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La censura del cambiamento climatico

di George Monbiot - 13/04/2007


In generale, non appena gli scienziati pubblicano, i politici fanno irruzione e cercano di estirpare tutto ciò che pensano possa minacciare i propri interessi. L’accusa viene ripetuta: i climatologi e gli ambientalisti stanno cercando di “chiudere il dibattito”. Coloro che smentiscono il riscaldamento globale indotto dall’uomo, si dice, vengono censurati

I rapporti dell’illustre équipe mondiale dei climatologi si trovano sottoposti a un bizzarro processo. Per mesi gli scienziati che collaborano con l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Comitato intergovernativo sul mutamento climatico – IPCC) hanno discusso animatamente su quanto scoperto. Nulla viene pubblicato senza consenso. I rapporti diffusi dal comitato sono moderati, cauti. E sono attendibili tanto quanto lo sono i documenti scientifici in generale.

In generale, non appena gli scienziati pubblicano, i politici fanno irruzione e cercano di estirpare tutto ciò che pensano possa minacciare i propri interessi. Gli scienziati non demordono, ma alla fine si vedono costretti a dover cedere. Ad esempio, l’ultimo rapporto IPCC, diffuso venerdì scorso, è stato censurato in base all’avvertimento secondo cui “a causa del cambiamento climatico, ci si aspetta che l’America del Nord subisca gravi danni economici a livello locale, nonché considerevoli sconvolgimenti sociali, culturali e negli ecosistemi”.

Ciò smentisce la nota storiella della stampa di destra britannica, ossia che l’IPCC, d’accordo con i governi, starebbe cospirando per drammatizzare la scienza. Nessuno spiega perché i governi dovrebbero cercare di enfatizzare i propri fallimenti. Nell’eccentrico mondo dei cospiratori climatici, non servono tante parole. L’ente scientifico più conservatore del mondo è stato in qualche modo trasformato in una cospirazione di deliranti demagoghi.

Questo è solo un aspetto della storia. Sul Sunday Telegraph e su Daily Mail, in editoriali di gente come Dominic Lawson, Tom Utley e Janet Daley, l’accusa viene ripetuta, ovvero: i climatologi e gli ambientalisti stanno cercando di “chiudere il dibattito”. Coloro che smentiscono il riscaldamento globale indotto dall’uomo, dicono, vengono censurati.

Quello che manca sono gli esempi a supporto. L’unica cosa che costoro sono riusciti a presentare sono state due lettere inviate – dalla Royal Society e dai senatori statunitensi Jay Rockefeller e Olympia Snowe – alla ExxonMobil, con la richiesta di tagliare i fondi ai lobbisti che falsano intenzionalmente gli studi sul clima. Questi giornalisti non hanno saputo farsi valere. Hanno semplicemente esortato la Exxon a modificare le proprie procedure. Se colui che esorta è un censore, le pagine di commento dei giornali dovrebbero essere chiuse in nome della libertà di parola.

In una recente intervista, Martin Durkin, autore del documentario per Channel 4 “The Great Global Warming Swindle” (La grande bufala del riscaldamento globale), ha dichiarato di essere stato vittima di una “censura invisibile”. Durkin sembra dimenticare di aver avuto a disposizione 90 minuti di spazio televisivo in prima serata per illustrare la propria teoria – quella secondo cui il cambiamento climatico sarebbe il frutto di una cospirazione ambientalista.

A cosa ha portato questa censura? L’Independent Television Commission aveva lamentato il fatto che in uno dei programmi di Durkin “i punti di vista dei quattro querelanti, come chiarito all’intervistatore, erano stati distorti da una ‘costruzione del servizio selettiva’”, e gli intervistati erano stati “fuorviati riguardo i contenuti e lo scopo dei programmi al momento di accettare di partecipare”. A quanto pare, questo episodio fa di Durkin un martire.

Se volete sapere di che pasta è fatta la vera censura, lasciate che vi illustri cosa sta succedendo dall’altra parte dell’oceano. Gli scienziati che dimostrano che il cambiamento climatico è realmente in corso sono stati ripetutamente minacciati e messi a tacere, e le loro scoperte riviste o declassificate.

In un sondaggio condotto dalla Union of Concerned Scientists, su 279 ricercatori climatologi che lavorano presso agenzie federali negli Usa, il 58% ha dichiarato di aver dovuto sottostare ad almeno una delle seguenti costrizioni: 1. Pressioni esercitate per eliminare dai propri studi le espressioni “cambiamento climatico”, “riscaldamento globale” o altri termini simili; 2. Revisione dei rapporti scientifici, da parte dei quadri superiori, che “hanno modificato il senso delle scoperte scientifiche”; 3. Dichiarazioni da parte di ufficiali delle agenzie che hanno travisato le scoperte; 4. Insoliti ritardi nella pubblicazione (o pubblicazioni mai avvenute) di materiale online, rapporti, o altri documenti scientifici relativi a studi sul clima; 5. Nuovi o insoliti requisiti amministrativi vincolanti; 6. Pressioni per modificare le scoperte scientifiche. La UCS ha riportato 435 episodi di interferenza politica negli ultimi cinque anni.

Nel 2003, la Casa Bianca ha annullato la sezione sul cambiamento climatico di un rapporto curato dall’Environmental Protection Agency, cancellando riferimenti a studi che mostrano come il riscaldamento globale sia causato dall’azione. Inoltre è stato anche aggiunto un riferimento a uno studio, in parte finanziato dall’American Petroleum Institute (Istituto Americano per il Petrolio – API), che suggeriva che le temperature non sono in aumento. Alla fine, l’EPA ha deciso di omettere l’intera sezione del rapporto.

Dopo che, nel 2004, Thomas Knutson della National Oceanographic and Atmospheric Administration – NOAA pubblicò uno studio che legava le emissioni crescenti a cicloni tropicali di maggiore entità, i suoi superiori gli impedirono di parlare ai media. Knutson accettò parlarne in TV sulla rete MSNBC, ma un responsabile della NOAA contattò l’emittente e disse loro che Knutson era “troppo stanco” per rilasciare l’intervista. Questa la spiegazione fornita a Knutson: la “Casa Bianca ha detto no”. Tutti le domande vennero girate per giunta a uno scienziato che sosteneva non ci fosse alcun legame tra riscaldamento globale e uragani.

Lo scorso anno, il maggiore climatologo della Nasa, James Hansen, aveva rivelato che i suoi superiori stavano cercando di censurare i suoi lavori, conferenze, studi e messaggi postati in rete. Ufficiali di pubbliche relazioni della Nasa lo minacciarono di “conseguenze disastrose” se avesse continuato a incoraggiare rapide riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra.

Il mese scorso, la filiale dell’Alaska dell’U.S. Fish and Wildlife Service (Ente Usa per la Pesca, la Flora e la Fauna allo stato naturale) ha fatto sapere ai propri scienziati in viaggio verso l’Artico di informarsi bene riguardo “la posizione dell’Amministrazione sul cambiamento climatico, gli orsi polari e la banchisa polare, e di evitare comunque di commentare su questi aspetti”.

Durante le udienze del Congresso di qualche settimana tre fa, Philip Cooney, ex assistente della Casa Bianca ed ex dipendente dello stesso American Petroleum Institute, ha ammesso di aver apportato centinaia di modifiche a rapporti governativi sul cambiamento climatico per conto dell’amministrazione Bush – cancellando prove che dimostravano che i ghiacciai si stanno ritirando e aggiungendo elementi atti a mettere in dubbio la certezza scientifica del riscaldamento globale.

In Gran Bretagna le cose non vanno meglio. Il sottoscritto e il quotidiano The Guardian hanno ricevuto diverse lettere dallo “scettico del clima” Viscount Monckton, con la minaccia di procedere per via legale per diffamazione dopo che personalmente avevo osteggiato le sue dichiarazioni. In un paio di occasioni, Monckton ha chiesto di rimuovere dal web alcuni articoli. Monckton è lo stesso che ha scritto ai Senatori Rockefeller e Snowe, dichiarando che la loro lettera alla ExxonMobil offende il “diritto di libertà di parola” della multinazionale.

Dopo la messa in onda del film di Martin Durkin, uno degli scienziati protagonisti del documentario, il Professor Carl Wunsch, si è lamentato del fatto che i propri punti di vista sul cambiamento climatico erano stati distorti. Wunsch ha detto di aver ricevuto una lettera dalla compagnia di produzione di Durkin, la Wag TV, con minacce di azioni legali per diffamazione a meno che non avesse accettato di smentire pubblicamente le dichiarazioni avanzate.

È così scortese far notare che quando personaggi del genere si lamentano di iniziative di censura si entra nel paradossale?

 

Fonte: The Guardian
Traduzione a cura di Arianna Ghetti per Nuovi Mondi Media