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Moderni conformismi

di Cornelius Castoriadis - 02/04/2007

Nel decennale della morte un testo inedito del filosofo greco-francese

È una riflessione sul ruolo che riveste la cultura "per tutti" nella società odierna
L´autore è stato uno dei più importanti studiosi e critici delle ideologie del nostro tempo
Nella creazione culturale si stanno avverando le profezie più pessimistiche
Ciò che accade è in stretto rapporto con l´inerzia e la passività sociale
L´arte moderna è democratica anche se non corrisponde al gusto popolare


Da "Lettera Internazionale" in uscita in questi giorni anticipiamo una parte del saggio di , scomparso nel 1997
Che cosa c´è di più immediato, per coloro che ritengono di vivere in una società democratica, dell´interrogarsi sul ruolo che la cultura riveste nella società in cui vivono; tanto più che assistiamo con ogni evidenza a una diffusione senza precedenti di ciò che chiamiamo cultura e, contemporaneamente, all´intensificarsi delle istanze e delle critiche su ciò che viene diffuso e sulle modalità della sua diffusione?
C´è un modo di rispondere a questo interrogativo che è, in realtà, un modo per eluderlo. Da più di due secoli, si afferma che la specificità del ruolo della cultura in una società democratica - al contrario di quanto succedeva nelle società non democratiche - risiede nel fatto che la cultura è per tutti e non per questa o quella élite. Questo "per tutti", a sua volta, può essere inteso in un senso puramente quantitativo: la cultura di volta in volta esistente deve essere messa a disposizione di tutti, non solo "giuridicamente" (cosa che non succedeva, per esempio, nell´Egitto dei faraoni), ma anche sociologicamente, nel senso della sua effettiva accessibilità - cosa alla quale dovrebbero servire oggi sia l´istruzione universale, gratuita e obbligatoria, sia i musei, i concerti pubblici, e così via.(...)
Prendiamo in considerazione la fase propriamente moderna del mondo occidentale, a partire dalle grandi rivoluzioni della fine del XVIII secolo, democratiche e di fatto decristianizzatrici, fino a circa il 1950, data approssimativa a partire dalla quale mi pare sia nata una situazione nuova. Qual è il campo di significazioni che sottendono alla straordinaria creazione culturale che ha luogo nel corso di questo secolo e mezzo?
Dal punto di vista del creatore, possiamo probabilmente parlare di un sentimento intenso di libertà e di una ebbrezza lucida che lo accompagna. Ebbrezza dell´esplorazione di forme nuove, della libertà di crearle. Queste forme nuove sono ormai esplicitamente ricercate per se stesse, non sorgono per sovrappiù come in tutti i periodi precedenti. Ma questa libertà resta legata a un oggetto; essa è ricerca e instaurazione di un senso nella forma, o meglio, ricerca esplicita di una forma portatrice di un senso nuovo.
Certo, c´è anche un ritorno del kleos e del kudos antichi - della gloria e della rinomanza. Ma Proust lo ha già detto: l´atto stesso ci modifica così profondamente che finiamo per non attribuire più tanta importanza agli impulsi che lo hanno generato, come l´artista «che si è messo al lavoro per la gloria e nello stesso tempo si è distaccato dal desiderio della gloria».
Qui, l´attualizzazione della libertà è la libertà di creazione di norme, creazione esemplare (come dice Kant nella Critica del giudizio) e, per questo, destinata a durare. È il caso per eccellenza dell´arte moderna, che esplora e crea delle forme nel vero senso della parola. Con ciò, anche se è accettato con difficoltà dai suoi destinatari, e anche se non corrisponde al "gusto popolare", essa è democratica, cioè liberatrice. Ed è democratica anche quando i suoi rappresentanti sono politicamente reazionari, come lo sono stati Chateaubriand, Balzac, Dostoevskij, Degas e tanti altri. (...)
Il pubblico, dal canto suo, partecipa "per procura", per il tramite dell´artista, a questa libertà. Soprattutto, è preso dal senso nuovo dell´opera - e questo solo perché, nonostante le inerzie, i ritardi, le resistenze e le reazioni, è un pubblico esso stesso creatore. La recezione di una nuova grande opera non è mai, e mai può essere, semplice accettazione passiva, ma è sempre anche ri-creazione. E le società occidentali, dalla fine del XVIII secolo fino alla metà del XX, sono state società autenticamente creatrici. In altre parole, la libertà del creatore e suoi prodotti sono, di per sé, socialmente investiti.
Siamo ancora in questa situazione? Domanda rischiosa, pericolosa, alla quale tuttavia non cercherò di sottrarmi.
Penso che, nonostante le apparenze, la rottura della chiusura di senso instaurata dai grandi movimenti democratici rischi l´oscuramento. Sul piano del funzionamento sociale reale, il "potere del popolo" serve da paravento al potere del denaro, della tecnoscienza, della burocrazia dei partiti e dello Stato, dei media. Sul piano degli individui si va affermando una nuova chiusura, che assume la forma di conformismo generalizzato.
Ritengo che stiamo vivendo la fase più conformista della storia moderna. Si dice che ogni individuo è "libero", ma di fatto ognuno riceve passivamente il solo senso che l´istituzione e il campo sociale gli propongono e gli impongono: il tele-consumo, fatto di consumo, di televisione, di consumo simulato attraverso la televisione.
Mi soffermerò brevemente sul "piacere" del tele-consumatore contemporaneo. Al contrario di quello dello spettatore, uditore o lettore di un´opera d´arte, questo piacere comporta una sublimazione minima: è soddisfazione surrogata delle pulsioni attraverso un atto di voyeurismo, è un "piacere fisico" bidimensionale, accompagnato a un massimo di passività. Che ciò che la televisione presenta sia di per sé «bello» o «brutto», esso è recepito passivamente, nell´inerzia e nel conformismo.
Si è proclamato il trionfo della democrazia come trionfo dell´individualismo. Ma questo individualismo non è e non può essere forma vuota in cui gli individui "fanno ciò che vogliono" - non più di quanto la "democrazia" possa essere semplicemente procedurale. Le "procedure democratiche" sono di volta in volta intrise del carattere oligarchico della struttura sociale contemporanea - così come la forma "individualistica" è intrisa dell´immaginario sociale dominante, immaginario capitalistico della crescita illimitata della produzione e del consumo.
Sul piano della creazione culturale, dove di certo i giudizi sono più incerti e più contestabili, è impossibile sottovalutare l´aumento dell´eclettismo, del collage, del sincretismo invertebrato, e, soprattutto, non vedere la perdita dell´oggetto e di senso, che va di pari passo con l´abbandono della ricerca della forma, forma che è sempre molto più che forma, perché, come diceva Hugo, essa è il fondo che sale in superficie.
Si stanno avverando le profezie più pessimistiche - da Tocqueville e dalla "mediocrità" dell´individuo "democratico", passando per Nietzsche e il nichilismo, arrivando fino a Spengler, a Heidegger e oltre. Profezie teorizzate nel postmoderno con autocompiacimento arrogante e stupido.
Se queste constatazioni sono, anche solo parzialmente, esatte, la cultura in una società "democratica" corre grandi rischi - di certo non per quanto attiene alla sua forma erudita, museale o turistica, ma per quanto riguarda la sua essenza creatrice.
L´evoluzione attuale della cultura non è senza rapporto con l´inerzia e la passività sociale e politica che caratterizzano il nostro mondo, ma la rinascita della sua vitalità, se deve avvenire, sarà indissociabile da un nuovo grande movimento sociale-storico che riattiverà la democrazia e le darà di volta in volta la forma e i contenuti che il progetto di autonomia esige.
Siamo turbati dall´impossibilità d´immaginare concretamente il contenuto di una tale creazione - mentre è proprio questo il bello di ogni creazione. Clistene e i suoi compagni non potevano né dovevano "prevedere" la tragedia e il Partenone - non più di quanto i membri della Costituente o i Padri Fondatori non avrebbero potuto immaginare Stendhal, Balzac, Flaubert, Rimbaud, Manet, Proust o Poe, Melville, Whitman e Faulkner.
La filosofia ci mostra che sarebbe assurdo credere di avere ormai esaurito il pensabile, il fattibile, il formabile, così come sarebbe assurdo porre limiti alla potenza della formazione che sempre risiede nell´immaginazione psichica e nell´immaginario collettivo sociale-storico. Ma la stessa filosofia non ci invita a constatare che l´umanità ha attraversato periodi di cedimento e di letargia, tanto più insidiosi quanto più sono stati accompagnati da ciò che chiamiamo "benessere materiale". Ammesso che coloro che hanno un rapporto diretto e attivo con la cultura possano contribuire a far sì che questa fase di letargia sia quanto più possibile breve, ciò sarà possibile solo se il loro lavoro resterà fedele ai princìpi di libertà e di responsabilità.

Traduzione di
Rossana Simonetti
© per l´edizione italiana,
"Lettera Internazionale"