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Un protezionismo che non protegge

di Michael Hudson - 17/03/2018

Un protezionismo che non protegge

Fonte: Comedonchisciotte

Le minacce di Trump di questa settimana sono state un colpo uno-due. Prima ha minacciato di imporre tariffe di sicurezza nazionale su acciaio e alluminio, principalmente contro Canada e Messico (assieme a Corea e Giappone). Poi ha proposto un’alternativa: esonererebbe questi paesi se scendessero a compromessi con alcune richieste americane. Queste richieste però hanno un significato economico così scarso che potrebbero essere viste come un esercizio di ciò che il mondo accademico chiamava la politica del potere. Non funzionerà. L’idea diplomatico col Messico è dire di essere disposto ad esentarli dalle tariffe su acciaio e alluminio se: 1) acconsentissero a costruire il muro; 2) se facessero altri favori speciali agli USA. Così potrebbe poi andare dagli elettori americani e dire: “Visto, noi abbiamo vinto ed il Messico ha perso”. È improbabile che la cosa provochi una resa messicana. Il suo presidente ha già detto che costruire un muro non ha senso, e la settimana scorsa ha cancellato la prevista visita diplomatica a Washington. Arrendersi alla promessa elettorale di Trump sarebbe un suicidio politico, si vanterebbe di aver piegato il Messico ai propri ordini. Le cose non vanno molto meglio sul versante Canada. Anche se alcune società siderurgiche della Pennsylvania e dell’Ohio cercheranno di far sembrare buono Trump assumendo alcune centinaia di lavoratori se e quando verranno annunciate le tariffe, il Canada ed altri fornitori dovrebbero essere lasciati fuori. Il risentimento canadese già è alto da decenni, da quando l’accordo automobilistico degli anni ’60 e ’70 ha favorito i fornitori statunitensi. […]

 

Ci sono molti buoni argomenti per il protezionismo, molto migliori delle banalità usate per indottrinare gli studenti di economia. Di tutti i rami dell’economia mainstream odierna, la teoria del libero scambio è la più irrealistica. Se lo fosse, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania non sarebbero mai potuti diventare potenze industriali mondiali (analizzo gli errori della teoria del libero scambio nel libro ‘ Trade, Development and Foreign Debt’). La storia economica fornisce un lungo ed eccellente elenco di buoni argomenti per avere delle tariffe protettive. La Gran Bretagna ha creato il proprio impero grazie al protezionismo, soffocando i manufatti negli Stati Uniti finché ha perseguito il libero scambio. Dopo la fine della guerra civile, l’America ha costruito le proprie industria e agricoltura basandosi sul protezionismo, come hanno fatto Germania e Francia (discuto della strategia in ‘America’s Protectionist Takeoff: 1815-1914’). Dopo esser diventate leader mondiali, tutte queste nazioni hanno però cercato di togliere la scala e di impedire agli altri di proteggere le proprie industria e agricoltura. Hanno così cambiato in “imperialismo del libero commercio”. Lo scopo dei leader industriali è convincere gli altri paesi a non regolamentare o pianificare i propri mercati, ma a lasciare che gli Stati Uniti elaborino una politica commerciale asimmetrica, il cui scopo è quello di rendere gli altri paesi dipendenti dalla sua esportazione di cibo e monopòli, aprendo i mercati alle società americane. A partire dagli anni ’20, le economie protezionistiche venute a sostenere il libero scambio hanno riscritto la storia per cancellare col bianchetto il modo in cui si sono arricchite. La strategia del protezionismo è stata dimenticata. Le cosiddette tariffe protettive di Trump contro acciaio e alluminio sono l’antitesi di ogni principio di protezionismo. Ecco perché sono così autodistruttive. Una strategia commerciale veramente nazionalistica sarebbe quella di acquistare materie prime a basso costo e vendere prodotti finiti ad un prezzo elevato. L’idea del protezionismo industriale, dal libero scambio britannico nel XIX secolo alla strategia commerciale degli Stati Uniti nel XX, era quella di ottenere materie prime nei posti più economici – facendo competere altri paesi per fornirle – e proteggere le proprie lavorazioni ad alta tecnologia, dove si trovano i principali investimenti di capitale, profitti e rendite di monopolio. Trump sta facendo il contrario: sta aumentando il costo degli input di materie prime in acciaio e alluminio. Ciò ridurrà i profitti delle aziende che usano acciaio e alluminio – senza proteggerne i mercati. In effetti, altri paesi sono ora in grado di aumentare legalmente le proprie tariffe per proteggere quei settori tecnologicamente più avanzati che potrebbero essere minacciati dalle esportazioni statunitensi. Le Harley Davidson sono già state prese di mira. Potrebbero anche bloccare le esportazioni monopolistiche americane, come il bourbon, i blu jeans Levi’s o alcuni farmaci. La Cina potrebbe anche bloccare qualsiasi tecnologia USA con cui decida di voler competere. Le minacce tariffarie di Trump hanno fatto salire i prezzi a breve termine dell’alluminio del 40%, ed i prezzi dell’acciaio di circa il 33%. Ciò aumenta il prezzo di questi materiali per i produttori statunitensi, riducendone i profitti. I produttori stranieri non vedrebbero aumentare i prezzi dei propri materiali, e quindi potrebbero competere con i rivali statunitensi che usano ferro od alluminio. L’eccesso di offerta globale, infatti, potrebbe far diminuire il prezzo dell’acciaio e dell’alluminio sui mercati esteri. L’industria straniera otterrebbe dunque un vantaggio in termini di costi. I paesi stranieri, inoltre, possono legalmente aumentare le tariffe nei propri mercati – per qualsiasi settore che ritengano possa trarre il massimo vantaggio da questo vantaggio. Le tariffe di Trump non indurranno nuovi investimenti in acciaio o alluminio La logica americana dietro le tariffe protettive, che dopo la guerra civile posero fine alle politiche di libero commercio del Sud, era che la protezione tariffaria avrebbe creato un ombrello dei prezzi, che avrebbe consentito ai produttori americani di investire in impianti ed attrezzature. La Gran Bretagna li aveva già resi costi irrecuperabili, quindi gli Stati Uniti hanno dovuto includere il costo del capitale tra le entrate. È così che l’America ha costruito l’industria siderurgica, chimica e manifatturiera. È però improbabile che le società di acciaio o di alluminio investiranno di più o assumeranno più manodopera interna a seguito di maggiori introiti tariffari. Potrebbero aumentare i prezzi, ma non sono probabili né gli investimenti né gli effetti a cascata. Per prima cosa, l’alluminio è fatto di elettricità, e l’America è un produttore ad alto costo. Alcan, il più grande fornitore americano, ha un accordo fregatura con l’Islanda ed ottiene elettricità quasi gratis. Per quanto riguarda l’acciaio, ci vuole molto tempo per costruire una moderna acciaieria. Nessuna compagnia lo farebbe senza un mercato sicuro, e gli aumenti tariffari di Trump non lo garantiscono.

 

Poche società, gruppi di lavoro o banche a New York sono state disposte a fidarsi di Trump negli ultimi anni. Avrebbe dovuto chiamare il suo libro “L’arte di ROMPERE gli accordi”. È così che ha fatto i soldi. Era solito firmare un accordo con i fornitori dei suoi hotel o di altri edifici, per poi offrire loro l’80% (ma anche meno) di quanto pattuito. Anzi, avrebbe detto loro: “Volete farmi causa? Vi costerà $50.000 solo per arrivare in tribunale, e poi dovrete aspettare tre o quattro anni; nel frattempo avremmo fatto abbastanza soldi per pagarvi a buon mercato”. Le banche che gli hanno prestato soldi hanno avuto molti problemi a farsi pagare, così come i suoi sfortunati fornitori. Ha fatto fortuna così – con una tale efficacia che sembra credere di poter usare la stessa strategia nella diplomazia internazionale, visto che sta minacciando di rompere l’accordo con l’Iran. Funzionerà? O le economie straniere considereranno gli Stati Uniti come “incapaci di mantenere un accordo”? Anzi, le stesse società statunitensi crederanno che gli accordi firmati oggi verranno onorati domani? Questa non è la prima volta che gli Stati Uniti hanno aumentato le tariffe unilateralmente. Anche George W. Bush l’ha fatto. Ed il mio libro del 1979, ‘Global Fracture’, descrive il protezionismo americano contro altri paesi negli anni ’70. L’America l’ha fatto mille volte. Trump ha però introdotto alcune varianti. Prima di tutto, il protezionismo di una volta aveva il sostegno del Congresso. Trump invece lo ha aggirato, senza dubbio consapevole del fatto che le industrie che usano acciaio e alluminio possono mobilitare il supporto del Congresso contro di lui. Il presidente ha dunque giocato l’unica mossa concessa al Ramo Esecutivo: l’ombrello della Sicurezza Nazionale. In un grande esercizio di espansione mentale, dice che sarebbe una perdita di sicurezza nazionale dipendere per l’acciaio e l’alluminio dai confinanti Canada e Messico, o da alleati come Corea del Sud e Giappone. Se riesce a convincere un tribunale commerciale fantoccio, questa scappatoia è effettivamente consentita dalle regole dell’OMC (articolo XXI del GATT). L’idea era di applicarlo ai periodi di guerra o di altre grandi crisi. La produzione americana di acciaio e alluminio è però stabile da oltre un decennio, e non sembra esserci alcuna crisi militare o economica che possa incidere sulla sicurezza nazionale. Supponiamo che Trump ci riesca. Altri paesi potrebbero tentare il giochino. Qualsiasi attività economica potrebbe essere considerata sicurezza nazionale, perché ogni economia è un sistema globale, con ogni parte interessata che influenza tutte le altre. Trump ha quindi aperto le porte per manovrare asimmetricamente la propria posizione. L’àmbito più probabile potrebbe essere quello dei settori ad alta tecnologia e legati all’esercito. Negli anni ’80 le si chiamava chiacchere da “zio Sucker” – agire come se gli Stati Uniti fossero la parte sfruttata, non quella che sfruttava, nel commercio e negli investimenti internazionali. In ultima analisi, il problema è quanta asimmetria politica il resto del mondo sia disposta a tollerare. Gli Stati Uniti possono ancora vessare gli altri paesi come hanno fatto per così tanti anni? Fino a che punto l’America porterà avanti i propri accordi unilaterali prima che altri paesi si allontanino da essa? Ogni paese straniero minacciato dalla perdita di esportazioni di acciaio o di alluminio ha un settore più high-tech che vorrebbe proteggere dalla concorrenza USA. È probabile che la risposta sia asimmetrica. E qui internamente, per quanto tempo le industrie manifatturiere più importanti sosterranno Trump e la sua politica di finto protezionismo “intelligente”?

 

(traduzione di HMG)