Sul potere e sul ritirarsi
di Marcello Veneziani - 24/11/2023
Fonte: Marcello Veneziani
Maestro mio grande, ogni volta che mi avvicino al potere, mi allontano con rabbia e ribrezzo. So che non dovrei, perché la mia mansione profana mi conduce inevitabilmente a frequentare le stanze del potere. E poi so che nessuna città potrà mai sopravvivere senza lo scettro del comando e l’autorità. Il potere è causa di molti mali come di tanti beni, violenta e protegge, rende giustizia o impone ingiustizia, unisce e separa, guarisce e ferisce. Il potere è come Giano bifronte, signore del bene e del male, e di mille gradi intermedi o solo diversi.
Capisco dunque l’ambigua ma necessaria natura del potere, e lo rispetto a distanza, osservo le leggi, le decisioni e la sua autorità. Ma preferisco abitare lontano e costruire la mia vita al di fuori del suo raggio. Cerco la lontananza, la luce e il mare per eludere la sua sorveglianza e non sentire i miasmi del suo fiato e dei suoi servitori. Come te, del resto. Ma se devo esserti sincero, come tu esigi, non condivisi quel che scrivesti anni addietro: il saggio, dicesti, pur di mettere in salvo la sua missione e dedicarsi alle cose che contano, eseguirà anche ciò che non approverà e adatterà i costumi alle circostanze. Ci sono compromessi necessari per vivere, piccoli cedimenti e temporanee remissioni finalizzate a salvaguardare scopi superiori; ma la doppia morale mi pare inaccettabile proprio alla luce della tua dottrina perché tocca principi e beni che non si esauriscono nella sfera dei mezzi ma intaccano la sfera dei fini. Meglio sottrarsi alla vicinanza del potere, come tu hai fatto poi, e ritirarsi; o se possibile, meglio ribellarsi, e in extremis sottrarsi alla vita pur di non eseguire ordini ripugnanti e non farsi complice della malvagità. Muovendoti queste obiezioni so di essere in buona compagnia, perché ho dalla mia parte Seneca e altri suoi stessi pensieri.
Il potere si circonda di servi e di adulatori, si nutre del falso e di privilegi, si esalta nella sopraffazione e gode nell’annientare chi si frappone. La colpa di quell’abuso è dei potenti solo per un terzo; per un altro terzo è dei conniventi e dei consenzienti; e per un terzo infine è insito alla natura stessa del potere, cresce alla sua ombra indipendentemente dall’indole dei sudditi e dei potenti. Degli abusi di potere i potenti sono colpevoli solo in parte. Tanti valentissimi uomini si comporterebbero da prepotenti se fossero loro a comandare. E non sempre è poi vero che detiene un posto di comando chi ha una predisposizione malvagia, un’attitudine alla prepotenza. Lungo la strada tralignano anche buone nature e rette intenzioni. E’ divino essere infallibili ma è umano saper rimediare ai propri errori, accorgersi in tempo e sottrarsi al degrado. Il potere corrompe ma a volte schiaccia gli stessi potenti e li rende suoi servi. Questo vale non solo per chi ha in mano le sorti di un Impero o di una città, ma per chiunque abbia un potere, perfino domestico. Il potere si combatte solo con il potere, bilanciando le forze e commisurando al male i rimedi. Ma quando il potere opprime e si è inermi al suo cospetto, l’importante, insegnano i tuoi autori, è che ciò su cui noi non possiamo nulla, possa il meno possibile su di noi. E’ necessario cucirsi addosso una corazza impenetrabile per resistere ai suoi oltraggi, alle sue tentazioni e alla sua violenza e vivere in dignitosa libertà.
Il saggio non può vivere a lungo accanto al potere: nella migliore delle ipotesi perde il suo tempo, perde la vita nella ipotesi più sinistra e perde l’anima nella peggiore delle ipotesi, perché cede alla potenza e alle lusinghe del male. Accadde a Platone accanto a Dionisi II, Tiranno di Siracusa, accadde ad Aristotele accanto ad Alessandro, e accadde anche a te, Seneca con Nerone, se dopo hai preferito la casa di campagna al palazzo reale. Non è solo l’iniquità del sovrano che spinge il sapiente a ritirarsi o perfino esiliarsi, ma la natura stessa del potere che se non corrompe certo distrae dalla saggezza; e la natura stessa del pensiero che predilige l’indipendenza al comando, la solitudine alla corte e il raccoglimento alla dispersione.