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Sul capitalismo "morale"

di Antonio Catalano - 12/12/2021

Sul capitalismo "morale"

Fonte: Antonio Catalano

Un fenomeno abbastanza singolare: la crescente cosiddetta moralizzazione dei mercati di capitale. Per cui questi, quasi divenuti enti morali, orientano i capitali da investire laddove non v’è corto circuito tra determinati orientamenti “morali” e determinate scelte. In prima battuta verrebbero da pensare “finalmente il business non è considerato valore in sé ma strumento del bene”. Ma superato il primo impatto, e quella certa naturale propensione a rimanere alla superficie delle manifestazioni della realtà, almeno per chi voglia andare almeno solo un po’ in profondità, si arriva facilmente a comprendere che la “moralizzazione” dei mercati di capitali altro non è che il passaggio a una fase più “alta” del capitalismo, quella in cui obiettivo è detenere l’anima del consumatore. Se storicamente il rapporto mercantile si è manifestato all’insegna del “denaro non ha odore” (pecunia non olet) o, più recentemente, “gli affari sono affari” (business is business) ora invece i mercati devono convincere della “bontà” intrinseca dei propri prodotti per poterli piazzare. A prima vista, come detto, sembrerebbe una conquista di valore, una conquista di civiltà, condizionare scelte di investimento alla moralità del prodotto; salvo poi comprendere che questa “moralità” si accompagna alla necessità di un dominio ancora più marcato sull’essere umano, a un controllo ancora più stringente delle sue “scelte” di consumo. Non a caso, lo stesso marketing, strumento immancabile del capitalismo contemporaneo, definisce se stesso in funzione della sua capacità di soddisfare il consumatore, di misurare sistematicamente la sua “guest satisfaction”. Il consumatore deve sentire “sua” la scelta, come se dipendesse da una sua autonoma volontà. Ma di volontà ce ne ben poca, perché la "sua" scelta è condizionata pesantemente da una capacità di penetrazione nelle sue più intime fibre del messaggio pubblicitario. Per concludere questa breve riflessione: il sistema di mercato fissa dei nuovi orientamenti (sulla base delle sue strategie di penetrazione), li fa diventare “morali”, cioè eticamente accettabili, per cui necessari, poi ci penserà tutto l’apparato mediatico (dal cinema allo sport, dalla “cultura” allo spettacolo, per non parlare di tv stampa e social) a convincere della irreversibilità di certe scelte. Questa modalità all’oggi è sicuramente più pagante della vecchia, implica il coinvolgimento del consumatore (non più cittadino con una sua collocazione sociale) nelle scelte di mercato. Un po’ come dire che oggi la “democrazia” è più pagante della dittatura (almeno nelle società più “avanzate”), con essa (democrazia tra virgolette) infatti si riesce a far sentire partecipe di “scelte” cittadini/consumatori che, al massimo, se non particolarmente coinvolti, si estraniano, si allontanano, si astengono.