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Dâr Fûr (II)

di Miguel Martinez - 12/04/2007

 


Esiste la signora Fatima, profuga ad al-Fashir.

Esiste Mario Rossi, blogger italiano di buona volontà, esperienze di viaggio a Sharm el-Sheikh e Phuket, che fa un giro in Internet prima di andare a cena dalla suocera.

Esiste Mike Dangerchuk, pianificatore strategico del Sudan Office che timbra il cartellino tutte le mattine al Pentagono.

In altre parole, ci sono tre cose del tutto diverse.

Una tragedia, che indubbiamente esiste; la percezione occidentale, filtrata dai media, di tale tragedia; e la manipolazione politica di tale percezione.

Chiaramente la manipolazione funziona bene, solo perché ogni discussione sulla nostra percezione viene travisata come negazione della tragedia e offesa alle vittime. Come dire, se io critico Mike Dangerchuk e Mario Rossi, vuol dire che odio la povera Fatima, o sono pagato da quelli che la maltrattano.

Questo è un vecchio ricatto, da cui è bene liberarsi.

Il Sudan viene spesso definito un "failed state", uno "stato fallito". Il termine non mi piace: molto americanamente, indica che esiste un unico modo valido per organizzarsi e chi non ci riesce è un "fallito". Ma possiamo usarlo per dare un nome al fenomeno che abbiamo descritto nel primo post sul Darfur.

In questo, il Sudan è in buona compagnia, come ci dimostra questa mappa. Si tratta di una carta del tutto soggettiva e priva di valore concreto. Ma ci dà un'idea del fatto che gli stati funzionanti (in giallo e verde) sono, guardacaso, anche quelli economicamente e militarmente dominanti, a parte qualche curiosità come la Mongolia:

Una persona raziocinante dovrebbe concludere che se la maggior parte del pianeta non ha stati affidabili, vuol dire che il problema non è questo  "dittatore pazzo" o quel "predicatore sanguinario", come fanno pensare i media.

La teoria del Mad Dictator, infatti, è ancora più ridicola di quella razzista, secondo cui gli "stati falliti" sarebbero colpa di popolazioni nate "senza il gene della tolleranza" (come ha detto recentemente un ministro olandese) o che "non hanno voglia di tirarsi su le maniche e lavorare".

Nell'angolo più remoto e arido della catastrofe che si chiama Sudan, c'è un luogo che si chiama Dâr Fûr, che a giudicare dalle foto sembra il lato arroventato della Luna.

Lì, da alcuni anni, sta avvenendo qualcosa che non ha nulla da invidiare all'orrore che avviene nel resto di quell'angolo dell'Africa.

Non dimentichiamo che nel confinante Ciad è in corso una guerra civile, che segue altre guerre civili che hanno avuto inizio nel 1965.

Il conflitto tra altri due paesi che confinano con il Sudan, Eritrea ed Etiopia, dura, sotto varie forme, dal 1962.

E confina con il Sudan anche l'Uganda, un paese che, appena uscito da decenni di guerra civile e decimato dall'AIDS, ha condotto guerre in Rwanda e nel Congo-Zaire. E in quest'ultimo paese, le solite dubbie cifre parlano di quattro milioni di morti nella guerra civile e internazionale che dura da dieci anni, morti per strage, fame, malattia e persino per l'uso strategico del cannibalismo da parte di alcune milizie. Senza parlare della Somalia...

Ma mentre il Mediatizzato Medio del Medio Occidente sa poco o nulla di questi altri conflitti, del Darfur ha sentito sicuramente parlare.

Se cerco su Google "Kivu" - il nome della provincia congolese più martoriata dalle recenti guerre - trovo 1.180.000 riferimenti, se cerco "Darfur", di riferimenti ne trovo 13.900.000 (ma Phuket lo batte con 14.500.000 riferimenti).

Sul Darfur, a differenze delle altre regioni che abbiamo citato, esiste una forte campagna mediatica, che parte soprattutto da ambienti evangelici di destra e sionisti statunitensi.

Questo fatto di per sé, però, non dimostra né la falsità di ciò che si dice sul Darfur, né che il Darfur rientri in qualche ampio progetto imperiale.

I complotti esistono, ma possono essere in conflitto tra di loro e soprattutto non sono necessariamente quelli che pensiamo noi; e comunque ogni cospiratore cerca di non lasciar indovinare le sue prossime mosse, né i suoi moventi. Non avendo una talpa al Pentagono, non me la sento quindi di fare ipotesi sugli scopi politici di questa campagna.

Mi limiterò a parlare di ciò che conosco, cioè del Mediatizzato Medio Occidentale.