un problema per il fianco Sud della Nato. E il transito degli Strela commissionati dai libici costituisce una minaccia per gli interessi occidentali nello scacchiere mediterraneo. Infatti, nelle settimane che precedono la notte di Ortona, Carlos lo Sciacallo, capo dell’Ori, per il tramite dei servizi segreti libici, chiede una fornitura di Strela a un paese del Patto di Varsavia, strategico nel transito internazionale delle armi. La Bulgaria. Con ogni probabilità l’iniziativa è riconducibile al progetto – che coinvolge sia le fazioni oltranziste della resistenza palestinese come l’Fplp sia, a livello più alto, i paesi arabi filosovietici – finalizzato all’omicidio del presidente egiziano Sadat. Quest’ultimo è ritenuto colpevole, sia di aver tradito la causa araba, firmando gli storici accordi di Camp David, sia di partecipare a una cospirazione occidentale volta al rovesciamento del regime di Gheddafi. L’arresto a Bologna di Saleh, quindi, rappresenta non solo una violazione del “lodo” con i fedayn ma anche un atto di ostilità, imposto dal vincolo occidentale, verso gli ‘amici’ libici. Non conosco purtroppo i documenti del centro Sismi di Beirut degli anni 1979 e 1980 – tuttora secretati, guarda caso – ma scommetterei un rublo che essi contengono la prova di quanto affermo. Gli Strela di Ortona appartengono ai libici. E il nostro servizio segreto militare ne è consapevole sin dal principio. Ma la lingua che continua a parlare è molto diversa da quella che il nuovo Governo è disposto ad ascoltare».

Sembra un controsenso.

«Più che un controsenso appare uno dei molteplici fattori che contribuirà al disastro di Bologna. La questione del Sismi viene trattata in genere con molta superficialità. L’affiliazione alla loggia P2 del direttore dell’epoca, Giuseppe Santovito, porta a liquidare ogni operato del servizio come il concorso permanente in qualche trama golpista, puntualmente irrealizzata. Si semplifica e si fa una grande confusione. Penso tutto il male possibile della loggia P2. Ma ritengo evidente che i suoi adepti non obbediscano ad alcuna strategia generale dettata da Licio Gelli. Molto più realistica e convincente è l’interpretazione della loggia P2 come il rifugio privilegiato degli atlantisti negli anni della ‘distensione’. Se la tessera pidduista rappresenta in tale fase un ‘rassicurante’ attestato di fedeltà occidentale, indispensabile per fare carriera in settori nevralgici delle nostre istituzioni, l’appartenenza alla loggia non si traduce nella partecipazione a un comune progetto eversivo. Lo dimostra la presenza, nella famigerata lista della P2, di elementi che all’interno dei nostri apparati di sicurezza sono in realtà espressioni di linee addirittura antitetiche. Si pensi al caso esemplare di Vito Miceli e Gianadelio Maletti. Significativamente, la loggia P2 viene travolta in ben poco tempo da un’inchiesta del 1981, allorquando la ‘distensione’ è ormai una fase tramontata della politica internazionale. E non servono più rifugi atlantici, visto che l’atlantismo è ormai tornato in auge. Questo è un aspetto che va messo a fuoco. Santovito è tutt’altro che il prototipo del golpista sempre caro alla letteratura del complotto. Ha una storia personale ben diversa. Viene nominato direttore del Sismi durante il governo della ‘non sfiducia’, allorquando scelte di tale delicatezza devono essere per forza condivise con il Pci. Altro che fascista reazionario. Non a caso l’altro celebre pidduista, Giulio Grassini, direttore del Sisde, gode dell’amicizia intima e della pubblica stima di noti esponenti del Partito comunista. Abbiamo la memoria abbastanza lunga per ricordarlo. I vertici dei nostri servizi di sicurezza nel 1980 sono ancora coerente espressione della fase politica precedente, quella della ‘solidarietà nazionale’. Purtroppo, restano in sella anche dopo l’insediamento del governo Cossiga, volto a imprimere una vera e propria inversione a U ai nostri orientamenti di politica estera. Tale divaricazione tra Governo e apparati di sicurezza, che si renderà evidente in molteplici circostanze, conduce dritti alla catastrofe».

Quali circostanze?

«Il “lodo” con i fedayn per esempio. Nei mesi in cui esplode la crisi di Ortona, il Sismi si adopera in tutti i modi per conservare l’accordo segreto con i gruppi armati dell’Olp. Non a caso Stefano Giovannone, l’ufficiale che guida il centro Sismi di Beirut, e che funge da garante di parte italiana nell’accordo con l’Fplp, si rivela il grande protettore di Abu Anzeh Saleh. Proprio a quest’ultimo, nel 1978, l’ufficiale del Sismi si era subito rivolto per cercare di ottenere la liberazione dalla prigione brigatista di Aldo Moro. L’uomo politico a cui Giovannone è unito da un antico, sincero e diretto vincolo di fedeltà. La nuova linea dettata dal governo Cossiga, invece, trova riscontro nell’azione dei carabinieri. Non a caso, sono quelli che vanno ad arrestare Saleh a Bologna. Il caso di Patrizio Peci – il brigatista rosso che a sorpresa inizia a collaborare con la giustizia nei primi mesi del 1980 – lo dimostra in modo chiaro. Peci rivela ai magistrati torinesi le forniture di armi ed esplosivi palestinesi alle Br. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa capisce subito che il pentito è sincero. Ortona quindi non è un caso isolato. C’è  la prova, ormai, che i fedayn fanno il doppio gioco eludendo il “lodo”. Il Sismi invece insinua dubbi strumentali sulla credibilità di Peci. Nonostante le sue dichiarazioni – ad esempio la vicenda dei mitra Sterling ceduti dalla Tunisia ai palestinesi e da questi alle Br – siano di facile e immediata verificabilità. Sarebbe utile anche leggere i verbali delle contrapposte audizioni di Dalla Chiesa e Santovito presso la prima commissione Moro, nel luglio 1980. Il primo rappresenta la necessità di prendere finalmente la distanza da certi ‘studenti’ palestinesi che vengono in Italia con intenzioni poco limpide. Il secondo minimizza disinvoltamente i fatti di Ortona. Cosa invece che Cossiga, ormai proiettato nel nuovo corso ‘atlantista’, non ha la minima intenzione di fare. La spaccatura interna alle nostre istituzioni è lacerante e ostacola la risoluzione della crisi dei missili di Ortona. Che inizia la sua lenta detonazione nei giorni che precedono il Natale del 1979».

Cosa accade?

«Da Beirut giungono i primi segnali inquietanti. L’Fplp percepisce una inedita ostilità da parte del Governo italiano. In ballo, del resto, non c’è solo la liberazione di un loro esponente finito in un carcere speciale. Si mette in discussione l’intero quadro di rapporti anche economici che coinvolge i paesi arabi filosovietici, come al solito vicini all’oltranzismo palestinese. La componente più estremistica dell’Fplp paventa per la prima volta la possibilità di un’azione di rappresaglia contro l’Italia».

Intanto, Saleh e gli ‘autonomi’ vengono condannati.

«Sì. Il processo per direttissima celebrato presso il tribunale di Chieti si conclude nel gennaio 1980 con le condanne già scontate degli imputati. Questa volta i giudici non fanno sconti all’Fplp. Durante il giudizio, peraltro, accade un fatto di complessa interpretazione. Un avvocato della difesa legge un pubblico appello dell’Fplp al governo italiano volto al rispetto del “lodo”. Un’iniziativa all’apparenza incomprensibile, atteso che il modo più improbabile di pretendere l’esecuzione di un accordo segreto è quello di sbandierare la sua esistenza ai quattro venti. E infatti l’esecutivo Cossiga smentisce immediatamente, segnando la condanna degli imputati. Lo fa perfettamente consapevole che la nuova posizione assunta – che ribadisce il nostro pieno allineamento al blocco occidentale in un momento in cui la ‘guerra fredda’ è tornata a dettare le sue regole più rigide – espone da questo preciso momento l’Italia a un’azione ritorsiva. Secondo uno schema a suo modo coerente, da tempo applicato dall’Fplp e dalle altre fazioni oltranziste, che le nostre autorità conoscono sin dalla fase antecedente la stipulazione del “lodo” appena andato in frantumi».

Un’affermazione piuttosto impegnativa.

«Ma comprovata. Alcuni documenti del Sismi sono sfuggiti alle maglie della secretazione. Sono pubblici da tempo, anche non se c’è molta voglia di leggerli. Li ha rinvenuti, negli archivi del Tribunale di Brescia, Giacomo Pacini. Un ricercatore molto capace e molto distante dal mondo della destra. Il 12 aprile 1980 il Sismi avvisa tre membri del Governo con funzioni pertinenti (il Premier, il Ministro della Difesa e il Ministro della Giustizia), nonché il Capo di gabinetto di Cossiga e il Segretario generale del Cesis, che l’Fplp ha deciso di sospendere sino al 15 maggio successivo la già promessa azione di rappresaglia contro l’Italia. Il nostro Esecutivo, quindi, è pienamente a conoscenza del pericolo che incombe sulla nostra comunità. Il 26 aprile 1980, il Sismi, che caldeggia il dialogo, indica al Governo le molteplici condizioni dettate dall’Fplp per ricomporre pacificamente il contenzioso. Dalla liberazione di Saleh, attraverso vari possibili espedienti, alla restituzione dei missili. L’ultimatum del 15 maggio viene ribadito. Il 26 aprile 1980 il Sismi informa che l’obiettivo dell’azione ritorsiva non sarà in ogni caso correlato alla presenza italiana in Libano. Il 12 maggio 1980 il Sismi intensifica l’allarme comunicato al governo, essendo quasi terminato l’ultimatum. Il servizio segreto militare avvisa che in caso di mancata risoluzione del contenzioso “la maggioranza dei dirigenti e della base del Fplp intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti”. Non solo. Il Sismi segnala al Governo anche il cuore del problema. Se infatti la componente più ragionevole dell’Fplp è comunque contraria all’azione terroristica contro l’Italia, e questo va ricordato, la rappresaglia è fortemente sollecitata dalle fazioni filolibiche sempre più influenti all’interno della formazione palestinese. Il principale istigatore della strage, infatti, è il regime libico. Lo scenario di crisi ora è drammaticamente chiaro. Anche se ha poco a che fare con il travestimento da turista tirolese, con patente salentina, consegnatoci dalla ricostruzione giudiziaria». 

Cosa accade dopo il 12 maggio 1980?

«Bisognerebbe chiederlo ai membri della commissione Moro Bis che hanno avuto il privilegio di visionare parte della documentazione del centro Sismi del 1980. In ragione della classificazione persistente di tali atti, misura liberticida tesa a preservare di fatto il segreto, i nostri parlamentari non hanno potuto estrarre copia degli atti, né possono rivelare all’opinione pubblica il contenuto appreso. Chissà perché. Essi, tuttavia, hanno tenuto a riferire che da quell’archivio, che appunto continua a restare ben nascosto, emerge una verità sulla strage di Bologna completamente diversa da quella giudiziaria. Giova precisare, per dargliene merito, che tali coraggiose dichiarazioni provengono anche da esponenti di sinistra. Come nel caso dell’ex parlamentare del Pd Gero Grassi».

Cosa potrebbero avere visto i parlamentari che spaventa tanto i fautori della secretazione a oltranza?

«Direi chi e cosa spaventa i fautori della secretazione a oltranza. Scommetterei un altro rublo su Carlos lo Sciacallo. E su un’informativa da cui risulta espressamente l’appalto dell’azione punitiva dall’Fplp all’Ori. Un gruppo terroristico che guarda caso fa dell’attentato contro obiettivi indiscriminati sparsi per l’Europa, nelle stazioni ferroviarie e nei treni, il suo comprovato punto di ‘forza’. L’esistenza di questo documento spaventa terribilmente chi lavora ancora oggi per impedire ai cittadini italiani di conoscere la verità. Ma l’informativa esiste. Lo ha ammesso espressamente già nel 1986 Sergio Di Napoli davanti al giudice istruttore di Venezia. Solo che nessuno lo vuole ricordare».

Chi era Sergio Di Napoli?

«L’ufficiale del Sismi che nel 1980 è addetto alla ricezione dei messaggi cifrati che il centro Sismi di Beirut invia a Roma, al direttore Santovito».

Carlos lo Sciacallo

E’ possibile che le nostre autorità siano rimaste inerti dinnanzi a una situazione di pericolo conclamata?

«Inerti proprio no. Prendono tempo abbozzando una parvenza di trattativa. Che consente di guadagnare mesi, ma che non approderà a nulla, visto che Saleh resta in carcere e le armi del Patto di Varsavia continuano a essere studiate dai tecnici della Nato. Si arriva così a luglio 1980. Il processo d’appello a L’Aquila viene subito rinviato. Gli italiani – di sinistra, di centro, di destra – cominciano a organizzare le vacanze, ignari del pericolo che ormai incombe sulle loro teste. Pericolo di cui sono pienamente al corrente, ormai, non solo i servizi segreti ma anche le altre forze preposte alla tutela della pubblica incolumità. Fatto ampiamente documentato. La commissione Mitrokhin, grazie al già menzionato Pelizzaro, ha acquisito una informativa dell’11 luglio 1980 con cui è l’Ucigos questa volta a lanciare l’allarme. Non solo viene menzionata una fonte informativa ubicata proprio a Bologna, guarda caso, ma viene esplicitamente prospettata una possibile e imminente azione ritorsiva dell’Fplp. Il giorno successivo, 12 luglio 1980, è addirittura il capo della polizia in persona, Rinaldo Coronas, a lanciare per iscritto alle questure a rischio l’allarme di un possibile attentato dell’Fplp. Tutto questo però continua a non interessare l’autorità giudiziaria. Tamquam non esset. Vengono considerate rilevanti, al contrario, le note dichiarazioni di Vettore Presilio, un detenuto comune con asserite frequentazioni politiche ed evidenti aspirazioni di benevolenze carcerarie, che si limita a riferire l’ennesima presunta confidenza avuta da un neofascista con la lingua lunga, poi assolto da ogni imputazione. A breve sarebbe successo qualcosa di cui avrebbero parlato i giornali di tutto il mondo. Ora invito i nostri lettori a liberarsi dalle questioni ideologiche e geopolitiche. Rosso o nero, palestinese o israeliano, il terrorismo è sempre sbagliato. Il vero colpevole di Bologna non muta tale principio e non incide sulle legittime opinioni politiche di ciascuno. Vi sembra normale nel nostro paese che si attribuisca rilevanza alle dichiarazioni di un anonimo detenuto comune – vi risparmio  le ‘rivelazioni’ che il suddetto offre sugli omicidi dei due missini a Padova nel 1974 – e vengano invece ‘cestinati’ con perentoria immediatezza allarmi ben più circostanziati, certificati per iscritto dall’Ucigos e del Capo della polizia? Rispondo io: non lo è, assolutamente».

Quindi, a luglio 1980, l’attentato ritorsivo era ormai dato per scontato dalle nostre autorità?

«Rispondo con la citazione letteraria che nel 2016 è stata inserita nel libro che ho scritto al fianco del giudice in pensione Rosario Priore. Abbiamo preso in prestito le parole di Carlo Emilio Gadda, per descrivere le settimane terribili che precedono l’esplosione di Bologna: “le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare, ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti”. Lo ‘gnommero’ in effetti è il detonatore invisibile della strage del 2 agosto 1980. Che a luglio ormai appare inestricabile. La crisi di Ortona non è più gestibile. Il “lodo” non esiste più. L’Fplp ha annunciato ormai la sua azione ritorsiva. Il nostro Governo non riesce ad adottare contromisure. Perché non può sottrarsi agli obblighi imposti blocco occidentale, durante il compimento di operazioni segrete nel Mediterraneo. Non può chiedere aiuto, come al solito, al compagno di merende Gheddafi. Perché gli sta voltando le spalle da mesi. Anzi, a dirla tutta, sta partecipando in quei giorni alla cospirazione contro il regime di Tripoli che l’Egitto ha organizzato con l’appoggio delle potenze occidentali. L’operazione Tobruck, finita in modo rovinoso e sepolta dagli ennesimi ‘omissis’ con cui le nostre Istituzioni sono solite mondare i propri errori e orrori. Eppure evidente a chi ha avuto la pazienza di condurre le proprie ricerche in profondità. Riflettendo sugli arresti degli italiani, membri d’improbabili ditte import-export in Cirenaica, nelle ore drammatiche successive al crollo della stazione ferroviaria di Bologna. Terribili detenzioni nelle carceri libiche per i nostri connazionali, recuperati alla vita sei anni dopo. Allorquando il premier Cossiga, nel frattempo divenuto capo di Stato (con i voti del Pci), concede la grazia ai killer libici responsabili degli omicidi in Italia degli oppositori di Gheddafi – guarda caso propri nel 1980, con gli indirizzi forniti cortesemente dai nostri apparati di sicurezza – per consentire, quale corrispettivo, il ritorno in patria degli ‘ostaggi’ italiani. L’Italia del luglio 1980 è quella che ha già deciso da mesi di puntare i missili nucleari Cruise contro l’Urss. Abituata, a sua volta da quattro anni, a mostrarci spavaldamente i suoi Ss20. L’Italia che solo qualche settimana prima, a Venezia, ha portato gli stati della Cee a formulare una dichiarazione in favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Che qualcuno probabilmente non ha ben compreso. La soluzione politica propugnata dall’Europa implica il riconoscimento da parte dell’Olp della legittimità dello stato israeliano. Non si scappa. Tale pretesa renderà ancora più ostile l’Fplp, organizzazione fondata sul principio non negoziabile per cui la rinascita della Palestina non può che avvenire con la sconfitta militare d’Israele. Non pago di tutto questo, il nostro Governo capovolge dieci anni di politica estera, andando a firmare in grande segreto – ovvero nascondendo tutto sia ai suoi cittadini sia al Parlamento – il trattato di protezione militare di Malta. Una gradita garanzia antisovietica per il blocco occidentale, che da quelle parti del Mediterraneo non può interferire ufficialmente, ma che equivale – per usare la metafora adottata da Santovito quando cerca di dissuadere il nostro Esecutivo – a grattare la schiena della tigre. Ossia Gheddafi, il leader libico che da mesi il Sismi segnala al nostro Governo come il diretto istigatore dell’Fplp all’azione di rappresaglia contro l’Italia. Azione che in queste ore d’estate è ormai annunciata. È talmente certa che in un appunto del nostro servizio segreto – finito poi nei fascicoli della Procura di Bologna, senza la necessità di assegnargli una data in grado di dargli un senso –  l’azione ritorsiva ormai non è più temuta dai nostri apparati di sicurezza. Solo attesa, nonostante  i cittadini di ogni età e di ogni colore politico siano ormai in procinto di recarsi nelle stazioni ferroviarie per partire per le vacanze. No, tutto questo non può assumere rilevanza in ambito giudiziario. In compenso, però, possiamo confrontarci all’infinito sulle interpretazioni da dare alla spilla indossata da Fioravanti dove compare un risolutivo Koala».