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Un Occidente alla deriva assolve moralmente l'attentatore di Fico... Ma il resto del mondo ne ha piene le tasche della sua arroganza

di Antonio Catalano - 17/05/2024

Un Occidente alla deriva assolve moralmente l'attentatore di Fico... Ma il resto del mondo ne ha piene le tasche della sua arroganza

Fonte: Antonio Catalano

Il gravissimo attentato a Fico esprime ormai la volontà dell’Occidente di impedire, anche fisicamente, perfino la minima riserva sulla condotta delle sue politiche. In particolar modo quando si mette in discussione l'ordine atlantico.
Che l’esecutore materiale dell’attentato sia stato armato da servizi euroatlantici non possiamo saperlo, non ne abbiamo le prove, ma i commenti della nostra “libera” stampa ci permettono di capire alcune cosucce. Evidente la comprensione (la mettiamo così?) morale del fanatico europeista attentatore.
I più “venduti” giornali nazionali definiscono l’assalitore «un poeta e attivista non-violento» [Corriere della sera], uno che lotta contro la «dittatura di Fico» [La Stampa], uno che «passeggiava ogni giorno mano nella mano con la moglie», fondatore di un «comitato anti violenza [Corriere della sera], un «cittadino al di sopra di ogni sospetto» [Repubblica], un «intellettuale impegnato, autore di tre raccolte di poesie e un romanzo» [Stampa]. E della serie Fico te la sei proprio cercata, dipingono il premier slovacco come un esponente mafioso, «l’autocrate putiniano accusato di ‘ndrangheta da sempre in guerra con giornalisti e giudici» [Repubblica].
Un mondo, quello euroatlantico, che mostra in modo sempre più sfacciato arroganza e presunzione di superiorità, che ipocritamente pensa di compensare con nauseanti discorsi su inclusività e antidiscriminazione.
Facciamo un salto, andiamo all’accoglienza di Putin in Cina, la quale altamente se ne frega del mandato “internazionale” di arresto del presidente russo. Un’accoglienza di primissimo livello, d’altronde corrispondente a uno stato di relazioni di Paesi che hanno interessi strategici pienamente convergenti (economici, militari, culturali, turistici…). Accoglienza ben diversa da quella riservata il mese scorso al cancelliere tedesco Scholz. I protocolli non sono mai casuali, seguono norme molto rigide e hanno un loro perché.
Una cosa che dalle nostre parti proprio non si riesce a capire è che il “resto del mondo” ne ha piene le tasche dell’arroganza occidentale, del suo ritenersi “giardino fiorito”, migliore se non superiore, alla fine il colonialista portatore di civiltà della storia recente.
Le classi dirigenti occidentali immaginano africani con l’anello al naso, la loro altezzosità non gli permette di percepire l’insofferenza che da quelle parti suscitano gli atteggiamenti spocchiosi dei Macron e von der Leyen, o l’arroganza degli americani che trattano i popoli democraticamente invasi come bestie selvagge da domare (ci ricordiamo del trattamento riservato agli iracheni? I soldati statunitensi entravano nelle moschee con i cani, li irridevano e umiliavano, tranne poi rubare tutti i loro reperti archeologici… espressione di una storia e di una cultura che possono solo immaginare  – male – a Hollywood).
Tanto per capirci meglio, quando un leader africano (ma vale anche per gli altri continenti) va in Cina, è trattato con gli stessi onori tributati a leader di Paesi di più alto rango economico. Non perché i cinesi siano più buoni o migliori o che non pensino ai propri interessi, semplicemente perché non credono che la dominanza debba essere messa sul piatto delle relazioni diplomatiche. I cinesi non propongono relazioni di sudditanza ma quelle “win win”, quelle cioè vantaggiose per entrambe, dove i benefici sono condivisi da ambe le parti. Un po’ come faceva il nostro Enrico Mattei, il quale proponeva contratti onesti ai governi dei Paesi produttori di petrolio, non capestro come quelli delle multinazionali franco-anglo-americane… motivo per cui gli fu fatto esplodere l’aereo.
Un’altra cosa che i rappresentanti dei Paesi “terzi” apprezzano molto è che l’approccio cinese (stesso discorso vale per quello russo) non è paternalistico, non mette cioè il becco negli affari interni, non impone condizioni di riforme sociali o economiche o di costume, insomma non si permettono di dire: se vuoi essere “aiutato” devi fare questo o quest’altro, devi approvare queste riforme, devi riconoscere il “diritto” di ingerenza esterna (vedi Georgia) o devi favorire i gay pride.