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Uscire dalla passività: proporre una visione del futuro più persuasiva del grande reset dei potentati

di Riccardo Paccosi - 01/11/2021

Uscire dalla passività: proporre una visione del futuro più persuasiva del grande reset dei potentati

Fonte: Riccardo Paccosi

Leggendo la notizia soprastante (in immagine), mi viene in mente che l'opposizione sociale, per quanto in fase di lieve crescita da metà ottobre, vive la condanna di combattere un conflitto sempre e comunque dal punto di vista difensivo.
Anche se siamo perlopiù consapevoli che l'intenzione del potere sia quella di rendere l'emergenza permanente, la natura umana ci porta a confidare, istintivamente, in una possibile fase di acquietamento e stabilizzazione. Ma un sistema politico basato non sull'uomo ma sulle macchine - nel quale si pretende che la vita sociale abbia le stesse frenesie e accellerazioni del mercato finanziario - non può esserci quiete.
Da un punto di vista psico-sociale, potremmo cioè dire che il capitalismo della quarta rivoluzione industriale sia adrenalinico, anfetaminico, permanentente indotto ad alterazione psico-emotiva.
Per combatterlo, dunque, occorrerebbe anche saper agire sul piano aggressivo e non solo attendere le mosse dell'avversario. Ma perché suddetto piano possa sussistere, occorre farsi promotori d'una ben delineata visione di società e di futuro.
Proprio come fanno i nostri nemici Schwab, Gates e compagnia.
Ma questa visione, al momento, fra noi non sussiste.
In un paio di No Paura Day - ovvero a Ferrara e Piacenza - ho avuto il piacere di condividere il palco col giovane filosofo Lorenzo Maria Pacini , il quale reca una tesi molto stimolante: la novità di quest'epoca, egli dice, non è rappresentata affatto dal Great Reset e dall'emergenza pandemica, giacché questi ultimi sono espressioni terminali d'un modello sistemico e ideologico ch'è in crisi irriversibile ormai da molti anni; il dato di radicale novità, invece, secondo Pacini è costituito da questo movimento contro l'emergenza permanente, assolutamente diverso da tutti gli altri movimenti del passato. Dunque, questa condizione oggettiva di nuova ontologia sociale, potrebbe e dovrebbe diventare soggettiva, ovvero tramutarsi in consapevolezza.
Effettivamente, stando dentro questo movimento appare chiaro ciò che a chi ne sta fuori risulta invece non leggibile: non soltanto questo movimento non ha nulla in comune con quelle mobilitazioni di massa del passato ch'erano qualificabili come "di sinistra", ma neppure c'entra alcunché con le più recenti espressioni fenomeniche del cosiddetto populismo.
Pur nella carenza enorme di analisi, di memoria storica e in definitiva di comprensione della politica, l'attuale movimento riesce a esprimere al contempo dei punti fermi di lucidità estrema. E questo accade, forse, anche in virtù delle succitate carenze; nel senso che la scarsa memoria storica implica anche autonomia dalle narrazioni di destra e sinistra e, dunque, maggiore capacità di cogliere i nodi problematici e strutturali di fondo.
Tre di questi nodi, sono tanto cruciali quanto ben impiantati nel general intellect del movimento attuale. Essi sono: a) il costituzionalismo democatico come paradigma istituzionale da difendere e ri-generare; b) la dimensione sovranazionale del dominio politico-economico e, quindi, la necessità di contrastare la governance globale o continentale; c) il fatto che il distanziamento sociale compometta non soltanto la materialità delle relazioni sociali, ma anche la dimensione sovrasensibile della sfera umana o, volendo, la sua dimensione spirituale.
Questi tratti distintivi devono dunque essere ribaditi, enunciati pubblicamente, resi dispositivo di soggettivazione.
Solo a partire da questa consapevolezza inerente all'essere una nuova umanità, potrà sorgere una visione del mondo e del futuro capace di offrire gioia di vivere, contrapposta alla distopia depressiva degli oligarchi di Davos.