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La Somalia è come l'Iraq: a Mogadiscio, mille morti sul campo

di Domenico Quirico - 11/04/2007

 
Un''immagine che ritrae alcuni cadaveri lungo le strade di Mogadiscio
Il bilancio degli scontri con gli etiopi secondo le milizie tribali: Somalia come l'Iraq
 

Eccolo realizzato l'Iraq africano, la replica nazionaltribalfondamentalistica confezionata in Somalia dai madornali fraintendimenti americani (ma non solo, anche gli europei hanno le loro colpe) e dei loro troppo solerti alleati locali; ovvero l'intrattabile Etiopia sfrenatamente ossessionata dalla marea musulmana e abituata a trattare con i vicini in stile primo capitolo della Genesi. Le similitudini sono sconfortanti, annichiliscono. Le cifre del carnaio innanzitutto, quantificate con precisione burocratica dai capi tribali degli Hawiye, la «kabila», il clan che da sempre controlla o pretende di controllare la capitale e che ora guida la guerra santa e patriottica. Affiancati dai fondamentalisti sfuggiti con dovizia ai rastrellamenti degli etiopici, impegnati in una loro strumentale guerra al terrorismo. Allora: 1086 morti nella guerra urbana divampata da fine marzo, e 4334 feriti. Persino i danni hanno quantificato le squadre di ispezione spedite dai capiclan nei quartieri ribelli dove ha fatto scempio la esasperata, e brutale, armata etiopica con elicotteri e carri armati: 1,14 miliardi di euro.

C'è in tutta questa luttuosa matematica un evidente margine di sopravalutazione a fini propagandistici, ma che i morti ammazzati siano migliaia in queste furibonde cinque giornate di Mogadiscio lo denuncia anche la Croce rossa. Che vi aggiunge oltre centoventimila profughi privi di tutto accampati nella regione dello Shebeli. Solite anime morte delle tragedie africane, come le centinaia di fuggiaschi che tentano di farsi trasbordare in Yemen e che affogano a decine nei barconi abbordati dalla unità yemenite. Il fatto che non aspirino all'Europa ha finora tolto alla loro tragedia persino l'onore della ipocrita indignazione.

Da quindici anni non si uccideva a Mogadiscio con tanto accanimento, tanta ferocia e tanta accurata determinazione. Da alcuni giorni i due avversari si preparanno a una nuova fiammata: gli insorti, ormai bisogna chiamarli così, stanno fortificando i loro santuari: si scavano trincee sempre più fonde nelle strade attorno allo stadio nella zona sud e a nord all'hotel Ramadan. Mogadiscio torna a essere divisa da implacabili frontiere, si lottizza, diventa uno scacchiere di fortezze nemiche. Di notte i miliziani clanici e i loro alleati delle milizie islamiche si scontrano con le truppe etiopiche, brevi raid per migliorare le posizioni e saggiare l'avversario. Addis Abeba sta facendo affluire nuove reclute secondo lo schema classico del rialzo già visto a Baghdad, in cui i comunicati ribadiscono a raffica che «si lavora a eliminare le ultime sacche di resistenza nemiche». Che però continuano a sopravvivre all'offensiva finale.

Come per l'Iraq, la piaga somala sta ulcerando l'intera regione. Sharif Ahmed lo sceicco numero due delle Corti islamiche ha scelto Asmara dopo aver incontrato il suo alleato il discutibile presidente eritreo Isaias Afeworki per denunciare gli «invasori» della Somalia. Asmara aiuta gli islamici in odio all'Etiopia: ogni vittoria dei vicini è una battaglia perduta. Resta da vedere fino a che punto è disposta a spingersi per insabbiarli ancor più nella palude di Mogadiscio.

C'è anche una Guantanamo del corno d'Africa, e assai popolata: è una base aerea a sessanta chilometri da Addis Abeba in cui «militanti di Al Qaeda» catturati in Somalia o espulsi dal Kenya, l'altro grande alleato degli Usa, sono stati rinchiusi. Difficile anche per le organizzazioni per i diritti umani come «Human Rights Watch» dar loro nomi e volti e accuse. Perché nessuno ha la possibilità di vedere i dossier e tanto meno incontrarli: salvo gli uomini della Cia e dell'FBi a cui è stato concesso «un accesso limitato». Washington puntualizza: non sono sotto il nostro controllo e non abbiamo giocato alcun ruolo nella cattura e nel trasferimento. Insomma, se volete protestare rivolgetevi ad Addis Abeba. Che non ha nel rispetto dell'habeas corpus il suo maggiore puntiglio.