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La militarizzazione della neuroscienza

di Hugh Gusterson - 27/04/2007

 
 
   

Abbiamo già visto questa storia: il Pentagono s’interessa ad un’area scientifica in rapida espansione e il mondo ne è cambiato per sempre. E non per il meglio.

Durante la II Guerra Mondiale, il campo scientifico era la fisica nucleare. Per paura che i nazisti stessero lavorando ad una bomba atomica, il governo americano si concentrò sul proprio progetto per arrivarci prima. Il Progetto Manhattan era così segreto che il Congresso non sapeva a cosa servissero quei finanziamenti e il vice presidente Harry S. Truman non ne venne a conoscenza finché non ottenne la presidenza alla morte di Franklin D. Roosevelt. In questa situazione di estrema segretezza non ci fu quasi alcun dibattito etico o politico riguardo alla Bomba prima che un gruppo di funzionari, quasi automaticamente, lasciasse che fosse sganciata su due città..

Malgrado le obiezioni di J. Robert Oppenheimer, e prima che la bomba fosse collaudata, furono pochi gli scienziati del Progetto Manhattan a discutere sulle conseguenze che il “congegno” avrebbe avuto sulle civiltà. Alcuni altri stilarono il Franck Report, che consigliava di non lanciare la bomba su città senza averne prima dato dimostrazione e allertando tutti sui pericoli di una corsa alle armi atomiche. Né l’una né l’altra iniziativa sortirono alcun effetto concreto. Finimmo in un mondo in cui gli Stati Uniti ebbero due città incinerite sulla coscienza, e dove la loro corsa alla supremazia nucleare ha creato un pianeta da sfacelo nucleare e da distruzione reciproca assicurata.

Questa volta possiamo fare ancora meglio. La scienza interessata adesso non è più la fisica, ma la neuroscienza, e la domanda è se ne possiamo controllare la militarizzazione.


Secondo l’appassionante ma agghiacciante libro di Jonathan Moreno, “Mind Wars: Brain Research and National Defense” (Dana Press 2006) [Ricerca sul Cervello e Difesa Nazionale n.d.t.], la Defense Advanced Research Projects Agency [Agenzia sulla ricerca avanzata di progetti di difesa n.d.t.] sta finanziando la ricerca nelle seguenti aree:

1)Connessione mente-macchina (“prostetica neuronale”) che permetterebbe a piloti e soldati di controllare armi ad alta tecnologia col solo pensiero.

2)“Robots viventi”, i cui movimenti possono essere controllati attraverso impianti nel cervello. Questa tecnologia è già stata collaudata con successo su “robotopi” e potrebbe portare al telecomando di animali per lo sminamento, o addirittura a telecomandare soldati.

3)“Elmetti cognitivi” che permettono di controllare via radio lo stato mentale dei soldati.

4)Tecnologie MRI (“impronte digitali del cervello”) da usarsi in un interrogatorio o agli aeroporti per individuare eventuali terroristi. Anche tralasciando i problemi circa il loro margine d’errore, queste tecnologie solleverebbero la controversia per cui il controllo involontario del cervello violerebbe il diritto di non autoincriminarsi garantito dal Quinto Emendamento.

5)Armi ad impulso o altri neuro-impeditori, per interferire con i processi di pensiero di soldati nemici.

6)“Armi neurologiche” che usano agenti biologici per provocare il rilascio di neurotossine (la Convenzione sulle Armi Biologiche e Tossiche vieta lo stoccaggio di tali armi a scopo offensivo, ma non la ricerca “difensiva” sul loro modo di agire).

7)Nuove sostanze dopanti che permettano ai soldati di astenersi dal dormire per giorni, per rievocare memorie traumatiche, per sopprimere la paura, o per reprimere inibizioni psicologiche riguardo all’uccidere.

Il libro di Moreno è importante poiché c’é stata ben poca discussione riguardo la moralità di tale ricerca, e, siccome siamo solo all’inizio, questa potrebbe essere reindirizzata da una discussione pubblica.

Se però la si lascia continuare con il “pilota automatico”, cioé se non si fa niente, non è difficile indovinare dove ci porterà. Negli anni della guerra fredda, la paura di non avere abbastanza missili o del divario sul controllo mentale provocarono una crescita folle di armi nucleari e di esperimenti illeciti con la LSD su soggetti umani non consenzienti. Analogamente possiamo prevedere futuri timori circa il divario sulle “armi neurologiche”, e queste paure giustificherebbero il precipitarsi a capofitto in questa ricerca (che con ogni probabilità sarebbe sperimentata illecitamente su soggetti umani), il che servirebbe soltanto ad incoraggiare i nostri nemici a fare altrettanto.

I leaders militari e scientifici che seguono la ricerca sulle armi neurologiche sosterranno che gli Stati Uniti sono una nazione nobile ed unica di cui ci si può fidare con tali tecnologie, mentre altri Paesi (a parte alcuni alleati) non saranno d’accordo. Sosterranno inoltre che queste tecnologie salveranno vite e che l’ingegnosità americana consentirebbe agli Stati Uniti di dominare le altre nazioni in una corsa alle armi neurologiche. Quando sarà troppo tardi per tornare indietro, quegli stessi leaders esprimeranno stupore che altre nazioni abbiano tenuto loro testa così rapidamente e che un’iniziativa che intendeva assicurare il dominio americano abbia invece portato ad un mondo dove ognuno è minacciato da soldati farmacologizzati e da roboterroristi che sembrano usciti direttamente dal film Blade Runner.

Nel frattempo gli scienziati diranno a se stessi che se non fanno loro la ricerca, la farà qualcun altro. I finanziamenti di tale ricerca saranno controllati da concessioni militari quanto basta da costringere alcuni scienziati a scegliere se accettare soldi dai militari o se smettere la ricerca. E il doppio potenziale di queste nuove tecnologie (lo stesso impianto al cervello può creare soldati-robot o riabilitare malati del Parkinson) permetterà a tali scienziati di convincersi di stare “veramente” lavorando a tecnologie per il miglioramento della salute umana, e che è solo un caso che i finanziamenti arrivino dal Pentagono.

Deve proprio andare così? Nonostante gli ovvi problemi del controllo di un campo di ricerca che impiega capitali molto minori e che è molto meno soggetto a verifiche internazionali di quello della ricerca nucleare, è plausibile che un costante dialogo internazionale tra neuroscienziati, studiosi di etica, e specialisti sulla sicurezza potrebbe evitare il cupo scenario descritto sopra.

Sfortunatamente Moreno (a pagina 163 del suo libro) cita una frase di Michael Moodie, già direttore dell’Istituto per il Controllo delle Armi Chimiche e Biologiche, che dice: “L’atteggiamento di coloro che operano nel campo delle scienze naturali contrasta acutamente con la comunità nucleare. Dall’inizio dell’era nucleare, i fisici, incluso Albert Einstein, capirono i pericoli dell’energia atomica, ed il bisogno di partecipare attivamente al controllo dei rischi ad essa correlati. Il settore delle scienze naturali è piuttosto indietro a questo riguardo. Molti trascurano di pensare ai potenziali rischi del loro lavoro”.

E' ora di parlarne!

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Fonte: http://www.globalresearch.ca/
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20.04.2007

Tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIANNI ELLENA