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Quanto costa fermare il cambiamento del clima

di Paola Desai - 13/04/2007

 

 

Costerà caro, combattere il cambiamento del clima: e tanto più caro quanto più si rinviano le drastiche misure necessarie per limitare le emissioni di gas di serra su scala globale e invertire la tendenza al riscaldamento dell’atmosfera terrestre. A dirlo questa volta è il Ipcc, Intergovernmental Panel on Climate Change, il comitato scientifico che su mandato delle Nazioni unite fornisce ai governi la sua consulenza sul cambiamento del clima. La settimana scorsa l’Ipcc ha diffuso un rapporto sull’impatto dei cambiamenti in corso e le misure urgenti per farvi fronte. Era il secondo di una serie (il primo faceva il punto sulle conoscenze scientifiche in merito al clima). Il 4 maggio a Bangkok questo consesso di scienziati diffonderà la terza parte del suo lavoro: Mitigation of Climate Change, come mitigare il cambiamento del clima a cui stiamo assistendo. L’agenzia Reuter ne ha diffuso ieri alcune anticipazioni.
L’Ipcc osserva in primo luogo che la temperatura media globale è sulla via di aumentare oltre 2 gradi celsius rispetto all’epoca precedente alla rivoluzione industriale - una soglia considerata di «pericolo» per l’equilibrio degli ecosistemi. Ridurre le emissioni di gas di serra richiede misure (dalle politiche energetiche a quelle dei consumi) che lo studio elenca: uso più efficiente dei combustibili fossili ora in uso (bruciare meno energia per ottenere pari lavoro: impianti industriali
più moderni, motori meno energivori...), passaggio a energia rinnovabili come il solare o l’eolico (a dir la verità nell’elenco c’è anche il nucleare, che merita obiezioni a parte), a una gestione accorta delle risorse forestali e agricole. L’insieme di queste misure ha un costo, e lo studio prospetta due «scenari», o ipotesi. Secondo il primo, il costo di limitare le emissioni di anidride carbonica e gli altri gas inciderà tra lo 0,2 e lo 0,6 percento del prodotto interno lordo globale (il Pil mondiale) da qui al 2030. Secondo lo scenario più drastico, cioè con governi convinti a limitare le emissioni in modo più stringente nei prossimi 15 anni, il costo salirà fino al 3% del Pil globale. Il documento fa notare che le misure necessarie a limitare le emissioni presentano anche «importanti
potenziali economici» positivi, ad esempio se si punta sull’efficienza energetica - senza contare altri effetti collaterali positivi, come minor inquinamento e meno attentati alla salute umana.
Al contrario, il costo dell’inazione è drammatico. «Secondo alcune stime, sul pianeta abbiamo già altrettanti sfollati ambientali che rifugiati in senso tradizionale. E più l’impatto del cambiamento del clima si fa sentire, più i numeri sono destinati a salire, magari fino a 50 milioni nel 2010», diceva ieri Yvo De Boer, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento del Clima (Unfccc) al notiziazio Environment News Service.
A giudicare dalle anticipazioni, il lavoro del Ipcc rende piena giustizia a Sir Nicholas Stern, l’ex capo economista della Banca Mondiale che aveva diretto per il governo britannico uno studio per stimare i costi economici del riscaldamento del clima: ne aveva concluso che il costo dell’agire subito per rallentare il riscaldamento globale avrebbe inciso circa l’1 percento del Pil globale, ma che se i governi continuano a rinviare il costo del correre a ripari più tardi sarebbe salito al 5 o addirittura il 20 percento della crescita economica mondiale.
Tutto questo però significa che i governi - a cominciare da quelli industrializzati - devono mettere soldi nelle politiche del clima. Qui il discorso si fa più scivoloso: de Boer fa appello a «fonti innovative di finanziamento» come il mercato delle quote di emissione. Di fronte ai soldi finora le impegnate dichiarazioni sulla necessità di far fronte al problema del clima si sono squagliate come neve al sole. Chissà come andrà questa volta?