Tornare all'essenziale
di Massimo Fini - 01/09/2023
Fonte: Massimo Fini
Un recente sondaggio inglese, ripreso dal Telegraph, rivela che quasi il 10 percento della popolazione giovanile nella fascia d’età tra i 18 e 24 anni dichiara di non aspettarsi di ricoprire mai un impiego in tutta la vita. Non che questi giovani pensino che non riusciranno mai a trovare un lavoro, più semplicemente credono che “non ne valga la pena”. Si sta quindi facendo strada l’intuizione di quel gruppo, per ora estremamente minoritario, di giovani americani che si sono significativamente dati il nome di Luddite Club che però con il fenomeno luddista comparso ai primi dell’Ottocento sempre in Inghilterra non ha molto a che vedere anche se ha qualcosa da spartire. Il luddismo classico distruggeva le macchine perché toglievano lavoro, questi vogliono semplicemente togliere di mezzo il lavoro. Un “diritto alla pigrizia” era già stato affermato da Paul Lafargue, genero di Karl Marx, in chiave anticapitalista. Lafargue parla della “strana follia” che si è impossessata dell’uomo moderno: l’amore per il lavoro. E in verità il Primo Maggio noi facciamo, senza rendercene conto, l’elogio della nostra schiavitù. E a dicembre, in una intervista molto discussa, la deputata francese Sandrine Rousseau aveva proclamato “il diritto all’ozio”, che però non va confuso con la pigrizia e si avvicina molto di più all’“otium” laborioso dei latini.
Però questi neo-diritti che nascono proprio in reazione al compulsivo modello industriale basato sull’invidia, considerata in senso positivo come molla dell’intero sistema da Ludwig Von Mises (La mentalità anticapitalista), uno dei più estremi ma anche più coerenti teorici del neocapitalismo, vanno presi “cum judicio” , diciamo con le molle. Non si tratta di non lavorare più addossando la fatica a padri o nonni, perché poi bisogna pur mangiare, ma di lavorare meno, di avere più tempo, che è il vero valore della vita, per noi stessi e per i nostri bisogni più autentici.
Come? Si tratta di abbandonare tutti i bisogni futili che ci vengono continuamente proposti dal mercato, bisogni di cui l’uomo, prima di quest’era superdinamica che è iniziata grossomodo con la Rivoluzione industriale, non aveva mai sentito il bisogno. Si tratta di abbandonare la pazzesca legge di Say (1803) seconda la quale “l’offerta crea la domanda”. Si tratta quindi di tornare ai bisogni veramente essenziali. Ma qui si incrocia il primo incrocchio. Come mi ha detto una volta lo storico Carlo Maria Cipolla: “per lei magari sono essenziali i libri ma per un altro essenziale è tutt’altro”. Eppoi ci sono cose che mai state essenziali lo diventano, per esempio lo smartphone. Quindi il principio del Luddite Club, se portato fino alle estreme conseguenze, condurrebbe a una vita da cenobiti.
Comunque si può dire, sia pure con una certa approssimazione, che ci sono in circolazione oggetti totalmente inutili. Quindi: comprare di meno. Ma comprare di meno significa produrre di meno e si tratterebbe perciò di ribaltare da cima a fondo l’attuale modello di sviluppo.
Il metodo che abbiamo chiamato per comodità Luddite Club darebbe poi un significato a quella transizione ecologica di cui tanto si parla ma per la quale non si fa nulla di concreto. Non è con i “bio” e i “green” che si risolve una questione epocale come questa. Lo sgretolamento dei ghiacci polari dovrebbe aver convinto anche i più feroci negazionisti (i Von Mises del momento) che stiamo andando a rotta di collo verso un collasso definitivo. L’Economia e la sua sorella gemella Tecnologia hanno una parte fondamentale in questo processo sempre più accelerato di dissoluzione. Bisogna che Economia e Tecnologia tornino al ruolo subalterno che hanno avuto fino a due secoli e mezzo fa prima del take off industriale e che l’uomo sia rimesso al centro del sistema. Da dove partire quindi? Dalla terra che è quella che ci dà il cibo, bisogno che, Cipolla o non Cipolla, è essenziale in modo indiscutibile. Quindi: economia di sussistenza, autoproduzione e autoconsumo. Un ritorno all’indietro, certo. Ma il futuro non è davanti, ma dietro di noi.