Resistenza, non terrorismo: osservazioni sulla sentenza di Milano
di Vainer Burani* - 02/12/2005
Fonte: Comitato nazionale Iraq Libero
(*avvocato difensore di Mohamed Daki)
La Sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la correttezza di quella pronunciata dalla Dott.ssa Forleo, Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Milano, che ha, sostanzialmente, dichiarato non punibile, nemmeno ai sensi dell’art. 270 bis del Codice Penale, la condotta di chi invia combattenti o aiuti a forze belligeranti irregolari nel teatro di guerra di un paese occupato. La Procura Generale ha sostenuto, chiedendo la condanna degli imputati che, nel diritto internazionale, non esiste la categoria guerriglia e che, pertanto, le azioni militari compiute da forze irregolari sono terroristiche.
In realtà, nelle dodici risoluzioni sottoscritte dall’Italia, non vi è nessuna definizione del “terrorismo”; a ben vedere lo stesso art. 270 sexies contenuto nel cosiddetto “pacchetto Pisanu” non definisce nulla e non fa che riprendere quell’art. 18 comma 2 nella Convenzione – quadro del 1999, mai sottoscritta. Il motivo c’è: sulla definizione di “terrorismo” vi è stato e vi è un ampio scontro (l’ultimo episodio è dello stesso 29.11.2005 quando, a Barcellona, si è chiusa con un nulla di fatto il vertice appositamente convocato): gli U.S.A. ed altri paesi vogliono che venga escluso il carattere terroristico di ogni azione compiuta da eserciti regolari (il loro problema sono, in primo luogo, le “eliminazioni mirate” israeliane); la Lega Araba e altri paesi vogliono che sia escluso che le azioni militari compiute in un paese occupato e contro gli occupanti possano essere considerate terroristiche; una terza posizione è quella di chi sostiene che la scriminante rispetto al terrorismo è nella natura civile o militare degli obiettivi colpiti. Del resto è falso che il diritto internazionale di guerra non “contempli” la guerriglia: i protocolli aggiunti, del 1977, delle Convenzioni di Ginevra considerano “legittimi combattenti” i membri di forze irregolari che combattono con le armi in vista, segni distintivi e sotto un comando unificato.
Il non accoglimento della ipotesi accusatoria della Procura della Repubblica di Milano ha lasciato aperta la questione che è e resta una “spina nel fianco” per i fautori della “guerra infinita al terrorismo”.
Che la questione sia molto importante lo dimostra la canea che si è di nuovo scatenata.
Ma a Milano, a margine del processo, è successo anche qualcosa d’altro di molto importante: due imputati hanno dichiarato di essere stati prelevati dal carcere, condotti nell’Ufficio del Pubblico Ministero, Dottor Stefano D’Ambruoso e di essere stati interrogati da agenti americani; in attesa del difensore di cui avevano chiesto espressamente la presenza. Ciò è avvenuto in palese violazione di ogni norma procedurale italiana ed approfittando del fatto che gli allora indagati non potevano conoscerla.
I “colloqui investigativi”, già previsti nell’Ordinamento Penitenziario e “rivisitati” nel “pacchetto Pisanu”, all’epoca erano possibili solo all’interno del carcere e per imputati di associazioni mafiose; ovviamente li poteva effettuare solo la Polizia Giudiziaria Italiana.
Non v’è dubbio che si sia trattato di fatti “in linea” con il sequestro dell’indagato del medesimo procedimento, l’IMAM della Moschea di Milano Abu Omar, ad opera di ventidue agenti della C.I.A. per i quali sono stati emesse ordinanze di custodia cautelare in carcere.
Ciò che sconcerta è lo stupido silenzio della sinistra che si definisce “radicale”, ancor più, a fronte di una informazione apprezzabile da parte della stampa che, per lo meno, “bilancia” i silenzi e le reticenze delle testate, come “il Corriere della sera”, più filo-americane.