Toni Negri: cinquant'anni di geniale disastro
di Riccardo Paccosi - 16/12/2023
Fonte: Riccardo Paccosi
TONI NEGRI: CINQUANT'ANNI DI GENIALE DISASTRO
Mi sento tenuto a scrivere queste righe per il semplice motivo che la figura e l'opera dello scomparso Toni Negri hanno avuto un'importanza decisiva nella mia vita. Ho infatti studiato la maggioranza dei libri scritti da Negri, ho realizzato spettacoli teatrali traendo spunto dalle sue opere e, soprattutto, ho conosciuto di persona il professore recandomi più volte, alla fine degli anni '90, nella sua casa di Roma.
Ciò detto, avverto subito che non risponderò a chi, commentando, si esprima in modo spregiativo ma dimostrando di non avere alcuna conoscenza del lavoro teorico di Negri.
Tantomeno intendo intavolare discussioni sul Negri militante politico e fondatore di Autonomia Operaia: questo significherebbe aprire confronti su un tema - gli Anni di Piombo - di cui la stragrande maggioranza delle persone parla senza cognizione. Di quel periodo - così come un po' di tutto il Novecento - oggi rimane solo la memoria spettrale: ovvero il retaggio di un trauma psicologico, ma senza la comprensione e l'elaborazione di quest'ultimo. Riguardo a quella fase storica, ritengo manchino i presupposti basilari per discutere di alcunché e, quindi, ne accennerò solo indirettamente.
Mettendo dunque da parte le vicende specificamente politiche, qualcosa va senz'altro detto riguardo a quel lavoro teorico che ha reso Negri il pensatore marxista italiano più tradotto al mondo.
In generale possiamo dire che, a fronte di intuizioni di ordine filosofico-teoretico decisamente brillanti, la declinazione di suddette intuizioni all'interno dell'analisi dei processi storici sia stata un geniale disastro.
Toni Negri, peraltro, non è stato l'unico filosofo del secolo scorso ad avere avuto torto in modo geniale. Per il professore padovano, infatti, penso valga in parte quanto il sottoscritto ha già avuto modo di scrivere e pubblicare in merito a Gilles Deleuze.
L'autore dell'Anti-Edipo, infatti, manifestò la capacità profetica d'individuare i fenomeni storici con decenni di anticipo: l'avvento della Rete, la crescita di una dimensione nomadica dell'esistenza, il superamento della dimensione corporea. Il problema è che Deleuze, insieme a Felix Guattari, presentò tali fenomeni a venire come fenomenologia antagonista al capitalismo quando invece, alla prova dei fatti, si trattò sempre e comunque di trasformazioni antropologico-culturali che il capitalismo cavalcò e promosse al fine di innovarsi e consolidarsi.
Parimenti, nel caso di Negri abbiamo una pluridecennale riflessione sul tema del "comune", che proietta la contesa col capitalismo liberista direttamente sulla sfera dell'ontologia: difatti, se il capitalismo odierno pone le sue "enclosures" direttamente sulla nuda vita privatizzandola e rendendola merce, il compito di chi si oppone è individuare quel paradigma filosofico che rende impensabile la privatizzazione ed eticamente inadeguata la dimensione individualistica.
E il concetto di comune, per l'appunto, consente di comprendere che - dall'aria che respiriamo al linguaggio con cui parliamo - le nostre esistenze sono perennemente immerse in uno spazio vitale ch'è in comune con gli altri.
I problemi arrivano, però, quando nel pensiero negriano questa riflessione sul comune si coniuga al retaggio di quella teoria operaista di cui Negri, insieme a Mario Tronti e Raniero Panzieri, è stato l'esponente più influente.
Uno dei concetti-cardine dell'operaismo, infatti, riguarda l'idea - ripresa da Marx - che lo sviluppo capitalista sia determinato dalla lotta di classe. Per fare l'esempio più semplice, la pressione delle masse urbanizzate e i conflitti operai nelle fabbriche hanno sospinto il capitalismo, durante il secolo scorso, a perseguire i propri fini di accumulazione generando la società dei consumi e il sistema di produzione detto fordismo.
Quest'assunto teorico difficilmente contestabile, però, può far presto a tramutarsi in dogma determinista. E la deriva dogmatica di questa tesi del rapporto esistente fra lotta di classe e sviluppo capitalista, è esattamente ciò che Negri ha cavalcato a partire dagli anni '70 finendo, nei decenni successivi, per diventare indefesso apologeta della globalizzazione neoliberista.
L'assunto operaista sulla lotta di classe come motore di sviluppo, diventa dogma nel momento in cui si enuncia che qualsivoglia fase capitalista sia stata a suo modo determinata dal basso, dalle lotte.
O meglio, si dice lotte ma in realtà si intende i consumi: infatti, non essendoci negli ultimi decenni esempi di conflitto di classe adeguati da cui trarre spunto, Negri è arrivato a teorizzare che i consumi di massa - sulla Rete e non solo - esprimerebbero un antagonismo verso il sistema capitalista e ne condizionerebbero "dal basso" lo sviluppo.
Va da sé, quindi, che secondo tale schema la tendenza del capitalismo a sottomettere al proprio Nomos tutto lo spazio del mondo - ovvero la tendenza a farsi Impero - è stata anch'essa generata dalle lotte e, quindi, va salutata con favore così come va salutata con favore l'idea di stato unico europeo.
Quando, tra il 2011 e il 2014, cominciò ad affiorare in Italia e in Europa la categoria di sovranismo, Negri fu tra i primi a scriverne e a coglierne la centralità, ma fece questo allo scopo di contestare tale categoria alla radice.
La tesi sovranista secondo cui il venir meno degli stati-nazione aveva dissolto le norme di protezione sociale conquistate dalla lotta di classe nel secolo scorso, per Negri era risibile giacché - nello spazio unico europeo e nello spazio unico della globalizzazione - le lotte si rilanceranno più ampie e dunque più ampia sarà la portata delle conquiste sociali a venire.
Dunque, provando a tradurre e un po’ a satireggiare, la tesi suona un po' nel seguente modo: io, lavoratore precario o disoccupato, devo accettare di buon grado la fine dei diritti sanciti nelle Costituzioni nazionali e determinata dalle forze sovranazionali. Devo guardare con fiducia, altresì, a imposizioni dell'Unione Europea quasi lo smembramento dello Statuto dei Lavoratori e la progressiva eliminazione dell'assistenza sanitaria gratuita perché Negri mi profetizza che, un giorno, ci saranno la rivoluzione e un welfare state mondiali.
La storia, al contrario, ci racconta che le conquiste della lotta di classe sono sempre avvenute per progressiva accumulazione - un diritto sociale dietro l'altro, un pezzo alla volta - e mai, assolutamente mai in seguito a fasi in cui fosse stata fatta tabula rasa dei diritti medesimi. Se dunque oggi i poteri sovranazionali liquidano i diritti racchiusi nelle Costituzioni e nelle legislazioni nazionali, non si stanno ponendo le basi per una rivoluzione sociale, ma solo per la generazione di ceti popolari sempre più disarmati, ricattabili e rassegnati.
D'altro canto, la concezione astrattamente messianica della lotta di classe si era manifestata in Negri molto prima dell'attuale fase che contrappone sovranismo e globalismo.
Negri, già con certi saggi della seconda metà dei '70 come "Il dominio e il sabotaggio", si poneva contro le conquiste passate della lotta di classe, ovvero contro le istituzioni della mediazione sociale tra classi nonché tra società e Stato, prima fra tutte la Costituzione.
Difatti, prima del ceto politico della Seconda Repubblica e prima della Loggia P2, le picconate alla Costituzione italiana arrivarono infatti da filosofi di sinistra: Norberto Bobbio e, per l'appunto, Toni Negri. Seppure diversi fra loro, entrambi questi autori accusavano la Costituzione della Repubblica di comprimere, limitare e ostacolare il libero dispiegarsi della società. Non veniva chiarito, ovviamente, quali Articoli della Carta limitassero che cosa: semplicemente, il quadro normativo-costituzionale aveva il difetto di essere fissato, di essere per l'appunto normativo e, dunque, di limitare la liBBertà...
In quest'avversione per la mediazione sociale, rientra altresì una tesi che Negri ha portato avanti dagli anni '70 agli anni recenti senza soluzione di continuità: la tesi sulla presunta antinomia tra i concetti di socialismo e di comunismo. Secondo la teoria negriana, cioè, il socialismo rappresenterebbe il nefasto tentativo di regolamentare e dirigere ciò che è immediatamente autonomo e sempre in divenire, ovvero l'istanza comunista presente nella società.
Dunque, ricapitolando: se la dimensione nazionale va scardinata per aprirsi al nuovo, se le Costituzioni sono un limite, se la società deve liquidare ogni regolazionismo statale, dinanzi a quale fenomeno storico e a quale dottrina politica ci troviamo di fronte?
Possiamo concludere affermando di trovarci di fronte a una teoria che parte da un'impostazione marxista ma, esasperando il lato più determinista del pensiero marxiano, finisce per sposare tutti gli enunciati strategici del neoliberismo, assecondando la pluridecennale opera di demolizione delle conquiste sociali che quest'ultimo sta perseguendo.
Per tutti questi motivi, riguardanti tutte le ricadute di analisi dei processi storici che la sua teoria ha avuto nell'arco di cinquant'anni, possiamo concludere che l'opera di Toni Negri sia stata, soprattutto, un geniale disastro.
Questo implica una liquidazione in toto del lavoro teorico del professore padovano?
Ebbene, no.
Il giudizio inappelabilmente negativo qui esposto, riguarda la declinazione storico-politica di quel lavoro e questo certamente non è poco. Malgrado tutto, però, rimangono le riflessioni in ambito teoretico, specificamente sul piano del rapporto intercorrente fra etica e ontologia.
Nel momento della sua morte, ritengo che di Negri vada altrettanto ricordata la già citata riflessione intorno al concetto di comune. Riflessione che, a suo tempo, sorse dalla più inaspettata delle sorgenti, ovvero dall’analisi dell'opera di Giacomo Leopardi.
Nel suo saggio su Leopardi del 1987 intitolato "Lenta Ginestra", infatti, Negri fa proprio l’assunto del poeta di Recanati secondo il quale, al netto di tutte le illusioni tanto spiritualiste quanto materialiste, come senso ultimo del vivere rimane la tensione etica alla fratellanza fra gli uomini, l’amore fra gli uomini generato dal riconoscimento di ciò che fra essi è comune.
E con questa citazione di citazione leopardiana, ci tengo dunque a salutare l’uomo, Toni Negri, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare.
"Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta e