Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Trumpismo e biopolitica

Trumpismo e biopolitica

di Daniele Perra - 19/01/2025

Trumpismo e biopolitica

Fonte: Daniele Perra

Ho già parlato del trumpismo come “foucaultiana” operazione biopolitica. Cercherò di spiegare meglio tale concetto. In primo luogo, mi pare necessario sottolineare l'importanza che i mezzi di informazione (come strumenti di “produzione del potere”) rivestono per lo studio e l'analisi geopolitica. Già Karl Haushofer, nel 1928, di fronte all'irruenza della politica di massa, comprese l'importanza di veicolare le dinamiche geopolitiche all'attenzione dell'opinione pubblica, anche se l'informazione doveva necessariamente avere un carattere semplificato ed adatto ad orientare il pubblico. In altri termini, Haushofer capì prima di altri che la rappresentazione mediatica è parte integrante della dimensione geopolitica, e si pone come strumento utile per conquistare un appoggio emotivo (dunque, non criticamente fondato) all'azione.
La sfera della comunicazione, dunque, ha un'importanza fondamentale per la geopolitica e gli stessi media vengono interpretati come gli strumenti che rappresentano la (geo)politica ed il potere.
La “geopolitica critica” (nata intorno agli anni '80 del secolo scorso), di fatto, studia i contenuti dei media per comprendere gli interessi particolari ed il “potere reticolare/circolare” dei mezzi di informazione. Questo perché le rappresentazioni spaziali del potere giocano un ruolo decisivo nel comprendere le strategie politiche. Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che, spesso e volentieri, il cosiddetto “giornalismo geopolitico” diviene esso stesso strumento del potere e/o produttore di propaganda. Laddove per propaganda intendiamo la produzione volontaria e sistematica di rappresentazioni mediatiche stereotipate allo scopo di manipolare, selezionare o occultare fatti e fenomeni e per orientare l'opinione pubblica da parte di soggetti politici e/o economici che rappresentano i centri di potere (si pensi ai casi emblematici dell'Ucraina e della Palestina).
Ora, questo utilizzo “strategico” dei mezzi di informazione, storicamente, è sempre esistito. Durante il cosiddetto “Grande Gioco” o “Torneo delle Ombre” (la “Guerra Fredda del XIX secolo” tra Gran Bretagna e Russia in Asia Centrale), ad esempio, i giornali britannici non hanno mai smesso di descrivere l'Impero zarista in termini di entità maligna. Oppure, ancor prima (addirittura in epoca medievale), si pensi alle modalità attraverso cui gli emissari pontifici descrivevano Federico II.  Questo “utilizzo strategico” ha conosciuto notevoli fortune nell'epoca dei totalitarismi e, sebbene non si sia mai interrotto, con l'avvento della rete internet ha subito una evoluzione del tutto particolare. Infatti, se i media tradizionali hanno un'impostazione verticale (scelta, formazione e rivestimento della “notizia” dall'alto), la rete internet ha un'impostazione orizzontale in cui le notizie, all'apparenza, fruiscono in modo più fluido e libero. In realtà, la moltiplicazione delle piattaforme mediatiche e sociali non corrisponde ad una reale maggiore libertà di informazione. Le società che controllano i flussi della rete, in larga parte (almeno le maggiori), hanno sede negli Stati Uniti ed appartengono ad imponenti concentrazioni industriali con notevoli interessi direttamente collegati alla politica ed alla guerra (che della politica è la continuazione con altri mezzi, Clausewitz docet). In questo senso, alla pari di agenzie di rating, ONG, fondi di investimento, gruppi di pressione, anche le piattaforme sociali (Facebook, X e così via) producono potere. E lo fanno in modo del tutto particolare. Queste, infatti, come la finanza transnazionale, riducono spazi e distanze nel senso che permettono che il potere venga esercitato anche in ambiti estremamente lontani dal suo centro reale. Così facendo, la rete esercita un potere fluido capace di espansione illimitata.
Di conseguenza, nell'epoca del capitalismo/imperialismo digitale, il trumpismo si impone in primo luogo come processo di ristrutturazione del sistema di potere nordamericano: un processo di sostituzione tra vecchie e nuove oligarchie industriali i cui interessi geopolitici di lungo periodo divergono solo parzialmente (il “villain” russo viene sostituito dal “supervillain” iraniano o cinese). Tuttavia, questo processo di ristrutturazione necessita di quello che in precedenza è stato definito come “appoggio emotivo non criticamente fondato” imbottito di propaganda (spesso anche “visionaria”). Ed ecco, dunque, il pressoché totale allineamento delle piattaforme sociali nordamericane all'interesse strategico del centro ed alla creazione di un presunto “nuovo o rinnovato spazio” prodotto dell'interazione tra “nuovi/vecchi poteri” che si stratificano e solidificano nell'immaginario dell'Occidente collettivo.