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Una nuova crisi: siamo alla fine dell’era globalista?

di Luigi Tedeschi - 07/12/2018

Una nuova crisi: siamo alla fine dell’era globalista?

Fonte: Italicum

E’ in arrivo una nuova crisi in Europa, ma la crisi del 2008 non è stata ancora superata. Le crisi ricorrenti sono il sintomo evidente della incipiente decadenza del modello neoliberista globale.

E’ tornata l’ombra della recessione sull’economia italiana ed europea. Si avvertono chiaramente gli effetti del rallentamento dell’economia globale. Il Pil italiano è diminuito dello 0,1% nel terzo trimestre 2018 rispetto al precedente. Si prevede per il 2018 una crescita italiana dello 0,8%, in diminuzione rispetto alle precedenti stime, che prevedevano una crescita dell’1,2%. Trattasi della prima battuta d’arresto della crescita dal 2014.

Tale inversione di tendenza è da attribuirsi non tanto alla diminuzione della domanda interna, quanto soprattutto al calo accentuato degli investimenti. Si è verificato inoltre l’aumento della disoccupazione, che è al 10,6%, la media europea è dell’8,1%.

Anche se in Italia la situazione economica evidenzia in via previsionale più preoccupanti incertezze, l’economia europea non registra risultati migliori, dato che in Francia la crescita nel terzo trimestre è dello 0,4% e in Germania si rileva addirittura un calo dello 0,2%. Si prevede che gli USA cresceranno nel 2018 del 3%, rispetto all’1,2% della Germania e all’1,5% della Francia. Il calo degli investimenti è dovuto all’incertezza delle prospettive per il 2019.

Si paventa l’avvento di una nuova crisi nel futuro immediato. In realtà la fase espansiva succedutasi alla crisi del 2008 si va esaurendo. Secondo l’OCSE l’economia mondiale continuerà a crescere per i prossimi due anni, ma con un andamento più lento. Negli USA la fase di espansione è durata 10 anni, la più lunga nella storia americana. Anzi, negli ultimi due anni l’economia americana ha continuato a crescere a ritmi elevati al di là di ogni previsione.

La ripresa in Europa è invece iniziata solo da 5 anni. Inoltre, l’andamento della crescita europea è avvenuto a ritmi assai più ridotti rispetto agli Stati Uniti. Certo è che una nuova recessione avrebbe effetti drammatici in una Europa in cui la ripresa si è manifestata più tardivamente e in misura assai più ridotta. In Europa gli effetti della crisi del 2008 sono ancora visibili. In Italia il Pil pro – capite è inferiore a quello degli anni ’90, mentre la disoccupazione in Italia, Francia e Spagna è tuttora superiore rispetto ai livelli pre – crisi.

 

L’Europa e i postumi di una crisi mai superata

 

Si deve quindi concludere che la nuova recessione in arrivo verrebbe ad incidere drammaticamente in paesi in cui la crisi del 2008 non può dirsi ancora superata. In realtà la ripresa in Europa ha coinciso con la politica di espansione monetaria messa in atto dalla BCE mediante il QE, al fine di far fronte all’ondata deflattiva conseguente alla crisi. Ma gli obiettivi della BCE non sono stati compiutamente realizzati, in quanto l’inflazione media europea è oggi dell’1,5%, inferiore quindi al traguardo prefissato del 2%. Certo è che la programmata fine della politica straordinaria di espansione monetaria della BCE fissata per il 31/12/2018, verificandosi in una fase di recessione economica potrebbe generare una nuova ondata deflattiva in Europa. Un rialzo dei tassi di interesse provocherebbe restrizioni del credito alle imprese e alle famiglie, oltre ad incidere sull’aumento dello spread riguardo il debito pubblico, effetto particolarmente pernicioso per l’Italia.

Lo stimolo monetario, pur rappresentando un valido strumento di contrasto per fronteggiare le manovre speculative sui debiti sovrani, si è dimostrato insufficiente ai fini della ripresa produttiva, dato che la liquidità creata dalla BCE non si è trasmessa che in minima parte al sistema produttivo. Occorre inoltre rilevare che le autorità europee non hanno adottato alcuna misura che imponesse alle banche di destinare la liquidità della BCE ad investimenti nell’economia produttiva. Anzi la UE, perseverando nella politica di rigida osservanza dei vincoli di bilancio, ha impedito qualsiasi politica espansiva degli stati, atta a rilanciare gli investimenti e la domanda interna.

La crescita non ha mai coinciso in Europa con la ripresa dei livelli occupazionali, che, ad eccezione della Germania, negli altri paesi sono a livelli inferiori a quelli antecedenti alla crisi del 2008. Tale situazione di deficit occupazionale è dovuta alle carenze strutturali del sistema neoliberista impostosi in Occidente. Alla crescita infatti, non ha fatto seguito un corrispondente incremento dei salari. Aggiungasi poi, che l’avvento del progresso tecnologico e l’accresciuta concorrenza di manodopera scaturita dalle ondate migratorie degli ultimi anni, hanno determinato ulteriori compressioni salariali in vasti settori dell’economia.

 

Nuove crisi e tramonto del globalismo

 

L’orizzonte di una nuova crisi inasprirà le contraddizioni già in essere in una UE elitaria, dominata cioè dall’asse franco – tedesco cui si contrappongono altri paesi subalterni, peraltro indeboliti dalla crisi e dalla politica di austerità della UE. Contraddizioni e contrapposizioni che potrebbero accentuarsi nel prossimo futuro fino a determinare l’implosione dell’Europa stessa. Per far fronte ad una nuova recessione data per imminente, occorrerebbe infatti che fossero varate politiche espansive a sostegno della domanda interna e degli investimenti.

In tale contesto, la manovra espansiva italiana, già bocciata dalla Commissione europea, appare essere piuttosto coerente (anche se carente in tema di investimenti), con le necessarie misure anticicliche che dovrebbero essere adottate per contrastare gli effetti di una fase recessiva dell’economia.

Tuttavia proprio i paesi più deboli, che necessiterebbero di stimoli di bilancio più rilevanti, dati i vincoli di bilancio imposti dai trattati europei, disporrebbero oggi di margini assai scarsi per implementare politiche anticicliche.

L’attuale Europa potrà realizzare una simile inversione di tendenza sistemica? Giammai. Perché l’Europa ha istaurato una unificazione monetaria e imposto, onde realizzare una convergenza tra economie assai diversificate tra loro, una politica di rigidità finanziaria che ha destrutturato le economie degli stati.

L’Europa, per contrastare una nuova recessione che potrebbe rivelarsi devastante, dovrebbe destrutturare sé stessa, dovrebbe cioè rifondarsi. Ma tale prospettiva, almeno in tempi ravvicinati, appare improbabile.

In tale contesto, date le sempre più accentuate diseguaglianze sociali, la scomparsa progressiva dei ceti medi in via di proletarizzazione di massa, il dissesto sociale avanzato, esplodono le tensioni sociali da lungo tempo latenti nella società europea. L’ondata populista dilaga ovunque, e la rivolta dei gilet gialli in Francia ne è la dimostrazione evidente. Trattasi di una rivolta che non ha trovato finora una rappresentanza politica adeguata, ma ha radici profonde nella società civile, nelle classi subalterne marginalizzate.

La cultura mediatica dominante la qualifica come la rivolta degli esclusi dal processo di globalizzazione e dalle conseguenti trasformazioni dell’economia e delle istituzioni politiche. La globalizzazione quindi, sarebbe un fenomeno di trasformazione immanente, che comporterebbe una inesorabile selezione tra gli individui ed i popoli in base alla loro capacità di adeguamento e alla loro funzionalità rispetto ad una nuova società di mercato globale che, oltre ai confini degli stati, annulla le identità e le culture dei popoli. La globalizzazione economica è un processo di oggettivazione dell’uomo nella funzionalità economica, non richiede consenso politico né processi decisionali di carattere democratico.

E’ stata proprio la globalizzazione a generare la reazione populista. Infatti, alla base della protesta populista dilagante vi è la rivendicazione del primato della politica su una economia dominata dalle oligarchie globaliste. Il sistema neoliberista globale non prefigura nuovi orizzonti di progresso ed emancipazione, semmai genera nuove crisi progressive, quali sintomi di una sua incipiente decadenza. Nell’era della globalizzazione il progresso non si identifica più con l’emancipazione dei popoli, ma con la loro regressione economica, civile e politica.

La rivolta populista non deve essere considerata una lotta di retroguardia degli esclusi dalla modernità di stampo luddista come definita dal dogmatismo ideologico liberale. Stiamo assistendo invece ad un capovolgimento dell’orizzonte progressista tipico della cultura liberale. Sono infatti le oligarchie dominanti dell’economia e della cultura liberal, estranee e contrapposte ai popoli a costituire il fronte della reazione conservatrice di un ordine globale ormai antistorico e in progressivo disfacimento.

I popoli vogliono tornare ad essere protagonisti del proprio destino. Afferma, riguardo alle recenti rivolte populiste Alexandr Dugin: “Queste non sono masse astratte o un proletariato impersonale – sono le ultime persone viventi che si sono levate contro la potenza mondiale della progenie globalista, i ribelli (come crede Lasch) della cultura e della civiltà, così come sull’uomo in quanto tale, sulle persone, su Dio. Oggi non c’è più destra e sinistra: solo le persone sono contro l’élite. I “giubbotti gialli” stanno creando una nuova storia politica, una nuova ideologia. Macron non è un nome personale, è un’etichetta di Matrix. Per raggiungere la libertà, c’è bisogno che lui sia annientato”.