Washington ritorna al linguaggio della guerra come ai tempi dell’Iraq (2003)
di Luciano Lago - 13/04/2017
Fonte: controinformazione
La implacabile logica della guerra è tornata ad essere prevalente nelle decisioni dei responsabili del Governo di Washington: tra i pronunciamenti di “ultimatum” alla Russia da parte del segretario di Stato USA , Rex Tillerson, e le invettive di Donald Trump contro Assad, definito “animale” dal Presidente statunitense, si possono facilmente riscontrare molte similitudini tra la fase attuale ed il clima prebellico che aveva preceduto l’inizio dell’invasione dell’Iraq nel Marzo del 2003. Tutto lascia intendere che gli USA sono tornati agli stessi discorsi ed alle stesse avvertenze minacciose che precedettero la guerra anglo USA contro l’Iraq ed il bagno di sangue (1, 2 milioni di morti), di rovine e di caos che produsse quel conflitto.
La scorsa Domenica il senatore repubblicano Lindsey Graham ha richiesto l’invio di “cinquemila o seimila effettivi di truppe USA in Siria, oltre all’inasprimento delle sanzioni economiche contro la Russia” ed ha affermato inoltre che “Assad ha commesso un gravissimo errore perchè, se uno è un avversario degli USA e non sta preoccupato per quello che può fare Trump in un giorno determinato, deve essere un pazzo”.
Tanto i democratici come i repubblicani sono stati parte del coro di richiami all’azione contro il Governo russo. “Sono complici”, ha dichiarato il senatore repubblicano Marco Rubio ed ha aggiunto,”Vladimir Putin è un criminale di guerra che sta aiutando un’altro criminale di guerra”. Il suo collega democratico Ben Cardin, ha dichiarato che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dovrebbe costituire un “Tribunale per i crimini di guerra” per giudicare Assad ed il presidente russo, Vladimir Putin. Vedi: ‘Putin is a war criminal who is assisting another war criminal’
Questo è il classico linguaggio della guerra. Chiamare un presidente di un’altra nazione “criminale di guerra” è il preludio tradizionale che precede una azione militare.
Gli USA non sono soli nelle loro smaccate provocazioni ma sono accompagnati da alcuni dei loro più stretti alleati, in particolare dalla Gran Bretagna che si accoda come sempre ad ogni iniziativa bellica di Washington adottando lo stesso linguaggio ed anzi assumendo il ruolo di “primo della classe” nel lanciare accuse e provocazioni. Infatti il ministro degli esteri britannico, Boris Johnson, ha annullato la sua visita prevista a Mosca negli stessi giorni per sottolineare la posizione ostile di Londra verso l’attteggiamento russo di sostegno al Governo di Damasco.
Nel corso della riunione dei ministri degli esteri del G7 che si è svolta a Lucca, in Toscana, il segretario USA Rex Tillerson, si è fatto promotore dell’invio di un “ultimatum” diretto a Mosca finalizzato a che la Russia ritiri le sue truppe dalla Siria e termini con il suo appoggio al Governo di Bashar al-Assad. Nella stessa riunione, il segretario USA Tillerson ha dato incarico al ministro degli esteri Alfano, di estendere l’invito a partecipare anche ai paesi del fronte sunnita/ salafita, ovvero i ministri degli Esteri di Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati Arabi per rafforzare il fronte dei paesi che vogliono contenere Russia e Iran nel loro sostegno incondizionato a Bashar al-Assad. Sono guarda caso gli stessi paesi che hanno sponsorizzato, finanziato e reclutato i gruppi terroristi jihadisti infiltrati in Siria per rovesciare il Governo e instaurare un califfato islamico. Questo però è un dettaglio che non sembra interessare i partecipanti al convegno. Una Siria suddivisa in più entità, una delle quali affidata come “protettorato” all’Arabia Saudita, risulta da tempo nei progetti dell’Amministrazione USA e fortemente caldeggiata da Israele. Questo sarebbe quello che nella riunione i diplomatici occidentali hanno definito un “percorso per sostituire Assad”.
Washington non ha cambiato la sua strategia, dopo la battuta d’arresto subita per il successo dell’intervento russo-iraniano in Siria, piuttosto con il cambio di Amministrazione da Obama a Trump, appare più determinato ad un intervento militare diretto in Siria per riprendere il vecchio progetto delle enclave separate nel nord est e nel sud della Siria. Questo spiega l’attacco effettuato con i missili tomahawk contro la base aerea di Shayrat, dopo la provocazione prefabbricata del presunto bombardamento chimico, un pretesto appositamente predisposto dai ribelli di Al Nusra, con la fattiva collaborazione della Turchia, per un attacco che era pianificato dal Pentagono già in precedenza.
A confermna di questo, nella giornata odierna stanno affluendo nel nord della Siria altre truppe e mezzi blindati USA in vista di un posizionamento per l’offensiva verso Raqqa e l’eventuale rinforzo del contingente delle “US. special forces” già presenti nel paese.
I commenti all’interno degli USA non sono però tutti favorevoli alle iniziative belliciste ed alla volubile politica di Trump, il quale solo pochi giorni prima aveva dichiarato non prioritario l’allontanamento di Assad, salvo poi cambiare a 180 gradi e ritornare sul vecchio refrain del “Assad must go”, fra gli applausi e l’approvazione della Hillary Clinton di John MacCain e degli ambienti neocons.
Il senatore Rand Paul, fra gli altri, aveva aspramente criticato l’azione del presidente ed aveva sostenuto per primo che sentiva un forte puzzo di “false flag”nella vicenda del bombardamento chimico. Vedi: Ron Paul: ‘Zero chance’ Assad is behind the ‘false flag’ chemical attack in Syria
Il professore della George Town University, Colin Kahl, ha scritto Domenica sul Washington Post circa le “pericolose conseguenze” a cui potrebbe portare l’escalation di accuse e di utimatum da parte dell’Amministrazione USA e la possibile azione militare diretta a creare le zone enclave di esclusione aerea in Siria. Secondo Kahl, “le possibilità di uno conflitto militare con la Russia sono reali”.
Tuttavia questo è precisamente il percorso che sta prendendo l’Amministrazione Trump, spalleggiata dall’elite di potere negli USA e dal sostegno acritico ed incondizionato degli alleati europei. L’esperienza dei disastri procurati dalle guerre americane in Medio Oriente e delle nefaste conseguenze avutesi in termini di destabilizzazione, caos, terrorismo e migrazioni di massa, sembra che non abbia insegnato niente ai plenipotenziari europei.
D’altra parte, dopo l’attacco unilaterale USA alla Siria, tutto il fronte neo cons di Washington si è dimostrato “entusiasta” della svolta attuata dal presidente, dimenticandosi delle aspre critiche che lo avevano accompagnato dopo la sua elezione. Il senatore repubblicano Tom Cotton, ha dichiarato che “gli attacchi in Siria hanno ottenuto un grande progresso nel ristabilire la nostra credibilità (degli USA) davanti al mondo”. Cotton ha indicato: “in una sola notte, il presidente Trump ha cambiato le carte in tavola. Lui ha dimostrato al mondo che quando gli USA lanciano un avvertimento, fanno valere le loro parole con le azioni…Già la nostra credibilità è stata ripristinata, gli USA possono tornare all’offensiva intorno al mondo”.
Una dichiarazione che dimostra in pieno il clima bellicoso dell’establishment di Washington.
Tanto più aumentano i rischi di guerra con le ultime notizie, visto che nella giornata di oggi, mercoledì 12 Aprile, Mosca ha respinto l’ultimatum di cui era latore Tillerson nel suo viaggio a Mosca ed il Ministero degli Esteri russo ha convocato per il prossimo Venerdì (entro le 48 ore) i ministri degli esteri della Repubblica Iraniana e della Siria per discutere della situazione e, molto probabilmente, per articolare un piano di difesa mutuo in caso di un attacco USA.
Gli osservatori danno per sicuro che le basi aeree iraniane saranno messe a disposizione della aviazione strategica russa, come già accaduto nei mesi scorsi, per consentire un migliore posizionamento strategico delle forze russe. Questo significa che un eventuale attacco USA contro la Siria, per essere efficace, dovrebbe coinvolgere le basi iraniane dove sono posizionate le forze aeree russe che intervengono in Siria.
L’Iran si trova saldamente al fianco della Siria e della Russia e le autorità di Teheran sono ben consapevoli di essere l’obiettivo finale di un conflitto che verrebbe iniziato contro la Siria ma sarebbe finalizzato ad estendersi contro l’Iran, a neutralizzare Hezbollah in Libano ed a fermare l’espansione dell’influenza iraniana/sciita nella regione.USA ed Israele appoggiano il piano della Monarchia Saudita di frenare l’espansione iraniana e neutralizzare quella che considerano (in accordo con Israele) la principale minaccia nella regione.
Lo aveva anticipato qualche settimana prima il Segretario alla Difesa USA, James Mattis, il quale aveva diretto l’esercitazione militare realizzata dalle unità aeronavali nel Golfo Persico, con la partecipazione di USA, Gran Bretagna, Francia e Australia. Ad una domanda circa quali fossero le più gravi minacce alla sicurezza per gli Stati Uniti, lui aveva risposto: “sono l’Iran, l’Iran e l’Iran“.
A questa dichiarazione non era stata data molta importanza dai media ma ritorna oggi di stretta attualità per capire quali siano le intenzioni ed i piani a medio termine dell’Amministrazione Trump.
Forze speciali russe in Siria
N.B. Ultimo aggiornamento: La Russia invia proprie truppe ed attrezzature di difesa a rinforzo nella base aerea vicino Damasco, Al- Dumayr , dove si trova alloggiata la 67a squadra di cacciabombardieri dell’Aviazione siriana, con i suoi Sukoy Su-22M 3, Mig-23ML, una base di grande importanza strategica che viene utilizzata nelle offensive antiterroriste della regione . I russi hanno aumentato il numero di batterie antimissile ed hanno fortificato la base con lo scopo di proteggerla da eventuali attacchi USA. La presenza di forze russe nella base è un chiaro segnale per gli USA che qualsiasi azione offensiva contro Damasco coinvolgerebbe la Russia.