Un necrologio onesto del fascismo e dell’antifascismo
di Marcello Veneziani - 27/04/2025
Fonte: Marcello Veneziani
A ottant’anni dalla fine del fascismo mi cimenterò nell’impresa più folle del mondo, tentare in poche righe un necrologio onesto e schietto del fascismo e dell’antifascismo e della loro eredità, che scandalizzerà molti e scontenterà tanti. Tenetevi forte, è un tentativo opinabile ma animato solo dalla ricerca della verità, dal rispetto e dalla pietas per i caduti. Nei 165 anni di Italia unita il fascismo resta insuperato sul piano delle realizzazioni e delle riforme sociali, del consenso popolare e del prestigio mondiale, dell’integrazione nazionale e sociale delle masse, dell’ordine, dell’efficienza dei servizi e dell’efficacia di governo, dell’onestà pubblica e della dedizione allo Stato e all’amor patrio. Chi lo nega è disonesto, nega la realtà e la verità. Fu un regime di modernizzazione che fece fare all’Italia passi da gigante. E’ altrettanto onesto dire che tutto questo non basta a compensare la perdita della libertà, la costrizione e la violenza, la retorica, la sciagurata alleanza col nazismo, la complicità nel razzismo e infine la passione fatale della guerra che resta il vero peccato mortale del fascismo. Non si bilanciano beni e mali imparagonabili tra loro ma si presentano in bilancio entrambi.
Chi dal dopoguerra in poi fu fascista a babbo morto, ovvero quando il regime era sepolto e proibito, credette in buona fede che fosse essenziale il primo lato e accidentale il secondo; ne elogiò a suo rischio le grandi imprese e reputò i disastri frutto di errori e circostanze, cattivi alleati e avversari. Non fu così, autentici furono ambo i versanti, i successi e gli errori, le glorie e gli orrori; da qui l’interpretazione tragica del fascismo. Non criminale né trionfale, ma tragica, perché nella tragedia si concluse. In un necrologio onesto il fascismo grandeggia nella storia in ambedue. Mussolini fu il più grande politico italiano nella storia del ‘900; ma più grande non vuol dire il migliore. È un giudizio storico, non morale. Grandi furono pure Stalin e Mao, tiranni sanguinari (altro che il duce) ma grandi fondatori di uno Stato. Non riusciremo a digerire il fascismo finché non diremo tutta la verità, anziché solo la metà, o anche molto meno. Quanto alla Repubblica sociale, il giudizio storico deve essere preceduto da un’ipotesi storica, a mio parere fondata, che spiazza fascisti e antifascisti: nel 25 luglio del ’43 Mussolini lasciò il potere senza opporre resistenza al Re e al Gran Consiglio, forse addirittura favorendo il cambio di governo: per consentire i negoziati di pace e tirar fuori l’Italia da una guerra che aveva sottovalutato nella sua catastrofica portata, da un’alleanza che stava arrecando sciagure e da un conflitto che si stava rivelando tragicamente perdente. Quando i tedeschi andarono a “liberarlo” sul Gran Sasso, era recalcitrante; e alla fine accolse l’idea di costituire la Repubblica sociale per salvare il salvabile e arginare l’azione dei tedeschi in Italia, come sostenne, tra gli altri, lo storico Renzo De Felice.
Tra i lasciti negativi del fascismo e dell’antifascismo all’Italia di dopo non possiamo più difendere Dio, la patria, la famiglia, la tradizione, la nazione, l’ordine, l’autorità, il dovere, perché il fascismo cercò di farle sue; e il suo rivale, l’antifascismo, gliele ha regalate in blocco con grave danno generale: chi oggi le sostiene viene accusato automaticamente di fascismo. Quella perdita fu un male assoluto, e insoluto, perché non finisce mai di nuocere.
Nel necrologio onesto sull’antifascismo, bisogna partire dal riconoscere rispetto e ammirazione in primo luogo per coloro che furono antifascisti sotto il regime, scontandolo sulla propria pelle; poi per coloro che in guerra combatterono davvero il nazismo e il suo alleato, nel nome della libertà, dell’amor patrio e dell’indipendenza nazionale.
Però buona parte della Resistenza non condivideva quegli ideali e quei propositi ma voleva instaurare in Italia una dittatura comunista, una repubblica sovietica o nella migliore delle ipotesi un regime oligarchico di segno progressista. E si regolò di conseguenza nella lotta cruenta contro i fascisti e a volte contro gli stessi antifascisti, come i partigiani “bianchi”.
In secondo luogo, bisogna riconoscere che la Liberazione dell’Italia non avvenne ad opera della lotta partigiana ma delle truppe alleate. Basterebbe ricordare un solo dato: per liberare l’Italia morirono nel nostro Paese oltre 90mila soldati americani e furono uccisi 120mila soldati tedeschi. I partigiani uccisi, secondo un dato dell’Anpi, furono 6882. La sproporzione numerica dice già tutto. Si può immaginare un’Italia liberata senza Resistenza, ma non si può immaginare un’Italia liberata senza Alleati.
In terzo luogo, bisogna raccontare il diritto e il rovescio della guerra partigiana: non solo le meritorie e coraggiose azioni di guerra, ma anche le stragi, le esecuzioni, soprattutto nel “triangolo rosso”, di decine di migliaia d’italiani, anche a guerra finita, nonché il sostegno dato ad altri orrendi massacri, a partire dalle foibe nel nord est d’Italia. Stragi che non riguardarono solo fascisti, ma anche gente comune.
Quali sono dunque le ragioni critiche nei confronti della celebrazione del 25 aprile? Storicamente non è stata una festa inclusiva e nazionale, ma è stata la festa delle bandiere rosse. È stata poi una festa concepita contro gli italiani del giorno prima, ovvero gli italiani che erano stati in larga parte fascisti (o non antifascisti) e questo ha istigato gli italiani alla doppiezza e all’ipocrisia. Poi ha negato dignità e memoria a tutti coloro che dalla parte “sbagliata” hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta.
Sarebbe giusto che l’antifascismo fosse finito quando finì l’antagonista da cui prende il nome: il fascismo è morto e sepolto e non può sopravvivergli il suo antidoto, nato con la missione di abbatterlo. Questo fu, del resto, lo spirito che prevalse nell’Italia democristiana, che rasserenò il Paese. Quando invece una festa aumenta l’enfasi col passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora sa d’inganno e di uso cinico per altri scopi. E poi è una commemorazione solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali, si pensi al 4 novembre, in cui si ricordano anche infamie e orrori della Grande Guerra; invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura. Infine celebrando sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà.
Come se ne esce dall’impasse? Con una dichiarazione di principio da condividere, pur ciascuno con le sue motivazioni: la libertà e la democrazia vanno difese da ogni tentazione dispotica, oligarchica e totalitaria – passata, presente e futura – l’amor patrio comune prevalga su ogni antistorica contrapposizione di parte, pur nella legittimità di avere giudizi storici differenti. Ed è più che maturo, anzi tardivo, il tempo di restituire il fascismo e l’antifascismo alla storia, liberando la politica da usi e abusi impropri e anacronistici del passato remoto. Coltiviamo la memoria storica ma la nostra storia non comincia e non finisce il 1945.
Non sarete d’accordo su niente, su molto o su qualcosa di quel che abbiamo scritto ma converrete che una storia del fascismo, dell’antifascismo e della loro eredità così breve e secca forse non vi era mai capitato di leggere.