Tassi d'interesse
di Thomas Fazi - 10/06/2022
Fonte: Thomas Fazi
La decisione della BCE di alzare i tassi d'interesse "per frenare l'inflazione" è qualcosa a metà strada tra il folle e il criminale. Folle perché le attuali pressioni inflazionistiche non hanno assolutamente nulla a che vedere con un eccesso di domanda (il che comunque non giustificherebbe la scelta) ma derivano unicamente da fattori sul lato dell'offerta: in primis, le strozzature nelle catene di approvvigionamento globali che ci portiamo dietro dal lockdown planetario degli ultimi due anni e mezzo e gli effetti della guerra in Ucraina e delle (auto-)sanzioni alla Russia (cioè a noi stessi). In un contesto di questo tipo alzare i tassi non solo farebbe contrarre ulteriormente economie già allo stremo, come quella italiana, punendo quelle categorie a basso reddito che già soffrono di più per l'aumento dei prezzi - e questo è l'aspetto criminale della vicenda -; ma finirebbe anche per p͟e͟g͟g͟i͟o͟r͟a͟r͟e͟ ulteriormente i problemi sul lato dell'offerta, che ovviamente per essere superati richiedono ingenti investimenti (cioè il contrario delle politiche restrittive prospettate) per aumentare l'offerta e la produzione in numerosi settori e ridurre così la nostra dipendenza dall'estero, per quanto possibile, oltre che ingenti misure di bilancio per compensare gli aumenti di prezzo, inclusi sostegni monetari diretti alle famiglie. Insomma, come scrisse la grande economista post-keynesiana Joan Robinson negli anni Settanta, cioè nel bel mezzo di una crisi inflazionistica per molti versi simile a quella attuale: «Non è la prosperità, ma la scarsità che provoca l’inflazione». Purtroppo, esattamente come negli anni Settanta, l'obiettivo delle classi padronali non è realmente risolvere il problema dell'inflazione quanto piuttosto sfruttarne lo spauracchio per raggiungere obiettivi politici ed economici di ben altra natura.