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Che succede in Afghanistan?

di Nazanín Amirian - 12/04/2007





 

Il futuro dell'Afghanistan è un tunnel senza luce non per i costanti cambiamenti di indirizzo e di alleanze che portano a compimento i suoi dirigenti, e nemmeno perché la presenza degli occupanti stia alimentando una reazione “nazionalista-patriottica”.

Adesso che per strane ragioni la cattura di Bin Laden ha smesso di essere la priorità dell'Amministrazione Bush ed i Talebani e i mujahidin , una volta sbarbati e in giacca, fanno parte del “nuovo” regime dell'Afghanistan (tra essi Mawlawi Mohammed Islam, governatore della provincia di Bamyan quando fu distrutta la statua di Buddha), possiamo chiedere: cosa trattiene la NATO – e dunque le truppe spagnole – in Afghanistan?

Questo Stato-cuscinetto, di un'importanza strategica di prim'ordine per gli Stati Uniti nella loro battaglia per l'egemonia mondiale, anche se manca di considerevoli risorse naturali, venne considerato nel decennio degli anni '90 la via d'accesso più pratica, economica e breve che doveva unire gli immensi giacimenti di gas dell'Asia Centrale col Pakistan, sulla costa del Mare Arabico. Progetto patrocinato dall'azienda petrolifera statunitense UNOCAL, la quale doveva costruire un oleodotto e un gasdotto che sarebbero passati sul suolo afgano. Comunque, una volta sul terreno di gioco, UNOCAL ha scoperto che dei 200 miliardi di barili stimati in quello che doveva essere un “secondo” Medio Oriente, non ne esistevano nemmeno la metà. Inoltre, l'alto contenuto di idrosolfuro e mercaptano degli agenti contaminanti del petrolio rendeva più cara la sua depurazione; l'elevato livello di zolfo nel petrolio avrebbe danneggiato i comuni oleodotti e le alte pressioni geografiche della regione avrebbero aumentato i costi della sua estrazione. Perciò, la redditività dei loro sforzi diminuisce a vista d'occhio. Per questo, per il momento, hanno sospeso il progetto.

Ma, anche se gli interessi energetici sono stati trasferiti su un secondo piano, Washington e i suoi alleati hanno interessi geostrategici in questo paese. Perciò, l'occupazione dell'Afghanistan è tesa inoltre a: debilitare la Federazione Russa a livello regionale e porre termine al suo tradizionale spazio di influenza geopolitica in Asia Centrale; consolidare lo smembramento del territorio sovietico e impedire qualsiasi possibilità di riunificazione eurasiatica sotto l'ombrello di Mosca; stringere legami economici e politici con gli ex Stati sovietici; rompere il controllo monopolista della Russia sul trasporto di petrolio nella regione e, conseguentemente, sottrarle forze a livello mondiale; limitare l'influenza culturale, economica e politica di Iran e Cina nella zona; circondare militarmente l'Iran, quella questione in sospeso dell'Amministrazione Bush, e soprattutto stabilire una base militare nel piccolo tratto di frontiera di circa 70 km che l'Afghanistan comparte con la Cina, la grande superpotenza rivale degli USA.

Dall'altro lato gli alleati di Washington – come la Spagna – sotto l'ombrello della NATO e col pretesto della lotta contro in terrorismo hanno incontrato un'opportunità unica di esercitare per la prima volta la loro influenza sul suolo dell'Asia Centrale.

La principale minaccia per gli occupanti

Forse né gli attentati, e nemmeno i costanti incidenti aerei portano via tante vite di soldati occidentali come gli effetti della contaminazione radioattiva. L'Afghanistan oggi si colloca in testa alla lista dei paesi del mondo col maggior numero di civili affetti da questa contaminazione. Il colonnello Asaf Durakovic, laureato in medicina, direttore dell'Uranium Medical Research Center (UMRC) e specialista in contaminazione radioattiva del Pentagono, dopo aver individuato la presenza di U236 nel corpo dei soldati dell'invasione dell'Iraq, afferma che USA e Gran Bretagna hanno usato più munizioni radioattive in Afghanistan che nella Guerra del Golfo e di Jugoslavia messe insieme. Il colonnello – oggi radiato dall'esercito – è preciso nelle sue accuse: “L'orina degli afgani presentava concentrazioni di isotopi tossici e radioattivi tra le 100 e le 400 volte maggiori che nei veterani della Guerra del Golfo testati nel 1999”. Per completare il suo rapporto aggiunge un esempio concreto: “Siamo arrivati a riscontrare nel corpo di un ragazzo di 12 anni che viveva vicino Kabul circa 2.031 nanogrammi, mentre negli USA il massimo consentito è di 12 nanogrammi per litro”.

La colpevole è “MWS”, nome della bomba che conteneva cariche perforanti rivestite con uranio impoverito, che produce seri effetti radioattivi. Le sue conseguenze lasciano segni così indelebili che ormai hanno cominciato a venire alla luce: “Solo nel mese di giugno 2005 nel reparto di maternità di uno degli ospedali per donne di Kabul, sono nati 150 bambini con gravi malformazioni”, così racconta il dottore afgano Mohammed Daud Miraki, direttore dell'associaione Afghan DU & REcovery Fund.

Allo stesso modo in cui in Vietnam migliaia di soldati sono caduti contagiati dalle diossine dell'agente arancio che spargevano sulle popolazioni; allo stesso modo in cui decine di migliaia di appartenenti alle truppe USA hanno sofferto della “sindrome del Golfo” per non essere stati avvisati circa le conseguenze che avrebbe avuto su di essi la manipolazione di quelle armi, non forniscono informazioni ai militari che partecipano alla guerra contro l'Afghanistan.

Droga: il grande affare

L'attuale governo dell'Afghanistan è il principale narco-Stato del mondo. Nelle loro mani il papavero si è trasformato in un affare a raggio internazionale. C'è di più: il 25% del PIL – circa 2,7 miliardi di dollari – del governo presieduto da Hamid Karzai corrisponde alla produzione di droga. Pertanto il nuovo paradiso creato dall'Amministrazione Bush nel 2006 ha prodotto circa il 92% dell'oppio e dell' eroina del mondo – l'85% del mercato europeo e il 35% di quello statunitense.

Bisogna ricordare che il regime dei Talebani rese illegale la coltivazione di papavero nel 1999 e che nel 2001 praticamente sradicò le coltivazioni, secondo dati apparentemente così poco di parte come quelli della Giunta Internazionale di Fiscalizzazione degli Stupefacenti delle Nazioni Unite.

Questi dati chiaramente gettano disonore anche sugli eserciti di occupazione, accusati dal parlamento afgano di trasportare la polvere mortale.

Karzai cambia di indirizzo?

È molto probabile che la politica di Bush di non mettere fine alla presenza dei Talebani nelle province meridionali dell'Afghanistan (si confronti col suo atteggiamento in Iraq, dove è arrivato a distruggere intere città per eliminare la resistenza) risponda ai futuri piani della sua Amministrazione rispetto all'Iran, e a quello di aprire un altro fronte sul lato est dell'Iran: di fatto, i Talebani ormai stanno appoggiando i gruppi islamisti iraniani d'opposizione baluch , i quali negli ultimi sei mesi hanno commesso una ventina di attentati, uccidendo più di un centinaio di soldati iraniani. È per questo che agli USA non preoccupa molto che i Signori della Guerra – sunniti oltre che pro-Pakistani – stiano rafforzando le loro posizioni in Afghanistan. Fatto che sta mettendo in pericolo la stabilità dello stesso regime di Karzai, il quale osserva con impotenza che inoltre crescono senza sosta le proteste popolari.

Gli afgani hanno appreso una strana lezione da tutto ciò che succede intorno a loro: che il senso di defraudazione non ha limiti. Di quel “Piano Marshall” tanto promesso per riparare le abitazioni, i depuratori d'acqua, per costruire ospedali o fornire elettricità non v'è segno. Istituzioni come la nordamericana Overseas Private Investment Corporation (OPIC) e le compagnie incaricate della ricostruzione investono i loro soldi per tirare su a Kabul hotel antisismici a varie stelle, costruire luoghi di svago il cui utilizzo è nelle mani di investitori stranieri, o per costruire strade, acquistare aerei, migliorare le comunicazioni e fornire gli equipaggiamenti necessari a facilitare quasi esclusivamente il trasporto militare, mentre all'ospedale che hanno costruito a Kabul cade il tetto, le condutture perdono dal momento in cui furono installate e le finestre neanche si chiudono.

L'indignazione per essere stati imbrogliati è un'emozione che non ha limiti. Questo, e la disperazione, è ciò che provano i 10 milioni di disoccupati che non beneficiano di nessuna prestazione mentre gli impiegati occidentali sotto contratto continuano a guadagnare 200 volte di più di un lavoratore locale per lo stesso lavoro. Non si sorprendano che agli afgani restino poche vie d'uscita alternative, come quella di passare tra le fila dei gruppi ribelli, l'unico modo di sostenere le loro famiglie.

Di fronte allo stupore di gran parte della popolazione, i “donatori” hanno formato delle forze armate, la cui funzione altra non è se non quella di reprimere le manifestazioni di protesta dei cittadini per la precarietà della loro situazione.

Sia già per miopia, per casualità o per calcolata strategia, quel che è certo è che la politica nordamericana di finanziare vari corpi di sicurezza, milizie, paramilitari, guardie di frontiera, forze di polizia e l'esercito, il tutto nelle regioni con differenti etnie e religioni, ha aumentato in forma sostanziale il pericolo di una guerra civile.

Se a questo si aggiunge un governo la cui “centralità” e autorità sono praticamente inesistenti… l'unica cosa da fare è incrociare le braccia e aspettare.

Uno dei più danneggiati da questa perdita di interesse dell'Amministrazione Bush è lo stesso presidente Karzai. Probabilmente la lealtà non è una virtù molto valorizzata nel mondo dell'alta politica internazionale poiché “il sindaco di Kabul” – soprannome dato a Karzai perché il suo potere non va più in là delle porte della capitale – ha iniziato ad intessere trame per assicurarsi il suo posto al potere. Poiché egli stesso sa che è molto probabile che gli USA lo abbandonino, sta corteggiando i Talebani veterani ed i “Signori della Guerra”, con misure come proibire ai mezzi di comunicazione di chiamarli terroristi.

Gesti di questo tipo si sono fatti di volta in volta più numerosi da parte del presidente, che è arrivato a difendere l'indipendenza delle sue forze di sicurezza rispetto ai comandi occidentali e ha perfino criticato l'impunità dei militari statunitensi nei delitti contro gli afgani.

Karzai è andato più oltre, e di fronte alla richiesta nordamericana di stabilire delle basi militari permanenti in questo paese, ha delegato la risposta al parlamento. In questa maniera si salva dalle pressioni di Washington, ed inoltre si presenta come un patriota. Nella sua strategia, il presidente pretende di convocare un referendum e maschera gli insediamenti della NATO sotto il nome di “Forze di cooperazione” o qualcosa di simile.

Vahid Mozhde, politologo afgano, pone la seguente domanda: se la presenza militare degli USA si ammette come unica forma per garantire la sicurezza (e non per controllare i suoi interessi) del nostro paese, allora perché nei conflitti tra il Pakistan e l'India le truppe statunitensi in Pakistan non sono solite intervenire in favore di questo paese?

In questo gioco di interessi, Karzai ha fatto un inaspettato passo in avanti e “ha permesso” che una commissione d'indagine del parlamento riferisse sulla partecipazione dei soldati e dei loro aerei al trasporto di droga all'estero. Avrebbe potuto impedire che queste indagini venissero pubblicamente alla luce, ma non lo ha fatto.

La domanda è semplice: a chi giova la coltivazione di papavero invece che di grano e di patate? Karzai non è disposto a farsi carico della responsabilità di dover dare una risposta. Stando così le cose, i governi europei hanno già messo in atto il seguente passo: cercare qualche sostituto alla testa del governo afgano, compito niente affatto facile e qualcosa di più che pericoloso.

Hamid Karzai sarà abbandonato alla sua sorte?

L'Iran in Afghanistan

L'Iran condivide col vicino afgano più di 936 km di frontiera comune, la lingua e buona parte delle sue millenarie vicende, comprese le più recenti: durante gli ultimi 27 anni ha accolto circa 2 milioni di sfollati afgani, insieme ad altri 3 milioni di sfollati iracheni, per diventare il maggior ricettore di rifugiati del pianeta. Il farsi , persa, la lingua che l'Iran condivide con l'Afghanistan – sotto la denominazione di “dari” – e col Tagikistan, non solo facilita le cooperazioni trilaterali e strategiche nell'Asia Centrale, è anche un importante strumento nelle mani di Teheran per mantenere la su storica influenza in quei paesi.

Ovunque si guardi imperversano questioni. Per esempio, i nuovi occupanti non hanno cooperato con le autorità iraniane alla lotta contro la droga, cosa che l'Iran considera un “complotto” contro la sua popolazione. La persecuzione del narcotraffico da parte dell'Iran è innegabile; secondo i dati dell'ONU, questo paese è responsabile dell'intercettazione dell'80% dell'oppio e del 90% della morfina confiscati nel mondo.

Il risultato di tutte queste misure è stato che il regime dell'Iran e quello di Karzai hanno stretto i loro legami, estendendo la loro collaborazione ad atri campi, come gli accordi di cooperazione economica, accademica e culturale. L'Iran continua ad essere la principale fonte di rifornimento di energia (gas, petrolio, elettricità) delle province afgane di frontiera.

Dunque, pensare ad un Afghanistan stabile è una pura illusione, e non per il suo impressionante mosaico etnico-religioso, o perché non esiste un progetto percorribile per la costruzione di un'identità nazionale o perché molti capi di tribù e clan servono i contradditori interessi dei paesi ingerenti… Il futuro dell'Afghanistan è un tunnel senza luce non per i costanti cambiamenti di indirizzo o di alleanze che portano a compimento i suoi dirigenti, e nemmeno perché la presenza degli occupanti stia alimentando una reazione “nazionalista-patriottica”… Gli afgani non possono muovere i fili della loro vita per un qualcosa di così basilare come il fatto che non dispongono del minimo indispensabile: la distribuzione delle risorse è ingiusta; la fame nera, cronica e la vita inumana. Solo loro sanno fino a che punto sopportare la sofferenza sia una sfiancante attività che non genera futuro.

da Kaos en la Red