Un sistema autoreferenziale, ossia imperniato sulla finanza e sulle banche
di Fabio Falchi - 20/06/2019
Fonte: Fabio Falchi
La storia dimostra che l'economia reale dipende, grosso modo, dalla domanda e dall'offerta (ad un livello superiore si situa la lotta per l'egemonia che condiziona pure l'economia reale, ma ai nostri fini si può mettere tra parentesi questo livello). Non sorprende quindi che la BCE non riesca a far salire i prezzi nonostante il QE. Di fatto il QE è una struttura di sostegno dell'euro e dei movimenti di capitale (acquisti di titoli Stato inclusi), ma non certo dell'economia reale soprattutto dell'Italia. Del resto nel 2009 il saldo dell’Italia con la BCE (Target 2) era addirittura positivo per 54,8 miliardi, si è però ridotto a 3,4 nel 2010 e nel 2012 è sceso fino a -255 miliardi di euro (manovra Monti, ossia altra recessione dopo quella del 2009 per lo scoppio della bolla finanziaria mondiale, disoccupazione alle stelle e debito pubblico sopra il 130% del PIL). Dal 2014 (-208 miliardi), quando si è attivato il QE, la passività è aumentata fino a raggiungere i 490 miliardi circa.
Insomma, ci si adopera per mantenere in vita un sistema autoreferenziale, ossia imperniato sulla finanza e sulle banche, mentre si fa poco o nulla per potenziare sia il settore produttivo ad alto valore aggiunto che le infrastrutture, che è premessa necessaria per la crescita, come si sa perlomeno dal 1929 in poi.
Per di più vi sono molti altri parametri che contano oltre al rapporto debito "sovrano"/PIL, come il risparmio nazionale, il debito privato , ecc., ma evidentemente questi parametri dato che non penalizzano l'Italia, non interessano agli "italiani europeisti" , che sono buona parte di quel 30% degli italiani che detengono circa il 75% della ricchezza nazionale (circa 10.000 mld di euro) e in pratica tutto il risparmio nazionale in titoli, azioni e obbligazioni (circa 3.000 mld).