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Vuoto e pieno

di Guido Dalla Casa - 15/02/2025

Vuoto e pieno

Fonte: Guido Dalla Casa

  Si sentono spesso, da parte di organi ufficiali di informazione, molte raccomandazioni di “ascoltare la Scienza”. Naturalmente le Autorità pensano a quella ufficiale, riconosciuta dal sistema e divulgata, anche perché di solito non ne conoscono altre. Quella che abbiamo chiamato “scienza ufficiale” è sostanzialmente la raccolta delle conoscenze che si inquadrano nel paradigma cartesiano-newtoniano, tuttora ritenuto da molti “la verità” malgrado sia stato falsificato più volte, come vedremo. Spesso i fatti che non si inquadrano in quel paradigma vengono semplicemente negati. In altre parole, viene chiamata “scienza” quella che considera reale soltanto la materia. Si sottintende la premessa che la Scienza abbia una sola voce “approvata e consolidata” e che quindi sia in grado di fornire “certezze”.

  E’ opportuno un breve excursus su come sono state inquadrate le conoscenze a partire dall’inizio della cosiddetta “scienza moderna”, per arrivare poi al concetto di “vuoto” dell’attuale fisica quantistica e alla “fine delle certezze”, che è anche il titolo di un libro di Ilya Prigogine, pubblicato in italiano nel 1997.

   La fase iniziale della fisica, più o meno ai tempi di Galileo e Newton, si è rivolta soprattutto alla meccanica. Il pensiero corrente della cultura occidentale è ancora oggi in gran parte ancorato alla visione del mondo che consegue dall’opera di Newton, sia per quanto riguarda i concetti di spazio e di tempo, sia perché viene attribuita a gran parte dei fenomeni una natura essenzialmente meccanica. Inoltre, alla base della scienza “ufficiale” sta il dogma che il mondo materiale è effettivamente ed oggettivamente esistente, in modo del tutto indipendente dal mondo mentale-psichico-spirituale: la premessa scontata è l’accettazione acritica del dualismo cartesiano.

   Nell’Ottocento si era ormai affermata la teoria atomica, dove gli atomi erano considerati indivisibili. Ma negli ultimi anni del secolo la scoperta della radioattività da parte di Becquerel rese gli atomi non più indivisibili. Nel modello di Rutherford l’atomo appariva come un sistema solare in miniatura, cioè era fatto di “palline” ancora più piccole degli atomi, ma la concezione di fondo restava ancora quella di Democrito: esistevano le particelle elementari e il vuoto, attraverso il quale si propagavano le forze che le tenevano unite, o le distanziavano. Questo è ancora oggi il concetto più diffuso di vuoto. In altre parole, la scienza è nata assumendo come premessa ovvia - quindi senza alcuna garanzia dal punto di vista del metodo scientifico - una particolare visione filosofica, che avrebbe dovuto essere considerata al massimo come un’ipotesi di lavoro: invece è stata forzatamente mantenuta fino ai giorni nostri.

  L’idea dominante era che il mondo fosse in sostanza comprensibile in via meccanica: il massimo del meccanicismo, derivato dalla concezione per cui l’Universo è come un gigantesco Orologio e tutte le sue parti dei “meccanismi” separabili in pezzi sempre più piccoli, è stato raggiunto alla fine dell’Ottocento, quando imperava inoltre la convinzione di “avvicinarsi sempre più alla verità”. Non veniva messo in dubbio il dualismo cartesiano, in base al quale si stava studiando qualcosa di vero, reale, esterno.

   Con la relatività speciale, enunciata da Einstein nel 1905, spazio e tempo perdono ogni connotazione assoluta, materia ed energia diventano la stessa cosa. L’unificazione energia-materia è stata accettata, ma ci sono voluti “gli episodi” di Hiroshima e Nagasaki per convincere le masse. Con la relatività generale, la gravità newtoniana diventa la curvatura dello spaziotempo, ma la divisione cartesiana fra mente e materia resta totale. C’è un osservatore che guarda un mondo materiale realmente esistente. Il paradigma non è più newtoniano, ma ancora ben saldamente cartesiano. Inoltre si continua a considerare ovvia l’impenetrabilità dei corpi (cioè il dualismo vuoto-pieno) e la logica “A non è non-A”. Si continua a dividere ogni problema, ogni cosa, ogni processo in parti, senza tener conto che qualunque suddivisione risente di qualche “pregiudizio” e non può essere neutrale e valida universalmente. Le entità non-quantificabili e non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.

   Forse il pensiero corrente ha accettato l’unificazione energia-materia, ma non è andato oltre. Sempre di entità fisiche si tratta. La mente è un’altra cosa: essa indaga dall’esterno il mondo fisico oggettivo. La mente è sempre soltanto umana: solo qualche “coraggioso” osa attribuirla anche ad esseri individuali dotati di sistema nervoso centrale, come gli altri mammiferi superiori. Siamo all’inizio del Novecento.

Mente e materia - Vuoto e pieno

  La rivoluzione più grande è iniziata nel 1927, quando Werner Heisenberg ha enunciato il suo principio di indeterminazione, che inizialmente riguardava la posizione e la quantità di moto di una particella: il principio è stato poi confermato da Bohr (con l’interpretazione di Copenhagen) e da tutti gli esperimenti successivi (disuguaglianza di Bell, esperimenti di Aspect). L’indeterminazione non è dovuta a limiti dei nostri strumenti o dei nostri sensi, ma alla natura stessa del mondo. Posizione e velocità non sono determinabili esattamente entrambe: se vogliamo definirne una, l’altra è completamente indeterminata, e tutto questo proviene da considerazioni matematiche, quindi accettate dal sistema: se il prodotto delle due indeterminazioni è sempre maggiore di una costante mai nulla (che contiene la costante di Planck), quando una delle due tende a zero (precisione assoluta), l’altra tende all’infinito (indeterminazione totale). Solo l’osservazione, cioè un fenomeno mentale, “sceglie” la grandezza da conoscere.  Ovunque, anche in tutte le grandezze delle espressioni matematiche, vi è un contenuto mentale. Il principio si applica ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioé vogliamo che l’indeterminazione del tempo sia nulla, la “particella” presenta una massa-energia totalmente indeterminata, il che significa che non è niente di definibile in alcun modo. Non si può separare il fenomeno dall’osservazione, non esiste alcuna realtà oggettiva, esistono solo relazioni.

  Il dualismo mente-materia è scomparso: non si possono separare. Un ente ternario Mente-Energia-Materia si evolve continuamente: c’è una creazione continua.

  L’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) portò a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di vacuità creativa. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: “A” e “non-A” possono coesistere. Non c’è alcun “mattone fondamentale” della materia. Come sopra detto, se si assume un istante preciso (indeterminazione del tempo nulla), la cosiddetta particella non ha alcuna massa-energia definibile in alcun modo: l’indeterminazione della massa tende all’infinito. Quindi il concetto di “esistere” è privo di significato.  Il cosiddetto “vuoto” è “pieno” di miriadi di particelle che nascono e muoiono in continuazione, vivendo meno del tempo massimo loro concesso. Tutto si riconduce al vuoto quantistico, cioè a una meravigliosa danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il vuoto quantistico assomiglia straordinariamente alla sunyata del Buddhismo, come ha più volte fatto notare il fisico italiano Rovelli, dopo aver letto i testi di Nagarjuna (2° secolo d.C.).

Il principio del terzo escluso (il Tertium non datur) è sparito.

  Tertium datur: qualcosa può anche esistere/non esistere contemporaneamente. Tutto si risolve nel vuoto quantistico, che è vuoto/pieno, una Vacuità creativa: così se ne va allegramente la visione atomistica di Democrito e dell’Occidente.

Prevedibilità - Complessità  

  Nella seconda metà del Novecento lo studio della Dinamica dei Sistemi portò a formulare le idee di sistema complesso e di essere collettivo. Un sistema che abbia un certo grado di complessità si evolve in modo da divenire completamente imprevedibile, anche in linea di principio: infatti si trova ben presto in qualche biforcazione-instabilità, o entra in uno stato caotico. La sua evoluzione non è prevedibile neanche in termini probabilistici. Nei punti di biforcazione il sistema sceglie di prendere una o un’altra via, in modo non determinabile da nessuna legge inerente al mondo energetico-materiale. Gli scienziati meccanicisti dicono che la via viene presa “a caso”, ma non sappiamo cosa questo significhi, né abbiamo alcun motivo per dire che si tratta di una scelta solo se il sistema in esame è il cervello umano. In altre parole, nei sistemi complessi si ha l’emergenza di fenomeni mentali. Anche secondo lo scienziato-filosofo inglese Gregory Bateson la mente sorge come conseguenza di un certo livello di complessità del sistema.

  Predestinazione o libero arbitrio? Ancora una volta: Tertium datur. C’è un pizzico di libero arbitrio in ogni entità, in ogni processo. I sistemi complessi incontrano sempre una biforcazione, o entrano in uno stato caotico, imprevedibile anche in linea teorica.

Non-località

  Ho visto espressioni matematiche che avevano al denominatore una differenza di frequenze, quindi, se le due frequenze tendono ad essere uguali, la frazione tende all’infinito, indipendentemente dalla distanza, che può essere grandissima: ne nascono fenomeni non-locali. Forse le vibrazioni e le frequenze sono più importanti delle forze abituali della fisica “ottocentesca”, le distanze non contano…

  E l’entanglement? Le “particelle” che sono state in contatto anche una sola volta, resteranno collegate a qualunque distanza verranno a trovarsi…e istantaneamente, a una velocità che tende all’infinito.

Il vuoto quantistico e il concetto di esistenza

   Come accennato, fra le coppie di grandezze soggette al principio di indeterminazione c’è la coppia energia-tempo che, per la nota relazione relativistica (E=mc2), si può interpretare come coppia massa-tempo. Cioè il prodotto delle indeterminazioni dell’energia e del tempo è maggiore di una quantità costante e calcolabile. Da un punto di vista concettuale non ha alcuna importanza che tale quantità sia molto piccola.

   Con tempi molto precisi, l’indeterminazione di E (o m) è molto grande, cioè ad esempio dell’ordine della massa di una data particella. Quindi non ha alcun senso dire che una particella “esiste” o “non esiste” al di sotto di una certa durata di tempo. Se si assume un istante preciso (indeterminazione del tempo nulla), la cosiddetta particella non ha alcuna massa-energia definibile in alcun modo: l’indeterminazione della massa tende all’infinito. Quindi il concetto di “esistere” perde significato.

  Ciò vuol dire che il cosiddetto “vuoto” è “pieno” di miriadi di particelle che nascono e muoiono in continuazione, vivendo meno del tempo massimo loro concesso.

   Qualunque fenomeno avvenga nel vuoto quantistico, è possibile “prendere a prestito” energia dal vuoto purché il prestito abbia durata breve: tanto più è grande l’energia (o la massa) temporaneamente “nata dal nulla”, tanto più è piccola la durata del prestito e urgente la sua “restituzione” al vuoto. Così è pure possibile “far sparire” nel vuoto una massa-energia pur di farla ricomparire prima della scadenza del tempo assegnato, dovuto all’indeterminazione del tempo.

   Questo significa che non è possibile definire lo stato di qualcosa in un tempo “fermo” o vedere il mondo come una successione di “stati”, ma che ha senso solo la variazione: si tratta di un passaggio dall’essere al divenire. Il mondo non ha “esistenza” in un determinato “istante”. In sostanza l’impossibilità di ragionare “per opposti” si estende anche alla contrapposizione esistenza/non-esistenza.

La fine delle teorie realistiche locali

         Vi sono alcune ipotesi che vengono considerate “evidenti” non solo dalla scienza classica, ma anche dalla fisica relativistica prequantistica; esse sono:

- che un esperimento sia esattamente riproducibile, almeno su un piano ideale, cioè che il risultato consegua in modo univoco dalle condizioni “oggettive” dell’esperimento;

- che esista una realtà oggettiva “esterna”, che noi andiamo via via scoprendo;

- che non vi possano essere influenze istantanee a distanza, cioè che nessun “segnale” possa superare la velocità della luce (relatività).

  Le teorie che si basano su queste ipotesi sono dette “teorie realistiche locali”. Tutta la scienza le considerava “acquisite”, almeno fino a tempi piuttosto recenti.

  Invece, secondo il pensiero “quantistico” attuale:

- la ripetibilità viene meno, dato che la “mente” di cui è imbevuto ogni esperimento può modificarne il risultato; in altre parole, si manifestano “scelte”, che secondo i materialisti sono “casuali”;

- la realtà oggettiva esterna ha perso significato;

- le particelle-onde che si separano da un unico punto restano indissolubilmente legate, dato che l’“osservazione” anche di una sola di esse influenza istantaneamente il comportamento delle altre, a qualunque distanza si trovino (entanglement).

  Questo porta alla considerazione che nulla è separabile nell’Universo e qualunque processo (o “oggetto”) ha influenza su qualunque altro, a qualsiasi distanza spaziotemporale si trovi.

   Qualunque ente o processo ha il suo grado di libertà. Il mondo è creativo, imprevedibile, indeterminato, come Wakan Tanka, il Grande Spirito.

   La concezione che tutta la Natura è anche Mente, che richiama le idee panteiste-animiste di tante culture umane, è incompatibile con l’attuale civiltà industriale, che richiede la manipolazione di una materia inerte che non c’è più.

   E’ chiaro che dobbiamo abituarci all’idea di processi, che qualche volta vanno in un modo, qualche volta in modo molto diverso, anche con le stesse identiche premesse e predisposizioni. L’emergenza di fenomeni mentali nell’evoluzione di un sistema fa cadere il feticcio della riproducibilità: il sistema complesso, anche con tutte le premesse e le predisposizioni energetiche-materiali identiche, ha in generale andamenti diversi caso per caso.  Il concetto di “condizioni rigidamente controllate” perde ogni significato.

   Un esempio tipico di sistema complesso è l’atmosfera terrestre: infatti i fenomeni atmosferici sono totalmente imprevedibili, anche solo in linea di principio, dopo tempi molto limitati, a causa del cosiddetto effetto-farfalla, che corrisponde alla “scelta” del sistema in una biforcazione-instabilità.

Conclusioni

  La scienza che viene divulgata è quella adatta per salvare le premesse dell’Occidente, o dell’attuale civiltà industriale: separazioni io-mondo, mente-materia, uomo-animali, elogio della competizione, teorie “realistiche” e “locali”. Tutto il resto viene ignorato o addirittura deriso: un secolo è passato invano.    

  In un mondo dove sappiamo di essere animali, anche facilmente classificabili, dove incontriamo quotidianamente sincronicità junghiane, cioè coincidenze significative senza rapporti di causa-effetto, dove regna anche l’ordine implicato (Bohm), dove le manifestazioni dei campi morfici e della Mente Estesa sono frequenti (Sheldrake), dove i fenomeni non-locali sono pure frequenti e l’indeterminazione è ovunque (Heisenberg e Bohr) si continua ad andare avanti come se l’universale fosse una grande macchina, tuttal’più con l’optional del Grande Ingegnere. Continuiamo a usare ragionamenti lineari di causa-effetto in Sistemi ad altissimo grado di complessità, tutto per conservare le premesse che tengono in piedi la civiltà industriale, che distrugge la Vita e non è neppure tanto entusiasmante dal punto di vista soltanto umano.                                    

I “superdivulgatori” televisivi devono essere meccanicisti: così il sistema si difende. E trattiamo come “cose” gli altri esseri senzienti, che sappiamo essere soggetti come noi alle emozioni, ai sentimenti e alla sofferenza. Ma il Complesso dei Viventi, Il Grande Inconscio, la Terra, è molto più grande di tutti noi, anche se abbiamo superato il folle numero di otto miliardi di individui. Molte cose si sapevano già, ma in altre culture umane: la superbia e la cecità dell’Occidente ci hanno impedito di conoscerle prima. Tutto per salvare il nostro mondo e le sue premesse (antropocentrismo e materialismo), anche sacrificando il metodo scientifico, che se va appena si parla di “sapere consolidato” e di “teorie universalmente accettate”.