"Quella di Bush è una retorica esausta"
di Rupert Cornwell - 02/12/2005
Fonte: nuovimondimedia.com
Nè il discorso di Bush alla Naval Academy Usa nè il 'National Strategy for Victory in Iraq' hanno presentato grandi novità. L'obiettivo è quello di convincere i cittadini americani, profondamente scettici sulla conduzione di una guerra che ha già ucciso così tanti dei loro connazionali e che costa sei miliardi di dollari al mese, delle possibilità di "vittoria" in Iraq |
Ieri il presidente degli Stati Uniti George Bush ha affermato che gli Usa sono in corsa per una "vittoria completa" e ha escluso qualsiasi ipotesi di ritiro delle truppe americane dall'Iraq. Inoltre ha sostenuto come le forze irachene stiano iniziando ad avere la meglio nella lotta contro i ribelli. In un discorso pubblico mirato a rigenerare il morale del fronte interno, e ideato per affrontare i malumori invocanti una ritirata, Bush ha esposto ieri ciò che i suoi critici sostengono abbia cospicuamente fallito di predisporre: una chiara strategia di uscita dall'Iraq dopo due anni e mezzo di conflitto. Nel bel mezzo di una guerra che è già costata la vita di 2.100 soldati Usa e verso cui l'opinione pubblica si è chiaramente schierata contro il proprio presidente, Bush ha cercato di persuadere il fronte interno del fatto che, contro ogni evidenza, la guerra Iraq la si stia vincendo. Tale vittoria giungerebbe, ha detto Bush, proprio grazie al contributo di quelle stesse forze irachene che i critici sostengono essere ormai demoralizzate, divise tra loro e inefficienti. Di fronte ad un'amichevole platea all'Accademia Navale Usa di Annapolis, Bush ha ribadito la propria resistenza all'ipotesi di un ritiro graduale delle truppe, secondo un nuovo approccio per cui i militari Usa comincerebbero fin da ora a lasciare le città irachene, riducendo le pattuglie di perlustrazione e lasciando tutto in mano all'esercito e alla polizia iracheni. "Soltanto man mano che le forze irachene acquisiscono esperienza, e man mano che il processo politico in Iraq avanza, saremo in grado di ridurre il nostro contingente senza compromettere la nostra capacità di sconfiggere i terroristi", ha dichiarato Bush. Davanti a un vessillo blu e dorato proclamante il "Piano per la Vittoria", Bush ha aggiunto che le decisioni sul rientro delle truppe presenti in Iraq devono essere dettate soltanto dal suolo iracheno e dal giudizio dei comandanti Usa in terra irachena, non da "artificiose tabelle di marcia preparate dai politici di Washington". In realtà, nè il discorso di trenta minuti di Bush nè il documento 'National Strategy for Victory in Iraq' di 35 pagine pubblicato precedentemente dall'amministrazione Bush hanno presentato grandi novità. L'obiettivo generale era quello di convincere i cittadini americani, profondamente scettici sulla conduzione di una guerra che ha già ucciso così tanti dei loro connazionali soldati e che costa sei miliardi di dollari al mese, che la Casa Bianca sta seguendo una politica precisa dietro alla ripetizione dello slogan "mantenere la rotta" ('stay the course'). I sondaggi mostrano come la maggioranza degli americani creda che gli Stati Uniti in Iraq stiano precipitando in un nuovo Vietnam, e che ora la superpotenza sia più – non meno – vulnerabile al terrorismo. Il tasso di gradimento di Bush è sceso fino al 37%, il più basso di tutto il suo mandato presidenziale. La chiave di svolta del conflitto, afferma il presidente Usa, è quella che porta gli iracheni stessi ad essere in grado di garantire la sicurezza nel loro paese. Bush ha riconosciuto che ci sono stati "alcuni contrattempi" nel processo di creazione di tale responsabilità, e che le performance delle truppe irachene "sono state discontinue in alcune aree dell'Iraq". Questi dati vengono vivacemente contestati dai critici (e persino da diversi ufficiali dell'esercito Usa), i quali sostengono come in realtà soltanto una manciata di unità irachene siano effettivamente in grado di combattere autonomamente, e come il morale generale sia decisamente a terra. I Repubblicani Usa hanno acclamato il discorso di Bush come un chiaro e realistico progetto per il futuro, mentre i Democratici lo hanno stroncato. Harry Reid, il leader della minoranza al senato Usa, ha accusato il presidente di "riciclare la sua esausta retorica del 'mantenere la rotta'". "Ancora una volta ha perso un'opportunità per definire una reale strategia di successo in Iraq che possa riportare a casa i nostri soldati sani e salvi". Il senatore Edward Kennedy ha descritto l'incontro come "una continuazione della campagna elettorale volta a rimediare al fallimento delle politiche per l'Iraq... che non corrisponde a quello che vuole il popolo americano". Bush ha descritto l'Iraq come "il fulcro" della guerra al terrorismo, sostenendo che una fuoriuscita precipitosa delle truppe Usa dal paese invierebbe "al nemico" un segnale sbagliato. "Far rientrare i soldati prima che abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati non equivale a un piano di vittoria", ha dichiarato il presidente Usa. "L'America non si fermerà di fronte agli autobombaroli e agli assassini fino a quando io sarò il Comandante Capo". Ci sono stati alcuni segnali di cambiamento, ma nelle singole tattiche seguite, non nella strategia di fondo complessiva. "Se i critici per 'mantenere la rotta' intendono non permettere ai terroristi di piegare la nostra determinazione, allora va bene". "Se intendono non permettere ad al-Qaeda di fare dell'Iraq ciò che i talebani avevano fatto dell'Afghanistan, allora va di nuovo bene". Ma se i critici interpretano tale espressione come un'incapacità di imparare dalle esperienze passate, "allora si sbagliano di grosso". Il nuovo documento della Casa Bianca definisce chi gli Stati Uniti vedono come propri nemici in Iraq. Il gruppo maggiore è quello dei "rigettatori", composto soprattutto dai sunniti che primeggiavano durante i tempi del regime di Saddam. Nel protocollo si legge che questa sacca di resistenza si affievolirà se dalle elezioni di dicembre uscirà un governo democratico atto a tutelare i diritti delle minoranze . Il secondo gruppo gruppo è quello dei "fedelissimi di Saddam", ex funzionari del regime ch ehanno mantenuto la loro influenza. Il loro potere, sostiene l'amministrazione Bush, non potrà copetere con quello delle forze irachene meglio organizzate. La Casa Bianca ha abbandonato la tesi secondo cui i combattenti stranieri costituivano l'avversario principale e ora ammette che i terroristi riconducibili alla rete di al-Qaeda rappresentano una componente minimale dell'insorgenza. La prima terrorista kamikaze di origine europea è stata identificata ieri quando gli inquirenti hanno riferito che una donna di nazionalità belga è stata l'esecutrice di un attacco contro le forze Usa all'inizio di questo mese a Baghdad. La donna, di età compresa tra i 37 e i 38 anni, si sarebbe trasferita in Iraq per sferrare l'attacco dopo aver sposato un musulmano radicale ed essersi convertita. Identificata soltanto con il suo primo nome – Mireille o Muriel – si dice che la donna provenga dalla città di Charleroi, nel Belgio meridionale.
Cosa ha detto Bush... e qual'è la realtà della guerra "Questa guerra prenderà diverse pieghe. Il nemico deve essere sconfitto su ogni campo di battaglia. I terroristi hanno già reso esplicito che l'Iraq è il fronte centrale della loro guerra contro l'umanità. Per questo dobbiamo considerare l'Iraq come il fulcro della lotta al terrore mondiale". I sostenitori di al-Qaeda ora in Iraq dispongono di un paradiso che prima della guerra non avevano. Prima dell'invasione, in Iraq non c'era nessuna presenza significativa di al-Qaeda. Il direttore della CIA Peter Gross ha dichiarato che "i fondamentalisti islamici stanno sfruttando la guerra in Iraq per arruolare nuovi jihadisti anti-Usa. Bush ha detto che al-Qaeda rappresenta solo una piccola parte della guerriglia. Lo scopo dello zoccolo duro degli insorti sembra essere chiaro – far uscire gli Usa dall'Iraq. "Le forze di sicurezza irachene hanno lanciato la propria offensiva contro il nemico, risanando le aree controllate dai terroristi e dai fedeli di Saddam, garantendo alle istituzioni irachene il controllo dei territori sottratti ai terroristi, e proseguendo con la ricostruzione mirata ad aiutare gli iracheni a riprendersi le proprie vite". Gli Stati Uniti sono entrati in possesso dei territori occupati dalla guerriglia dall'inizio della guerra, ma la guerra si intensifica costantemente. Esiste solo un accenno di ricostruzione". "Le forze irachene si stanno guadagnando la fiducia dei propri connazionali che con loro stanno collaborando per sconfiggere il nemico. Dal momento che le forze irachene crescono di numero, sempre più riescono a mantenere un controllo efficace sulle città sottratte al nemico. E dato che le forze irachene si stanno rafforzano, sono sempre più in grado di avere la meglio sul nemico". L'Iraq si sta avviando verso la guerra civile. I sunniti sono atterriti dalle truppe sciite e dalle forze di polizia. I curdi reclamano Kirkuk. Ogni fazione ha le proprie squadre di morte. John Pike, un analista militare, sostiene che sia impossibile accertare l'abilità delle forze irachene. "Se dicono che il controllo della situazione sta passando dalle mani degli americani a quelli degli iracheni, allora è difficile spiegare per quale motivo stiano ancora spedendo a casa così tante sacche per i cadaveri". "Un anno fa in questo periodo c'era soltanto una manciata di battaglioni iracheni pronti a combattere. Ora esistono 120 battaglioni dell'esercito iracheno e della polizia di stato nella lotta contro i terroristi". Gli ufficiali dell'esercito iracheno dicono che senza il sostegno degli Usa essi non potrebbero controllare molto di Baghdad. Molte unità irachene sono "battaglioni fantasma": il numero dei soldati viene inflazionato dai comandanti che si appropriano della paga di uomini che non esistono. "Queste decisioni sul numero delle truppe devono essere dettate soltanto dall'Iraq e dal giudizio dei comandanti Usa in terra irachena, non da artificiose tabelle di marcia preparate dai politici di Washington". "Alcuni invocano una data di scadenza per il ritiro. Penso che chi lo propone sbagli, anche se è sinceramente convinto che sia necessario". Difficilmente il presidente potrebbe dire qualcos'altro, parlare di un calendario per il ritiro avrebbe significato evidenziare la difficoltà in cui si trova l'esercito Usa oggi in Iraq. Il leader dei sunniti – lo zoccolo duro dei ribelli – afferma che la resistenza armata durerà fino a quando gli Stati Uniti non lasceranno il paese. Ma la recente richiesta di alcune rappresentanze politiche irachene per la fuoriuscita degli Usa potrebbe entrare a far parte di quella coreografia che, nella pratica, darebbe una mano a Bush nel trovare un'opportunità per tornare a discutere di ritiro.
Fonte: http://news.independent.co.uk/world/americas/article330464.ece |