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Totalitarismo digitale, globale

di Giorgio Matteucci - 09/03/2022

Totalitarismo digitale, globale

Fonte: Italicum

Intervista di Luigi Tedeschi a Giorgio Matteucci, autore del libro "Totalitarismo digitale, globale" Arianna Editrice

 

1)     la pandemia sembra aver determinato una svolta epocale: la storia contemporanea viene ormai suddivisa in era pre – pandemica e post – pandemica. Ma esiste una coerente continuità tra le due periodizzazioni. Con la pandemia non si è accelerato quel processo già in atto di trasformazione della modernità in post – modernità? La pandemia non è un evento che porterà alla definitiva realizzazione di un individualismo ideologico liberale che comporterà mutamenti della stessa antropologia umana con l’avvento dell’uomo virtuale che si sostituirà all’uomo animale sociale?

“Accelerazione” è la parola chiave per comprendere l’effetto che la pandemia da Covid ha avuto nella nostra società. In ogni ambito della vita civile, la gestione della pandemia ha imposto una accelerazione nei processi di digitalizzazione già abbondantemente in atto in epoca pre-pandemica. La didattica digitale a scuola, l’online banking, lo smartworking, la telemedicina, gli acquisti online, il delivery, l’ondemand, le piattaforme per riunioni virtuali sono state le soluzioni proposte dai governi per gestire le prime fasi della pandemia. Ultimamente, con il decreto concorrenza del governo Draghi, si sono messi i taxisti nelle condizioni di competere con le modalità di trasporto offerte dalla piattaforma di Uber.  A queste cose vanno aggiunti i molteplici sistemi di controllo ai quali ci siamo abituati come i termoscanner, le app di tracciamento e, in una prima fase, ai droni. Ed ora il green pass, che altro non è che l’imposizione di quella Identità Digitale su cui lavorano da anni diversi soggetti a livello globale. Il tele-tutto, come è stato chiamato da Andrew Cuomo, è apparso come la soluzione ad ogni problema dell’umanità. Ed è qui che risiede il grande inganno della Covid. Utilizzerei il lessico di George Orwell per definire il modello sociale nel quale siamo entrati. La nostra società è una compiuta realizzazione del “collettivismo oligarchico”, nella quale uno sparuto gruppo di oligarchi non eletti prendono decisioni al di fuori dei democratici contesti parlamentari e condizionano la vita di una massa omologata priva di diritti, sottomessa, sorvegliata e controllata a vista.           

2)     La crisi pandemica ha generato quella distruzione creativa necessaria alla ristrutturazione del sistema capitalista. Fenomeni analoghi si verificarono con le precedenti rivoluzioni industriali. Al di là dei proclami mediatici che periodicamente annunciano nuovi orizzonti per il destino dell’umanità, nella prospettiva storica evolutiva di un progresso illimitato, non stiamo assistendo all’ennesima trasformazione di un capitalismo che sopravvive alle sue crisi riproducendo sempre se stesso? Come può invocarsi quindi il ritorno alla normalità quando, nel contesto del sistema neoliberista, proprio la normalità è il problema?

Le precedenti forme di capitalismo si sono fondate sulla estrazione di materie prime e sullo sfruttamento dell’ambiente. Pensiamo all’oro, al petrolio, ai combustibili fossili, alle cosiddette terre rare, al coltan, al tantalio per la realizzazione delle componenti degli strumenti digitali. Ora, per il nuovo capitalismo, le materie prime da estrarre sono i Big Data, estrapolati dalle attività, dalle esperienze e dalle relazioni umane. Il data mining è la nuova attività estrattiva. L’essere umano è la nuova miniera. Zuboff ha ampiamente descritto il nuovo modello capitalistico, che ribattezza Capitalismo della sorveglianza, e i suoi rischi per l’essere umano. Sin dall’inizio della pandemia ci è stato detto che non saremmo più tornati alla normalità, ma ad una “nuova normalità”.

3)     Il capitalismo nella fase pandemica si è trasformato da capitalismo industriale in capitalismo della sorveglianza. La svolta totalitaria del neoliberismo è evidente. Il dissenso populista e sovranista che si opponeva al neoliberismo globalista sembra scomparso. Il totalitarismo tecnocratico e terapeutico si impone anche nella sfera politica. La tecnica repressiva non viene più messa in atto attraverso la criminalizzazione degli oppositori, ma con la patologizzazione dal dissenso stesso? L’ideologia liberale pretende di basarsi su fondamenti scientifici. Dinanzi alla scienza quindi, ogni forma di dissenso non è di per sé inconcepibile?

Se pensiamo alla situazione politica immediatamente pre-Covid ci rendiamo facilmente conto che il gruppo degli oligarchi globalisti non stavano passando un momento favorevole. Pensiamo alla Brexit, al movimento dei Gillet Gialli in Francia e in Belgio, alle elezioni di Trump, all’ avanzata, nonostante la propaganda di Regime, dei movimenti populisti e sovranisti in diversi paesi. Non sottovalutiamo anche le forti opposizioni che stavano nascendo nei confronti delle nuove reti di telecomunicazioni 5G. Poco prima della pandemia era nata un’ alleanza tra 18 paesi europei per fermare il 5G. Nel 2019, in Italia, i comuni che si stavano opponendo all’istallazione di antenne 5G erano circa 500. Non è un caso che Vittorio Colao, quando ancora non era stato nominato ministro, ma era solo il capo della task force del Governo Conte, nel giugno 2020 abbia elaborato il Piano di rilancio dell’Italia nel quale veniva chiesta l’esclusione di potersi opporre all’istallazione di nuove antenne. È evidente che i piani di globalizzazione e di digitalizzazione, che oggi vanno di pari passo, non possono essere fermati dal dissenso. Questo deve essere marginalizzato, criminalizzato e patologizzato. Lo abbiamo visto durante la gestione delle prime fasi della pandemia. Chi si è apertamente schierato contro le due misure simbolo della gestione della pandemia, il lockdown e le mascherine, ha subito dei TSO. E si badi che sia il lockdown che le mascherine sono state misure fortemente criticate da una buona parte della comunità scientifica. Ad esempio, le curve dei contagi nei paesi che hanno attuato misure restrittive meno severe sono del tutto analoghe a quelle di quei paesi che hanno compresso ogni diritto e libertà. La scienza è diventata uno strumento della politica per imporre il bipensiero orwelliano alla massa. Ad esempio, il principio di precauzione è stato invocato se c’era da testare le cure per le fasi precoci dell’infezione da Covid, ma è stato messo da parte quando c’è stato da approvare in via condizionata dei vaccini sperimentali. Oppure i tamponi andavano bene per scovare gli asintomatici e giustificare le misure restrittive, ma non andavano più bene quando è stato imposto il Super Green Pass.   

4)     L’emergenza sanitaria genera le altre emergenze economiche, sociali e politiche. Una politica emergenziale che ha come obiettivo la preservazione della sopravvivenza induce le masse a condividere misure restrittive della libertà che sarebbero altrimenti inaccettabili. Non si è dunque raggiunto l’obiettivo di imporre un totalitarismo sanitario che comporta la medicalizzazione dell’intera totalità sociale? Con la vaccinazione periodica di massa e la progressiva sostituzione della identità personale con l’identità digitale, non si è affermata una nuova forma di biopolitica che si prefigge la cura dei sani, affinché l’unica finalità dell’uomo consista nella mera sopravvivenza biologica?

Dalla lettura di diversi documenti dell’Alleanza ID2020, dell’ID4D del Gruppo Banca Mondiale o della stessa OMS emerge con una certa evidenza che la diffusione di una Identità Digitale a livello globale sia un obiettivo centrale per queste istituzioni. Un ID che dovrebbe sostituire tutti i nostri documenti e che ci dovrebbe consentire di lavorare, viaggiare, relazionarci con le altre persone. E tutte queste belle cose che potremmo fare con le nostre ID sembrano essere subordinate ai piani di vaccinazione decisi all’interno di gruppi fuori dal controllo democratico, ma che sembrano influenzare fortemente i Governi. Ciò che sorprende è che i programmi di vaccinazione sono considerati le chiavi di accesso all’ID. Non si parla di vaccinazione di massa per motivi di salute pubblica, ma per, ad esempio, registrare le nascite o per implementare i sistemi di pagamento digitale. Si consideri che in Italia, il PNRR prevede tra i suoi obiettivi principali la diffusione dell’ID nel 70% della popolazione entro il 2026. Quali siano gli enormi vantaggi per la popolazione di avere un ID e perché questo debba essere legato a programmi di vaccinazione di massa periodica sono cose che andrebbero indagate maggiormente. I media ora parlano di vaccini, ma la questione dell‘ID non viene mai toccata. A stento si parla del problema del Green Pass, inteso come piattaforma digitale centralizzata in grado di elargire o negare diritti e libertà.    

5)     In Italia la pandemia è stata governata a colpi di DPCM. Tale strumento normativo, ha solo natura amministrativa. La legislazione di emergenza, attuata tramite i DPCM, ha sovvertito la gerarchia delle fonti del diritto, compresa la costituzione, che è stata palesemente violata. Anzi, si è imposta una nuova costituzione materiale. Secondo Carl Schmitt “sovrano è chi decide nello stato di eccezione”. Pertanto con la legislazione di emergenza si potrà d’ora in poi governare anche la normalità. La deriva autoritaria è evidente. La legislazione ordinaria di uno stato democratico, non viene quindi sostituita da una tecnica normativa attuativa di una governance imposta da oligarchie tecnocratiche estranee alle istituzioni? In tal modo, alle oligarchie non viene devoluta nei fatti la sovranità dello stato?

È evidente che le sovranità nazionali e le costituzioni dei popoli sono i nemici numero uno per le oligarchie. Le dichiarazioni di stati di eccezioni o di stati d’emergenza risultano essere gli strumenti normativi più efficaci per esautorare le democrazie. È successo negli ’30 in Germania, quando Hitler dichiarò uno stato d’emergenza che gli permise di assumere Pieni Poteri. In Italia, il DPCM, per quanto occupi un posto infimo nella gerarchia degli strumenti normativi, è quanto di più simile ci possa essere alla formula dei pieni poteri. I DPCM sono emanati direttamente dal Presidente del Consiglio, in totale autonomia dal Consiglio dei Ministri, dal Parlamento o dal Presidente della Repubblica. Diverse sentenze dei Tribunali li hanno dichiarati illegittimi e una sentenza ha persino dichiarato illegittima la dichiarazione dello stato d’emergenza in Italia. Nonostante questo, lo stato d’emergenza è costantemente prorogato e le misure restrittive costantemente inasprite. Siamo arrivati ad una condanna a morte de facto per coloro i quali si ostinino a non voler accettare di scaricare un certificato digitale per poter continuare a lavorare. È evidente che oggi le decisioni non sono più prese all’interno del nostro paese, ma all’interno di organismi internazionali come l’EMA o come l’OMS, che sono finanziati per la maggior parte da aziende private che impongono i propri farmaci e i propri stili di vita. In una situazione come questa, la dipendenza dei singoli Stati da organizzazioni internazionali come l’Unione Europea non fa altro che indebolire le democrazie.

 

6)     Durante il lockdown abbiamo assistito a penose manifestazioni di esultanza di un popolo che nella reclusione domiciliare dalle finestre plaudiva, cantava, esponeva striscioni multicolori con lo slogan “tutto andrà bene”. Tale fenomeno potrebbe essere analizzato alla luce di una teoria esposta da Andrea Zhok nel libro “Critica della ragion liberale”, denominata “La sacralizzazione della vittima”. La ragione liberale non riconosce valori etici se non quello del “sentimento della libertà negativa”. L’uomo infatti deve essere libero da ogni legame, legge, valore etico, che ostacoli lo sviluppo della libera individualità. Pertanto, con la negazione della libertà, l’individuo, leso in un suo diritto fondamentale, assume lo status di “vittima”. La vittima è incolpevole, gode di una condizione che esige riconoscimento, che genera identità, innocenza e autorità morale. Quindi la segregazione di massa ha prodotto consenso ed entusiasmo, in quanto il popolo si è identificato collettivamente nel ruolo di protagonista passivo del processo di “sacralizzazione della vittima”. Il fine ultimo del totalitarismo pandemico non è dunque quello di indurre il popolo ad amare le proprie catene?

Condivido pienamente le analisi di Zhok, uno dei pochi pensatori italiani che sono riusciti a mantenere autonomia e lucidità nel pensiero. Albert Camus sosteneva che “il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”. Si può provare ad imporre una dittatura con la forza, ma gli esempi storici ci dicono che questi tentativi sono destinati a fallire. Huxley, in una lettera a Orwell, fa presente che “la politica dello stivale in faccia” non è destinata a durare. L’unica strada percorribile per le oligarchie è quella di provare ad istaurare una dittatura dolce, una forma di totalitarismo pervasivo e accettato come salvifico e liberatorio dalle vittime stesse dei tiranni. Lo stesso Platone, già nel V sec. A.C., aveva descritto la condizione umana assimilandola alla figura dello schiavo disposto ad uccidere chi voglia liberarlo. Credo che siamo arrivati ad un punto, oggi, in cui è necessario più che mai rivolgere la nostra attenzione nei confronti dell’educazione, di ciò che avviene nelle scuole, ad esempio. Se non vogliamo irrimediabilmente ritrovarci a vivere in una società improntata sul modello dell’oligarchismo collettivista, dobbiamo fare in modo che le nuove generazioni siano educate a contrastare due tendenze insite nell’anima umano, potenzialmente pericolosissime. Mi riferisco alla tendenza al conformismo, studiata a livello sperimentale dallo psicologo Salomon Asch negli anni ’50, e alla tendenza alla obbedienza cieca all’autorità, studiata a livello sperimentale dallo psicologo Stanley Milgram negli anni ’60.