Un riarmo sciagurato, una piazza fuori strada
di Marcello Veneziani - 16/03/2025
Fonte: Marcello Veneziani
Il pacifismo è una brutta malattia, il bellicismo è un pessimo vizio. Ma quest’Europa pacifista e bellicista, oltre a sommare il vizio alla malattia, sta inscenando una ridicola e costosissima tragedia.
È comprensibile il realismo duttile di Giorgia Meloni che si allinea al riarmo ed è commovente l’irrealismo puerile di Elly Schlein, contraria al riarmo europeo mentre il suo partito è diviso tra favorevoli e astenuti. Ma il riarmo europeo proposto da Ursula von der Leyen puzza di ripicca, velleità e ipocrisia. Riarmarsi per ripicca contro Donald Trump non è una scelta lungimirante; rischia di partorire mostricciattoli ed errori macroscopici che pagheremo caro. Riarmarsi nel nome dell’Ucraina, poi, ancor più, significa perseverare in un errore che è già costato caro a noi europei, senza arrecare vantaggi all’Ucraina né progressi per la soluzione del conflitto o per l’equilibrio mondiale. Farlo con una pioggia di miliardi, un’altra pioggia, la terza dopo quella generata dal covid e poi quella per la green economy, significa smentire decenni di rigore punitivo verso gli stati indebitati (do you remember Grecia?) Vi ricordate la mannaia dello spread, su cui cadevano i governi; avevano solo scherzato, era un caso di euro-goliardia? Era vietato sforare, ora è d’obbligo tracimare. Quel giro vorticoso di miliardi tirati fuori in fretta e furia sarà una campagna che servirà a finanziare la boccheggiante industria di alcuni paesi in difficoltà o gli arsenali di alcuni signori della guerra ma dubito che servirà davvero a far nascere un’efficace difesa dell’Europa.
Non sono un esperto di cose militari e non oso esprimere giudizi specifici nel merito. Da tempo auspico un esercito europeo, e abbiamo avuto mille motivi per istituirlo in passato, dalla guerra del Golfo all’attacco alle Torri gemelle, dal terrorismo alle tensioni ad est e nel mondo, dalla necessità di non appiattirsi sulla Nato e sul dominio Usa ai rischi di un’area sguarnita che ha recitato per anni il ruolo pacifista di mammola imbelle; tanto c’era la Nato a fare il lavoro sporco delle guerre, a cui ci accodavamo ma un po’ defilati.
Oggi inveiscono contro Trump che perlomeno non ha pretese di ergersi a dominatore del mondo e non vuole trascinarci in guerre “umanitarie” come Clinton (alle porte dell’Europa), e i Bush, Obama e Biden. Anzi ci dà la possibilità, visto che vuol pensare alla “sua” America e non caricarsi dell’intero pianeta, di poter avere finalmente un’Europa adulta e indipendente che fa da sé e non al rimorchio degli Usa.
La prima considerazione da fare in tema di riarmo è che i 27 stati europei spendono già complessivamente un’imponente cifra per la difesa delle singole nazioni; ma non riescono a coordinare gli sforzi, a massimizzare le risorse, evitando sovrapposizioni inutili e attivando il mutuo soccorso e la cooperazione. Da profano e non addetto ai lavori vorrei quantomeno chiedere: ma è proprio impossibile convogliare le difese nazionali in un piano comune europeo? Ossia configurare che gli apparati di difesa rispondano normalmente ai singoli stati sovrani e agli interessi della loro nazione; ma vi sia poi un’area condivisa di armi a livello europeo e un protocollo di difesa comune in modo che vi sia la possibilità, all’occorrenza, di dare priorità alla sicurezza europea e di riconvertire la difesa di ciascuno in difesa di tutti. Quel che manca è un disegno strategico e sinergico, un accordo generale e una volontà politica: poter riconvertire in tempo di pericolo e in caso di necessità quegli apparati di difesa nazionale sotto una guida sovranazionale che ne assume il comando supremo quando si pone l’emergenza. Questo non ridurrebbe largamente il grande investimento militare annunciato, che si annuncia pure insufficiente per colmare il gap con le altre potenze in campo? Fatemi capire, è proprio impossibile sintonizzare gli apparati di difesa nazionali in un comune programma di difesa europea? La linea maestra dell’Europa resti il negoziato, la diplomazia, il buon uso della geopolitica e delle relazioni internazionali; anche se ci è ben chiaro che non basta il diritto internazionale, occorre anche la forza dissuasiva e dunque la deterrenza. Oggi l’Europa non dispone né del bastone della decisione né della carota del dialogo. Non ha né l’arma della ragione né la ragione delle armi. Non sa fare né la pace né la guerra.
Nel nome del realismo e non del pacifismo mi pare avventata e tutt’altro che rassicurante questa corsa europea al riarmo, questo dispendio di energie e risorse che vorremmo usate in ambiti di maggiore interesse sociale per i popoli, sulle priorità economiche, sanitarie e civili, oltre che in ambiti come l’istruzione e la salvaguardia della cultura e della natura. Quando le strategie di riarmo non nascono da un lungimirante progetto di difesa comune europea ma dall’urgenza di replicare a una trattativa di pace che esclude l’Europa, come quella che si profila in Arabia; e dalla follia di continuare la guerra in Ucraina, rischiamo di subire un rovinoso contraccolpo. Oltretutto riarmarsi con questo spirito di ostilità può far precipitare gli eventi anziché esercitare dissuasione. Con queste premesse vendicative può infatti accadere che sia proprio il riarmo a far precipitare i contrasti in conflitti. E l’idea di doversi armare per far dispetto a Trump e contro Putin, quando finora l’Europa non ha ricevuto minacce dalla Russia, semmai dall’Islamismo e sul piano commerciale, strategico e tecnologico dalla Cina, segna una pericolosa miopia.
Per passare dai Palazzi alla Piazza, e dalla storia alla satira, ci siamo goduti la solita sfilata del valoroso popolo di sinistra, che come è noto non ha bisogno di eroi – come disse Bertolt Brecht – ma ha bisogno di comici, attori, cantanti, sacrestani, scrittori psicopatici, sciampisti intellettuali e carri allegorici per testimoniare tutta la sua indignazione contro Trump, contro l’Europa stessa, contro l’Italia meloniana nel nome di un’Europa virtuosa e virtuale, cioè immaginaria. E ora che hanno manifestato la loro indignazione e la loro preoccupazione, ora che hanno detto “mai in mio nome”, ritengono di aver messo a posto l’universo e la propria coscienza, e possono ritirarsi a casa soddisfatti per seguire Gruber, Fazio e compagnia bella che li celebreranno come intrepidi e inascoltati profeti della pace contro il Demonio in agguato. Che anime belle in questo brutto mondo.