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Effetto serra, il conto salato che l´Africa pagherà per colpa nostra

di Pietro Greco - 10/04/2007

 


Il conto dei cambiamenti climatici è «già» arrivato. Ed è «già» piuttosto salato. Nell'Oceano Artico le temperature stanno salendo più velocemente del previsto e più rapidamente si stanno fondendo i ghiacci. Molte specie viventi in tutto il mondo stanno migrando e molte altre stanno già sparendo sia nei mari che sulla terraferma. Molte coste si stanno già erodendo e molti regimi meteorologici stanno già mutando. I deserti stanno già avanzando. Il permafrost si sta già sciogliendo. Nel contempo, la frequenza degli uragani più estremi è già aumentata.

È proprio in questo avverbio, «già», che è contenuto la gran parte del succo del nuovo studio reso pubblico ieri a Bruxelles, dove il Gruppo di Lavoro II dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che ha approvato, non senza fatica, la seconda parte del Quarto Rapporto sui Cambiamenti Climatici. Una parte che per ora ha la forma di un sommario di 21 pagine destinato ai politici, ma che è destinato a regime a riempire un intero volume, ed è relativa appunto a «Impacts, Adaptation and Vulnerabilità»: impatti, adattamento e vulnerabilità degli ecosistemi sottoposti ai cambiamenti del clima. Come ha detto Martin Parry, co-presidente del Gruppo di Lavoro II, «per la prima volta non stiamo parlando solo di scenari elaborati al computer, ma di dati empirici reali». Non stiamo parlando di un ipotetico futuro, ma di un presente reale. Di ciò che, appunto, sta «già» accadendo o è «già» avvenuto.

Il Gruppo di Lavoro II fa riferimento per esempio a ben 75 diversi studi che hanno raccolto complessivamente 29.000 serie di dati empirici, l'89% dei quali risulta del tutto congruente con l'accelerazione del cambiamento climatico in atto. Sono proprio questi dati empirici, questa verifica della realtà, che rende molto più credibile le previsioni proposte ieri a Bruxelles sulla base di modelli di simulazione. Cosa accadrà dunque nei prossimi anni? Prima di ridare la parola agli scienziati del Gruppo di Lavoro II conviene ricordare brevemente quanto hanno annunciato, all'inizio dello scorso mese di febbraio, gli scienziati del Gruppo di Lavoro I quando hanno approvato la prima parte del Quarto Rapporto sui Cambiamenti del Clima dell'Ipcc, «The Physical Science Basis», la parte relativa appunto alle basi fisiche dei cambiamenti del clima. Le novità per così dire strutturali dei cambiamenti del clima sono due. In primo luogo, la temperatura media al suolo del pianeta è già salita, nell'ultimo secolo, di 0,72 gradi e il livello dei mari è già aumentato di una ventina di centimetri. Entro la fine del secolo, la temperatura continuerà a salire per un valore compreso probabilmente tra 1,8 e 4 °C e il livello dei mari di una quantità compresa tra 20 e 40 centimetri. In secondo luogo, causa di questo incremento di temperatura (con conseguente aumento del livello dei mari) sono, con una probabilità molto elevata (oltre il 90%), le attività umane, in particolare l'uso dei combustibili fossili e poi la deforestazione.

Questi cambiamenti delle condizioni strutturali del clima, come abbiamo detto, stanno già producendo degli effetti misurabili di diversa natura sugli ecosistemi di tutto il mondo. Ma sono destinati a produrne di altri (vedi schede). Avremo un incremento dei fenomeni di erosione delle coste e di avanzamento dei deserti. Nel medesimo tempo aumenterà in molte regioni del mondo la penuria di acqua e di cibo - entro la fine del secolo da 1 a 3 miliardi di persone potrebbero soffrire per la penuria di acqua potabile, e 600 milioni di persone potrebbero soffierie la fame (ovviamente in aggiunta agli assetati e agli affamati dei nostri gironi). Entro il 2080 potrebbero esserci 60 milioni di persone costrette ogni anno ad abbandonare le loro case a causa dei cambiamenti climatici.

Certo, saranno i più poveri tra i poveri del mondo a subire le conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici, come ha notato Rajendra Pachauri, il presidente dell'Ipcc. Anche se i ricchi non potranno dormire tra due guanciali.

Ma non tutto è già scritto. L'altro messaggio forte che l'Ipcc nonostante tutto ha lanciato ieri è che questi scenari possono essere modificati. Che possiamo mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sia attraverso azioni di prevenzione (come, lo dirà in dettaglio nei prossimi mesi un rapporto del Gruppo di Lavoro III), sia attraverso azioni di adattamento. Ma prevenire per chi non ha le tecnologie e adattarsi per tutti costa. L'Africa, per esempio, dovrebbe impegnare dal 5 al 10% della proprio prodotto interno lordo per opere di adattamento. Un'enormità, che non è nelle sue disponibilità. Di qui la domanda (nostra, non dell'Ipcc): visto che il clima è globale e che l'Africa pagherà per azioni compiute da noi, non sarebbe giusto socializzare i costi necessari ad adattarsi ai cambiamenti del clima? Non potremmo, non dovremmo adottare l'Africa e tutti i più poveri tra i poveri del mondo cui un cameriere sbadato e ingiusto sta «già» portando il conto più salato dei cambiamenti del clima?

Il rapporto del Gruppo di Lavoro II è stato approvato ieri nonostante troppe interferenze politiche. Molti paesi e troppi scienziati hanno tentato di addolcire l'analisi rigorosa approvata dal gruppo. Questi paesi, narrano le cronache, sono stati soprattutto l'Arabia Saudita, gli Stati Uniti, la Cina. Inquinatori potenti, di vecchia data ed emergenti. Proprio l'azione frenante della Cina (secondo paese inquinatore), oltre alla reiterazione dell'azione frenante degli Usa (primo paese inquinatore), getta un'ombra sulla possibilità di andare rapidamente «oltre Kyoto» e costruire un futuro climatico più desiderabile.