Vaccini e dispositivo veritativo, autoritativo ed etico
di Adriano Scianca - 17/03/2021
Fonte: Il Primato Nazionale
Hanno probabilmente ragione quelli che, in queste ore, sostengono, dati alla mano, che su AstraZeneca si stia scatenando una tempesta di panico ingiustificato, che i casi di trombosi mortale post vaccino non sono superiori in percentuale a quelli della popolazione non vaccinata o della popolazione vaccinata con sieri diversi. E tuttavia, la vicenda suscita ugualmente delle riflessioni sul rapporto tra scienza, giornalismo, politica e opinione pubblica (del tutto a prescindere, sia chiaro, dallo scontro geopolitico che si staglia all’ombra di tutte queste questioni fra Inghilterra ed Europa/Germania, in cui, anche solo per una questione di igiene spirituale, sarebbe imperdonabile schierarsi con la prima). In particolare, sembrano esserci tre dispositivi retorici che appaiono ormai irrimediabilmente andati in crisi.
Vaccini e dispositivo veritativo
a) Il dispositivo veritativo. Ormai nessuno crede più alla verità. Capita, quando Roberto Burioni il 2 febbraio 2020 afferma, riguardo al Covid, che «in Italia in questo momento il rischio è zero», e lo fa dall’alto del suo ruolo di esperto autorevole per antonomasia, salvo poi passare tutti i mesi successivi a giocare il ruolo del vate della battaglia anti virus con altrettanta sicumera. Il cittadino comune smette semplicemente di credere a quello che gli viene detto. Anche dagli esperti, soprattutto dagli esperti. Ora, tornando ad AstraZeneca esistono, come dicevamo, ragionevoli argomenti per ritenere che l’allarme sia ingiustificato. E tuttavia l’immediatezza con cui è stato detto che «non c’è correlazione» tra le morti sospette e il vaccino non ha nulla di veramente scientifico. Il virologo e presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, ha per esempio dichiarato al Corriere della Sera che «è improbabile un nesso causale diretto tra vaccinazione e decessi». Il che è già molto diverso dal dire che il nesso sicuramente non c’è. Ha poi aggiunto che «bisognerà vedere se le donne morte in Germania avevano condizioni predisponenti la trombosi come l’ assunzione di pillola anticoncezionale». Quindi un possibile nesso, seppur in combinazione con altri farmaci, è ipotizzabile. I pazienti erano stati avvertiti di questo pericolo? E mentre Repubblica ci informa che si sta indagando anche sulla possibile «impurità delle fiale», in Germania il Paul Ehrlich Institut segnala «un notevole aumento di una forma speciale di trombosi venosa cerebrale molto rara (trombosi della vena sinusale) in connessione con una mancanza di piastrine (trombocitopenia) e sanguinamento» in concomitanza con le vaccinazioni di AstraZeneca.
Si tratta di 7 casi su 1,6 milioni di vaccinazioni per una patologia che colpisce di norma 2-5 casi su un milione di persone all’anno negli adulti. Tutto questo basta a bollare il vaccino AstraZeneca come veleno? Il fatto che ci sia una qualche vaga probabilità di un nesso causale tra vaccino e qualche sporadico caso di decesso giustifica la caccia al siero della morte? Assolutamente no. Ma resta il fatto che la certezza apodittica del «non c’è correlazione» sembra dovuta a motivazioni politiche, non scientifiche. Del resto molti commentatori hanno parlato in questi giorni della necessità di «evitare il panico» da parte dei media. Ma la funzione dei mezzi di informazione non è «evitare il panico», bensì dire le cose come stanno e mettere sul piatto tutte le ipotesi. Se l’informazione viene calibrata pensando all’effetto delle notizie che si stanno per dare, si corre il rischio concreto dell’autocensura.
Vaccini e dispositivo autoritativo
b) Il dispositivo autoritativo. Per anni si è imposta una narrazione secondo cui la Scienza, con la maiuscola, il sapere ponderato, la saggezza, la verità (vedi sopra), i dati, i numeri, le certezze solide, i discorsi basati di prove, fatti, argomenti ragionevoli stessero tutti da una parte. L’emotività, la propaganda, la falsità, le «fake news», l’antiscienza stavano invece da un’altra parte. Per farla ancora più breve, potremmo dire che per anni si è ritenuto che la scienza stesse a sinistra, quanto meno nella sua parte liberal, e l’antiscienza a destra, quanto meno nella sua parte sovranista. Il caso AstraZeneca crea però un cortocircuito totale, perché a sospendere il vaccino sono stati gli autorevolissimi stati europei, Germania in primis, sulla scorta di pareri ancor più autorevoli di istituti scientifici come quello citato. E poi c’è l’Aifa, cioè la più alta autorità italiana in fatto di farmaci. Lo stesso governo del perfettissimo Draghi non ha opposto che petizioni di principio allo stop. Tra i media accusati di aver diffuso il panico c’è poi persino Repubblica, rea di aver messo in pagina qualche titolo ad effetto giudicato poco responsabile. Un intero schema mentale manicheo va quindi in frantumi e improvvisamente scopriamo che logiche legate al consenso popolare, alla psicologia collettiva, o magari ai rapporti di forza geopolitici permeano anche il campo degli «autorevoli».
Vaccini e dispositivo etico
c) Il dispositivo etico. Appare chiarissimo come, in queste ore, l’uso malsano e cinico della paura, dell’isteria di massa, della tentazione del rischio zero si stia abbattendo contro chi, fino a ieri, ne ha fatto un uso spregiudicato. Abbiamo abolito il rischio e la decisione politica dal nostro orizzonte, ora però ci dovremmo fidare in massa di una decisione politica che imponga come ragionevole un possibile rischio legato al vaccino. Rischio, intendiamoci, che – anche qualora fosse dimostrato – sarebbe di gran lunga minore di quello di contrarre forme nocive di Covid. Il gioco varrebbe comunque la candela. Paragonare le due cose in questi termini, tuttavia, significa ragionare in modo astratto: nella sensibilità comune, il Covid è qualcosa che «gira», che per sfortuna può contagiarti e per sfortuna ancora maggiore può farlo in modo grave. Il vaccino, al contrario, è qualcosa di costruito dall’uomo al fine di prevenire un male, che viene somministrato a persone in perfetta salute da coscienziosi operatori sanitari. Nella psicologia comune, i rischi connessi all’uno e all’altro non potranno mai essere paragonati. E a poco serve la lezioncina di statistica o il ripasso di Hume sul post hoc che è diverso dal propter hoc (la successione temporale di due eventi non è un nesso causale). Anche qui, del resto, gli esperti che da ben prima del Covid intasavano il dibattito pubblico in nome dell’epistemocrazia hanno una grossa responsabilità.
Non si può, infatti, essere positivisti in attacco e popperiani in difesa, non si possono fare promesse salvifiche e infiorare la retorica scientifica di gergo messianico, per poi riscoprire la natura probabilistica, congetturale, fallibile del sapere solo quando le cose vanno male. Abbiamo disabituato la popolazione alle parole franche, alla possibilità del pericolo, alla decisione rischiosa, alla ricerca del bene comune, alla finitezza delle capacità umane, all’insicurezza congenita nell’esistenza dell’essere umano stesso. Abbiamo fatto del cittadino occidentale un essere spaventato e spaesato e fino a qualche tempo fa la cosa sembrava andare bene a tutti. Ora, di punto in bianco, pretendiamo dalle masse lucidità, coraggio, fermezza e amor fati. Troppo comodo.